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SEPHORA E IL CLIENTE AL CENTRO

Quando si tratta di mettere il cliente al centro, moltissime aziende alzano la mano, candidandosi come le migliori in questo senso. Purtroppo, in realtà, sono davvero poche quello che lo fanno davvero. Lo sa bene Bridget Dolan, Vice Presidente dell’Innovation Lab di Sephora, retailer del settore della cosmetica con più di 1.900 negozi in 29 Paesi, fondata in Francia da Dominique Mandonnaud nel 1970.

Il focus sul cliente a Sephora, infatti, non è una semplice questione di marketing, ma di cultura. “Ogni decisione che prendiamo ha al centro la nostra cliente. Ogni volta pensiamo: ‘Che impatto avrà questo su di lei? Qual è la cosa giusta per lei?’. Poi speriamo che quello che ne viene fuori sia anche il meglio per noi, ma anche quando non lo è lo facciamo lo stesso”.

sephoraPer questo Sephora si aiuta moltissimo con la tecnologia. Andando controcorrente rispetto a quei retailer che, da un parte, vedono la tecnologia come una trappola che scatena il fenomeno dello showrooming e, dall’altra, la utilizzano solo perché è “cool”, Sephora adotta un approccio anche in questo caso totalmente Outside In, portando il cliente al centro dell’azienda e del suo ecosistema (approfondisci l’approccio Outside In qui). Lo scopo della tecnologia e dell’omnicanalità, infatti, deve essere quello di rendere la vita del cliente più semplice. Solo così acquista un valore, ampiamente riconosciuto e apprezzato.

Oggi Sephora ha più di 6 milioni di fan su Facebook, quasi 2 milioni di follower su Twitter, più di 2 milioni di dowload delle sue app e un terzo del traffico al sito ufficiale proviene da dei dispositivi mobili.

Il segreto? Un profondo allineamento tra i valori del brand e la customer experience proposta in ogni touchpoint che la cliente attraversa. E una costante attenzione e ricerca su quali siano i bisogni e i desideri delle clienti che da Sephora si aspettano “un equo servizio da professionisti esperti, un ambiente di shopping interattivo e innovazione”.

beauty insiderCon un “loyalty program” estremamente efficiente ed efficace, Sephora è in grado di registrare l’intero viaggio della cliente: si tratta di Beauty Insider, lanciato nel lontano 2007 e costantemente rinnovato e aggiornato (nel 2009 parte la versione V.I.B. – Very Important Beauty Insider), con il quale Sephora ha reso coinvolgente e convincente per la cliente raccontare chi è in ogni touchpoint. “Siamo così in grado di seguire ogni suo comportamento e di agire di conseguenza” – spiega Bridget Dolan. Coinvolgente e convincente perché la cliente ottiene sempre qualcosa in cambio: “se ci dice che ha la pelle secca, allora il prodotto che riceverà come omaggio o le informazioni che avrà via email saranno per pelli secche” – continua Dolan.

A Sephora l’80% delle transazioni avvengono attraverso il programma fedeltà e il motivo è che la cliente stessa fornisce moltissime informazioni sapendo di ottenere in cambio una customer experience decisamente sorprendente.

Alcune chicche che le affezionate clienti di Sephora riconosceranno spaziano dall’esperienza omnichannel proposta con accesso wifi gratuito negli store per accedere allo store online e alla shopping list e per scansionare gli acquisti, a servizi e lezioni di makeup con acquisti minimi, fino a una social community che dà accesso a premi, prodotti in omaggio e chat gratuite con esperti professionisti, uno staff all’interno dello store sempre molto accogliente, disponibile e competente.

Insomma, Sephora è l’esempio perfetto di come conoscere il proprio cliente e mettere al centro del proprio lavoro l’esperienza che egli vive in ogni touchpoint sia estremamente conveniente.

La buona notizia è che i passi da compiere per andare nella stessa direzione “cliente centrica” di Sephora sono precisi e ben definiti e possono essere seguiti da tutti. Meno facile è trovare la strategia giusta che sia – oltretutto – in grado di allineare valori e identità del brand e aspettative e desideri del cliente. Italian Customer Intelligence ti aiuta proprio in questo! Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

RESTAURANT EXPERIENCE STRATEGY PER AVVENTORI FELICI E FEDELI

Spesso i brand spendono enormi budget in marketing per attirare nuovi clienti all’interno dei propri negozi, dimenticandosi, però, che, una volta entrato, il Cliente deve essere trattenuto, prima, e, successivamente, deve essere convinto a tornare.

Quindi, se da una parte è fondamentale per un brand attrarre nuovi clienti per costruire le basi di un solido successo, dall’altra, sicuramente, la sua continua crescita dipenderà in larga parte da quei Clienti che, sorpresi, soddisfatti ed entusiasti della loro esperienza, vorranno tornare. O, meglio ancora, vorranno consigliare il brand ad amici e colleghi.

D’altra parte, qual è il momento in cui il Cliente è più propenso a “dare retta” a quello che il brand ha da dire, se non quando si prende del tempo per frequentare il suo negozio, il suo store o il suo locale? Pubblicità online e offline, per quanto impressionanti, possono cogliere il Cliente occupato in altre faccende e quindi poco attento o propenso ad accettare input. Ma quando entra in negozio, è quello il momento in cui “abbassa le difese” ed è pronto ad essere “sopraffatto” dalla proposta del brand. Che, ovviamente, deve essere assolutamente all’altezza delle aspettative di un sempre più esigente Cliente.

Oltretutto, investire nel cosiddetto “in store marketing” non è neanche particolarmente oneroso, dal momento che si tratta di accorgimenti che in ogni caso dovrebbero essere messi in atto, facendo parte del layout e del format dello store. Si tratta di un’occasione unica, inoltre, per raccontare al Cliente la propria storia, i propri valori, la propria identità, per creare quell’affinità ed empatia che porterà il Cliente a diventare portavoce del brand nel suo mondo (piccolo, ma più facilmente abbastanza esteso, se ricordiamo la viralità dei social network!).

Prendiamo, per esempio, il caso di un ristorante, di un bar, una pizzeria o una gelateria: a seconda della tipologia di locale e del suo target, ogni attività deve stampare il packaging per il takeaway (leggi qui), vassoi o vaschette, tovagliette e tovaglioli e così via.. Secondo Mike Wolfsohn, della High Wide & Handsome, agenzia di comunicazione californiana, “si tratta di materiali che rientrano dei normali budget dei ristoranti e che vengono comunque prodotti e utilizzati. Sono quindi il mezzo perfetto per diffondere il proprio messaggio senza aumentare le spese”.

Proprio nel momento in cui il Cliente si è preso il tempo per sedersi e dedicare qualche minuto (nella peggiore delle ipotesi) al proprio pasto.

La Product Evaluation Inc, società di ricerca specializzata nel “food service” nello stato dell’Illinois, ha effettuato una ricerca tra gli avventori abituali di alcuni ristoranti di età tra i 18 e i 65 anni per identificare quali fossero i messaggi e i mezzi che più veicolano la fedeltà dei clienti e il loro passaparola. Tovaglie, tovagliette, porta tovaglioli e menu sono gli oggetti migliori per attirare e trattenere l’attenzione dei clienti.

Inoltre, il 65% dei degli intervistati segnala di essere particolarmente interessato a notizie sugli sforzi del brand in senso ambientale: informazioni sul riciclaggio dei materiali, descrizioni sull’uso dell’energia o sulle tecniche di costruzione dei locali.

Il servizio, ovviamente, è uno strumento potentissimo di marketing all’interno del ristorante (come abbiamo dettagliatamente analizzato nella nostra indagine sulla delicata fase dell’accoglienza all’interno dei locali milanesi), in grado di “dirla lunga” su identità e valori del brand.

Creare un’esperienza estremamente soddisfacente per il Cliente all’interno del proprio store faciliterà la nascita e la diffusione di un passaparola in grado di aumentare quella base sulla quale si fonderà il successo del brand. Le opportunità per creare una Customer Experience a prova del cliente più esigente sono molte e sono chiamate “touchpoint”: si tratta delle diverse occasioni che il Cliente ha di entrare in contatto con l’azienda e con il brand. Italian Customer Intelligence ha intrapreso un viaggio attraverso i touchpoint di diversi settori: scopri quelli della Ristorazione e del Fashion Retail!

Non perdere la rubrica e trova tanti consigli utili per il tuo brand!

LA CUSTOMER EXPERIENCE È UN VIAGGIO, NON UNA DESTINAZIONE

Annette Franz si occupa di customer experience da venti anni e attualmente, oltre alla gestione del suo blog (www.cx-journey.com), nato dal desiderio di condividere le esperienze e le riflessioni maturate in questi anni, è vicepresidente di Touchpoint Dashboard. Ciò che la appassiona di più, nel suo lavoro, è aiutare le aziende a capire l’importanza dell’esperienza e del coinvolgimento dei dipendenti per offrire una customer experience superiore. Secondo Annette le aziende dovrebbero assicurarsi che il cliente sia al centro di ogni discussione.

Questa una delle sue celebri frasi che campeggia in ogni pagina del suo blog:

You know the quote, Success is a journey, not a destination.

Well, the customer experience is a journey, too. It’s a never-ending journey. You must always strive to deliver that ultimate customer experience, not only at a single touchpoint but also – especially – along the entire journey. Have you taken the first step?

(Annette Franz)

Per Annette offrire un’ottima customer experience significa intraprendere un viaggio senza fine, perché il successo risiede nel viaggio, non nella destinazione. Ciò implica una conoscenza approfondita e una progettazione accurata della customer experience in ogni tappa del viaggio del cliente.

In apparente contraddizione con sé stessa, Annette fa poi riferimento ad una seconda citazione:

“Knowing where you’re going is the first step to get there.”

(Ken Blanchard)

La contraddizione è solo apparente perché la citazione di Ken Blanchard è la “conditio sine qua non” per intraprendere “il viaggio” di cui parla Annette. Come potremmo imbarcarci in un programma volto al miglioramento dell’offerta di customer experience senza avere bene in mente i valori del nostro brand, o senza conoscere il cliente e le tappe del suo viaggio?

Intraprendere un viaggio “di successo” non significa certo partire “allo sbaraglio”, ma stabilire una meta, il percorso e i mezzi per raggiungerla!

Per informazioni: info@italiancustomerintelligence.it

TOUCHPOINT & FASHION RETAIL

Oggi entriamo nel “fantastico” mondo di un negozio di abbigliamento. Sia esso un punto vendita diretto del brand, un affiliato o un rivenditore, è fondamentale ricordare che, entrando in negozio, il cliente vuole una relazione privilegiata e diretta con il brand.

Nell’Era del Cliente, è bene ricordarlo, il Cliente NON è del rivenditore o del negozio, ma del brand! (approfondisci qui) Il rivenditore o il negozio che aiuterà il Cliente ad avere una relazione con “tutto” il brand farà fortuna, quello che cercherà invece di legarlo a sé inizierà un inesorabile declino…(approfondisci qui)

Questo comporta grandi responsabilità per il brand stesso che deve curare la Customer Experience di tutti i suoi clienti, ricordando che ciascuno di essi, relazionandocisi, percorre strade diverse. Ogni touchpoint è insieme un rischio di perdere il cliente ma anche una grande opportunità per conquistare la sua fiducia, la sua fedeltà e il suo “passaparola” (approfondisci qui).

Quando si tratta di Fashion Retail, i touchpoint sono davvero tantissimi e qui, ancora una volta, vogliamo – per semplicità e chiarezza – evidenziare quelli principali, solitamente ritenuti strategici. In un mercato saturo come quello della moda, la differenza la fa soltanto l’attenzione che il brand riporrà nell’offerta di un’esperienza al di là delle aspettative e in linea con la propria identità. Un errore minimo può costare caro..

Ricordiamo, inoltre, che la quantità di dispositivi digitali e la possibilità di una costante connessione a internet “estende” il retail offline al mondo online, aumentano notevolmente le possibilità di interazione che il “super consumatore” odierno ha a sua disposizione.

Vediamo, quindi, di che cosa si tratta!

Touchpoint Fashion Retail

Come anticipato, questo è un quadro abbastanza semplificato, ma il punto è: ognuno di questi punti di debolezza può far perdere al punto vendita (e quindi al brand!) il Cliente – con il rischio, oltretutto, che riporti la sua esperienza negativa sia ad amici e conoscenti offline, sia all’enorme pubblico di internauti online.

Lo scopo di un serio lavoro sull’individuazione dei touchpoint della propria azienda e, successivamente, sull’esperienza che in essi si propone ai clienti è quello di farli diventare promoter del brand: farli tornare (in negozio o sull’e-commerce), e far sì che il loro passaparola non solo non sia negativo, ma sia addirittura entusiasta.

Questo è tanto necessario nel retail diretto del brand, quanto nel Franchising dove l’offerta della Customer Experience deve più che mai essere allineata con i valori del brand in ogni punto vendita (approfondisci qui).

Ovviamente, non si tratta semplicemente di comprendere quali siano le aspettative del Cliente e intercettare i suoi desideri e i suoi bisogni intrinsechi, ma anche di stabilire i termini entro i quali si possa ri-definire la sua Customer Experience, con l’intento di sorprenderlo ed entusiasmarlo. In sostanza, non ci basta sapere che il Cliente vuole essere “trattato bene”, ma bisogna definire cosa questo significhi qualitativamente e quantitativamente.

Un lavoro che, evidentemente, non si accontenta di “statici” ed esemplificativi suggerimenti di opportunità, ma che necessita di un piano di azione specifico e approfondito per la propria realtà aziendale.

Inoltre, è indispensabile ricordare che il viaggio del Cliente nella sua relazione con un brand non si limita al solo negozio, offline od online che sia (fase di “acquisto“): sono diverse, infatti, le tappe toccate prima di raggiungere lo store e una volta usciti. I fondamentali momenti di “accesso” (approfondisci qui), “uso” e “assistenza” (approfondisci qui) successivi sono estremamente delicati e complessi, tanto da necessitare un’analisi a parte.

Quindi, scopri, valuta e migliora insieme a Italian Customer Intelligence la Customer Experience nei touchpoint che vive il tuo Cliente: scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

WHAT TRULY CHARACTERIZES AN EXPERIENCE?

“To make an experience”, “to have an experience”, “my experience tells me…”

We use the word experience in many ways, in different contexts, and often with different meanings.

Mario Sala, Partner at Praxis Management and Brand Owner of Italian Customer Intelligence
Mario Sala, Partner at Praxis Management and Brand Owner of Italian Customer Intelligence

But what truly categorizes an experience and, secondly, what does it mean in terms of the customer?

The etymology of the word helps us find the answer, for it comes from the Latin “experientia” that derives from “experiens,” the present participle of the verb “experiri”, which is to try, to experiment.

Therefore, of course an experience is to “try” or to experiment in the truest sense of conducting an experiment!

What is the objective of this effort, this experimentation, this experiment?

The objective is the same for a scientist as it is for a child: to reach an understanding!

One cannot just try something in order to understand it; another more decisive action is necessary. It is so crucial that, along with experimenting (actually, while simultaneously experimenting) it is of the same nature as the experience: to judge!

THEREFORE, AN EXPERIENCE IS AN EXPERIMENT COMBINED WITH A JUDGMENT FOR THE PURPOSE OF UNDERSTANDING (ESPECIALLY ONESELF)

The experience of the customer, like all human experiences, is one of experimentation and nearly simultaneous judgment.

What is the customer judging?

THE CUSTOMER IS JUDGING, WHILE SIMULTANEOUSLY EXPERIMENTING, THE CORRISPONDENCE BETWEEN THE OBJECT OF THE EXPERIMENT (OR WHAT HE IS PROMISED TO EXPERIMENT) AND HIS NEEDS AND DESIRES.

It is a quick and delicate process in order for the customer, like all individuals, to clearly understand what he needs and desires… by experimenting!

It is for this reason – I believe – that Kerry Bodine, in her new reformulation of the journey of the customer, emphasizes that the customer lives the phase of seek as “divergent”: he wants to explore all of the options at his disposal so that they can help him clarify his own needs.

The opportunity posed by an experience is often valuable regardless of the final judgment, because it serves to help augment our understanding of what we really want and really need.

In the numerous touchpoints that constitute the interaction between a brand and the customer, the latter tests and judges what he has experienced in terms of correspondence with what he needs or desires, clarifying (progressively or instantaneously) what he really desires and what he really needs.

The enthusiasm that a customer lives when he discovers, evaluates, chooses, and uses a product or service is the enthusiasm of someone who has finally understood what he really wants. The customer is enthusiastic about the product or service precisely because of this discovery and this correspondence. This enthusiasm is born from this discovery of the self, generated by the experience.

In every touchpoint, the brand can invite the customer to an experience that will help him make this enthusiastic discovery. This is why every touchpoint should be cared for in great detail, because every touchpoint speaks of the brand as a whole, just as a fragment can illuminate nature in its entirety!

Not surprisingly, Stan Phelps – brilliantly – in his theory of the purple goldfish, emphasizes the importance of glue (giving little unexpected extras): in fact, this is a special touchpoint created specifically for the customer to have, easily and immediately, an experience that truly reflects the entire nature and the makings of the promises of the brand.

How the customer judges this “correspondence” depends on a variety of subjective factors that a brand has very little control over. Each one of us makes judgments according to our personal background, worldview, education, and particular sensibilities.

(Certainly, the atmosphere in which the client lives this delicate phase of judgment depends on the brand. This heavily depends on the level of “happiness” that employees have in working for their brand. For this reason, I believe, Annette Franz insists on the relationship between happy employees and customer experience.)

This is why it is imperative that each brand understand how to communicate its own “promises”, its own values, because these promises and values indicate a certain worldview and sensibility that allows a brand to attract a customer with a similar vision.

One last problem remains: in each touchpoint, the brand must understand how to create an experience in line with its worldview!

(The world is very well overlooked from the high. Not a case that the word “desire” as well comes from the Latin “de-sidera”, or from the stars!)

This is precisely the heart of the job of those who work on Customer Experience!

 

Mario Sala

TOUCHPOINT e RISTORAZIONE

Oggi percorriamo il viaggio di un cliente di un locale, alla scoperta dei touchpoint che può toccare prima, dopo, durante il suo pranzo, la sua colazione, la sua cena o il suo gelato, ipotizzando quali possono essere le sue aspettative nei confronti del brand, segnalando quali mancanze può osservare e dando un’indicazione esemplificativa di quali opportunità si aprono per migliorare la sua esperienza, tanto da invogliarlo a tornare e da farlo diventare un fan del format, del servizio, del menu e, più in generale, dell’offerta dell’azienda.

Dal momento che i touchpoint che il cliente può incontrare, a seconda del percorso che effettua, con il brand del settore della ristorazione che ha scelto sono tanti e diversi (una mappa completa ne conta ben oltre un centinaio), ci limiteremo, in questa sede, a indicare quelli macroscopici, principali ed evidenti. Ne risulterà un quadro chiaro, anche se semplificato, il cui punto fondamentale è che ognuna delle mancanze segnalate può causare la perdita di un cliente (infondo, quanti altri ristoranti, bar, gelaterie ci sono in città?). Al contrario, essere all’altezza delle aspettative del cliente o, meglio, essere sul pezzo di quelle che sono le opportunità per stupirlo lo trasformerà in un promoter del locale, in particolare, e del brand, in generale, pronto a raccontarne le meraviglie ad amici e colleghi.

Quindi, iniziamo!

Touchpoint ristorazioneCome anticipato, questo è un quadro abbastanza semplificato, ma il punto è: ognuna di queste mancanze può far perdere al locale (e quindi al brand!) il cliente – con il rischio, oltretutto, che dica ad altri potenziali clienti che il posto non vale la pena di passarci una serata.

Lo scopo di un serio lavoro sull’individuazione dei touchpoint della propria azienda e, successivamente, sull’esperienza che in essi si propone ai clienti è quello di farli diventare promoter del business: farli tornare e far sì che il loro passaparola non solo non sia negativo, ma sia addirittura entusiasta.

Ovviamente, non si tratta semplicemente di comprendere quali siano le aspettative del cliente e intercettare i suoi desideri e i suoi bisogni intrinsechi, ma anche di stabilire i termini entro i quali si possa ri-definire la sua Customer Experience, con l’intento di sorprenderlo ed entusiasmarlo. In sostanza, non ci basta sapere che il cliente vuole essere “trattato bene”, ma bisogna definire cosa questo significhi qualitativamente e quantitativamente.

Un lavoro che, evidentemente, non si accontenta di “statici” ed esemplificativi suggerimenti di opportunità, ma che necessita di un piano di azione specifico e approfondito per la propria realtà aziendale.

Quindi, scopri, valuta e migliora insieme a Italian Customer Intelligence la Customer Experience nei touchpoint che vive il tuo cliente. Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

ACCESS EXPERIENCE: FORMULA VINCENTE CON TAKE AWAY E PACKAGING

I touchpoint durante i quali un cliente stabilisce una relazione con un brand e durante i quali matura un giudizio su di esso sono numerosi. E ciascun cliente, vivendo un’esperienza soggettiva, sarà portato a notarne alcuni piuttosto di altri e di trarne conclusioni diverse rispetto ad altri clienti. Per questo è fondamentale per l’azienda avere un’idea precisa e concreta di tutti i punti di contatto con il proprio cliente (online e offline): solo così potrà controllare che l’esperienza proposta sia, innanzitutto, in linea con le proprie promesse e la propria identità e, allo stesso tempo, sia in grado di superare le aspettative del cliente.

Il motivo di questo lavoro è molto semplice: un cliente soddisfatto sarà ben contento di riportare la propria esperienza ad amici, conoscenti e colleghi, invogliandoli e spingendoli a diventare loro stessi clienti del brand.

Viaggio del Cliente - Forrester Research
Viaggio del Cliente – Forrester Research

Il Take Away di Panino Giusto

Proprio per questo oggi vogliamo raccontarvi di un touchpoint molto particolare nel quale abbiamo vissuto un’esperienza davvero degna di nota. Si tratta del servizio “take away” di Panino Giusto, nota catena di ristorazione Fast Casual milanese che fa del panino di qualità il suo punto di forza ormai ampiamente riconosciuto.

Il take away fa parte di quella fase della relazione che il cliente ha con l’azienda (vedi immagine del viaggio del cliente) chiamata “accesso” e che si interpone tra l’acquisto del prodotto/servizio e il suo effettivo uso (ne abbiamo scritto qui). È una fase, quindi, in cui si crea una forte attesa e un crescente desiderio di entrare in possesso di quello per cui abbiamo pagato.

La nostra Access Experience

Ecco come è andata: non avendo tempo per fermarci a consumare la nostra cena nel locale, optiamo per un panino da portare via. Dopo l’ordinazione, avvenuta molto velocemente grazie alla cortesia del personale, attendiamo qualche minuto perché il nostro panino ci venga consegnato. In effetti, l’attesa non è brevissima, ma, come si dice… il gioco, alla fine, è valso la candela!

Il panino che abbiamo scelto, un Tra i Due, specialità del noto Chef Claudio Sadler, una delle proposte più apprezzate da chi frequenta abitualmente Panino Giusto, ci viene consegnato come un vero e proprio gioiellino in una scatola (un ecobox realizzato con materiali biodegradabili e riciclabili al 100% – così come segnalato sulla stessa) che garantisce la sua conservazione nel tragitto verso casa. La chiusura sigillata con una fascetta di cartone color “verde Panino Giusto” rende la scatola molto graziosa, fornendoci, oltre a una garanzia di qualità, autenticità e freschezza, l’indicazione del nome del panino e augurandoci – addirittura – un buon appetito!

La scatola, infine, viene riposta in un sacchetto di cartone rigido che ci assicura che il contenitore (e il suo preziossimo contenuto!) non verrà danneggiato durante il viaggio.

Un touchpoint, quello del take away, che permette di vivere quella “opening experience” di cui avevamo scritto non tanto tempo fa (qui): il packaging influenza notevolmente la prima impressione che possiamo avere di un prodotto, perché crea delle aspettative rispetto a quelle che sono le promesse del brand. E Panino Giusto, si sa, ci promette proprio qualità, freschezza e artigianalità…

In questo caso, un packaging sicuro, grazioso, fresco e che addirittura ci augura un buon appetito alza notevolmente il livello della nostra esperienza nella fase di accesso del nostro viaggio con Panino Giusto, in particolare nel touchpoint del take away. Un’esperienza così non può che essere un presupposto per una cena che ci aspettiamo davvero ottima!


Infatti, sapete quanto è durato il nostro Tra i Due, una volta aperta la scatola? Due secondi..!

ERA DEL CLIENTE, PAROLA D’ORDINE: TRASPARENZA

Nell’Era del Cliente, il consumatore è sempre più abituato alla facilità con cui riesce a reperire, attraverso diversi canali, le informazioni che lo aiutano lungo tutto il viaggio che compie nella sua relazione con un brand. Da quando ha necessità di compiere una scelta in merito a un acquisto che deve fare, a quando effettivamente acquista il prodotto o servizio, a quando accede al suo acquisto entrandone in possesso per poi usarlo, fino a quando, eventualmente deve chiedere assistenza per qualunque problematica.

Ora, la fase “accede” del viaggio del cliente è quella che separa il momento dell’acquisto del prodotto o servizio a quando, effettivamente, quest’ultimo possa essere utilizzato.

Viaggio del Cliente - Forrester Research
Viaggio del Cliente – Forrester Research

Pensate al biglietto di un aereo. Da quando si acquista  –  online, prevalentemente –  a quando effettivamente “si vola”, si deve passare – tra le altre cose –  per la stampa della boarding card, per il check in, il controllo in dogana, il gate di partenza fino a, finalmente, salire sull’aereo.

La fase di accesso avviene anche, per esempio, nel periodo e nei touchpoint che intercorrono tra l’acquisto di un nuovo modello tecnologico, il suo settaggio e l’utilizzo finale. In questo caso, il successo della customer experience si verifica nel momento in cui le istruzioni di impostazione sono chiare e semplici (soprattutto per chi non è particolarmente esperto!). Oppure, molto semplicemente, avviene nel tempo che passa tra quando si acquista un abito e lo si indossa (ne abbiamo parlato qui proprio qualche giorno fa) o tra quando si attiva un nuovo abbonamento telefonico e si inizia a usufruire del nuovo piano tariffario.

Sicuramente, la fase di accesso è molto significativa quando si tratta di acquisti online. È significativa perché totalmente fuori dalla nostra “giurisdizione”: abbiamo acquistato su internet o attraverso una app un gioiello, un libro, un paio di scarpe, abbiamo ordinato una pizza o prenotato un taxi. Ma da quando abbiamo confermato e – eventualmente – pagato l’ordine a quando lo riceviamo, cosa succede? Come posso sapere dov’è esattamente il mio acquisto? Tra quanto arriva? A che ora? Spesso e volentieri questa attesa è snervante, perché non vediamo l’ora di avere tra le mani quanto acquistato o abbiamo molta fame o molta fretta di arrivare all’appuntamento per cui abbiamo prenotato il taxi..

Tracking numberÈ per questo che, in questa Era del Cliente, dove il consumatore è così abituato ad avere la situazione “sotto controllo”, diventa indispensabile fornirgli anche questo tipo di informazione. E fornirgliela in modo facile e piacevole. Quando Amazon introdusse il sistema di tracciamento dell’ordine, inviando al cliente il Tracking Number per seguire passo per passo il percorso della spedizione, fu una rivoluzione vera a propria. E da questo ormai non si può più tornare indietro, tanto che, oggi, chi vende online e non è attrezzato in questo senso, abbassa notevolmente la customer experience dei propri clienti. Ma non solo, non è più sufficiente semplicemente dare qualche vaga indicazione di tracciabilità, ma è necessario che le informazioni siano precise, puntuali e che permettano di seguire l’ordine minuto per minuto. La trasparenza, dunque, diventa la parola d’ordine perché la customer experience in questa fase del viaggio del cliente (e del pacco!) sia davvero soddisfacente!

Un ottimo esempio di customer experience superiore

Abbiamo ordinato un libro presso una casa editrice americana. In Italia non era reperibile. L’alternativa era Amazon, ma, avendo fretta di leggere il libro, la casa editrice ci garantiva una spedizione più rapida con un costo oltretutto inferiore. Ora, l’acquisto è stato effettuato il 19 giugno. Il giorno seguente riceviamo dalla casa editrice un’email con i riferimenti per tracciare il pacco del nostro libro che ci sarebbe stato spedito tramite il corriere UPS.

Qui sotto il processo di spedizione che ha seguito il nostro libro, a partire dal 20 giugno alle ore 12.12, quando il pacco era pronto per la consegna al corriere.

upsI passi successivi sono stati aggiornati davvero in tempo reale, con tanto di segnalazione di ingresso e uscita dalle diverse agenzie UPS di passaggio. La cosa straordinaria è stata che, il giorno 23 giugno, UPS ci segnala che il libro si trova a Louisville, nel Kentucky e che entro la sera del giorno dopo ci sarebbe stato consegnato a Milano. Per curiosità (e non certo per mancanza di fiducia) siamo andati a controllare la distanza tra Louisville e Milano: possibile che il giorno dopo avremmo avuto in mano il libro? La distanza non era poca, e con questa promessa le nostre aspettative si sono incredibilmente alzate. Quando il nostro libro, infine, ci è stato consegnato alle ore 16.14 del giorno stabilito, in anticipo sulla scadenza ultima, abbiamo senz’altro potuto dire che UPS (e quindi la casa editrice che di UPS si è servita per la spedizione) ci ha offerto una customer experience davvero superiore!

Nota a margine: il giorno dopo la consegna UPS ci chiede di compilare un questionario per valutare la nostra intera esperienza, con domande che spaziavano dalla facilità di navigazione sul loro sito, alla piacevolezza del layout visivo, all’efficacia e completezza delle operazioni possibili, fino a chiederci “In una scala da 0 a 10, quanto saresti disposto a raccomandare a qualcun altro UPS?”. La nostra risposta è facile da immaginare!

CI VUOLE METODO

Le interazioni del cliente con il brand sono molto più numerose di quelle che si crede di solito.

Ci vuole metodo per rilevarle, metodo per valutare l’esperienza che il cliente vive in esse, metodo per paragonare tale esperienza con le promesse del brand, metodo per migliorare l’esperienza offerta nei touch point strategici.

Ci vuole il metodo del customer experience office!

 

Per conoscere le altre ragioni per aprire un ufficio della Customer Experience clicca qui

Per maggiori informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

 

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