Tag archive

touchpoint - page 3

QUANDO L’ACQUISTO RIMANE SOLO UN SOGNO…

Modello della piramide della Customer Experience.
Modello della piramide della Customer Experience.

Quando ci accingiamo ad effettuare un acquisto, un qualsiasi acquisto, tre sono le aspettative che abbiamo come clienti: trovare ciò di cui abbiamo bisogno, ottenerlo facilmente – sia come possibilità d’acquisto sia come semplicità di utilizzo – ed infine essere piacevolmente colpiti dall’esperienza vissuta (la ben nota piramide della Customer Experience – approfondisci qui).

È l’esperienza dello shopping. Fare shopping soddisfa il nostro piacere di spendere, l’autogratificazione di possedere qualcosa di desiderato ed atteso.

Ma perchè tante volte questa esperienza non si concretizza? Usciamo a mani vuote dai negozi  o dai centri commerciali nei quali ci siamo recati? Perchè qualcuno frustra questa nostra aspettativa. Eppure eravamo partiti con le migliori intenzioni (approfondisci qui).

Molte sono le occasioni per fare “andare storto” qualcosa nelle relazioni di vendita (shopping experience).

Vediamone alcune.

Il primo punto è fare entrare nel punto vendita. Com’è la vetrina? E la porta del negozio è chiusa o aperta? Ci sono scritte o insegne che incuriosiscono e aiutano ad entrare (tipo “entrata libera”, oppure “nuovi arrivi”), o invece che allontanano (“Io non posso entrare” dedicato ai piccoli animali)? Superato il primo scoglio – on/off all’ingresso – si apre la partita. L’ambiente è accogliente? Ci si sente a proprio agio? C’è musica di sottofondo che aiuta all’acquisto oppure è così forteda infastidire? Naturalmente, tutte queste considerazioni vanno fatte in relazione al tipo di target cui ci si rivolge: giovani, famiglie, single e così via. A seconda del tipo di negozio – a libera scelta o con commessi – è necessario rendere facile trovare i prodotti. Qui entrano in gioco tutti gli elementi di store location. E poi ci sono gli aspetti di rapporto umano con i commessi, che possono essere troppo invadenti, oppure un po’ assenti e poco empatici nella relazione personale.

E cosa succede se non si trova taglia o colore di ciò che si cercava? Qui abbiamo sia aspetti hard sia aspetti soft. Aspetti hard sono le procedure di logistica che stanno dietro alla distribuzione, mentre gli aspetti soft sono la rassicurazione che può venire fornita: “Domani in mattinata è previsto l’arrivo di quanto sta cercando!”

Se acquistare è in linea di principio un piacere, non va dimenticato il rovescio della medaglia: la paura di fare un acquisto sbagliato, di buttare via i propri soldi. Una risposta sta nella possibilità di reso, come elemento di rassicurazione. E, infine, abbiamo il momento del pagamento. Quante volte, a causa di code troppo lunghe si abbandona il carrello? Ma la cassa è anche momento di relazione, di possibilità di fidelizzare il cliente con carte sconto e membership, di possibilità di pagare con più mezzi alternativi come ad esempio il contactless oltre ai modi tradizionali.

Il viaggio del cliente è lungo dentro un punto vendita. Forse più lungo di quanto non possa apparire a prima vista.

Per questo, Italian Customer Intelligence ha iniziato un viaggio attraverso i touchpoint, i punti di contatto, tra il retail di brand di diversi settori e il cliente: stupisce quante occasioni di opportunità (ma anche di rischio) ci siano!

Approfondisci qui il Fashion Retail.

Approfondisci qui il Locale di Ristorazione.

Approfondisci qui il Beauty Retail.

VIAGGIO NELLA GDO: L’ESPERIENZA CARREFOUR GOURMET

carrefour experienceTutti viviamo esperienze d’acquisto nei supermercati, da quelli di quartiere alle grandi superfici. Gli attori di questo mercato sono fra i più attenti conoscitori dei clienti, quelli che più di altri mettono in pratica e attuano in modo rigoroso le tecniche di indagine su gusti e comportamenti, per rendere un processo d’acquisto ripetitivo, e quindi privo di grandi emozioni, il più coinvolgente possibile.

Il effetti, se guardiamo il viaggio del cliente nella sua relazione con la spesa alimentare, vediamo che i touchpoint nei quali si imbatte sono davvero molti. Prendiamo ad esempio il modello di vendita di Carrefour. Questa importante insegna segmenta il proprio mercato, come peraltro fanno tutti gli operatori della GDO, in base alla dimensione del punto vendita. Ma, da poco più di un anno, ha inaugurato un nuovo modello di vendita, per ora limitato a poche città, nel quale sperimentare a fondo le tecniche di costruzione di una Customer Experience superiore. Si tratta dei cosiddetti Carrefour Gourmet.

Il viaggio inizia con due tappe classiche: l’orario di apertura prolungato (dalle 8 alle 22) e il posteggio coperto riservato ai clienti. Non un anonimo scantinato, bensì un locale pulito e luminoso, con posti riservati a mamme e famiglie, rastrelliera per bici e moto, una hall con piante e fiori e servizi igienici in vista e facilmente accessibili. Per far capire subito che non si tratta di punti vendita tradizionali e impersonali, già all’ingresso si viene accolti da cartelli che recitano: “Goditi una nuova esperienza di spesa”. Per rendere reale e non semplicemente slogan l’affermazione, un altro cartello, realizzato graficamente con molta cura, porge il benvenuto da parte del direttore, riportandone il nominativo. E alle parole seguono i fatti: connessione wifi gratuita, consegna della merce a domicilio, servizio Indabox, per ritirare presso di loro eventuali consegne effettuate da corriere: l’orario di apertura si presta molto bene per questo tipo di servizio.

fiori carrefourIl viaggio prosegue poi all’interno del punto vendita, totalmente diverso rispetto a quelli che si è abituati a vedere normalmente: ingresso dominato dal reparto fiori, in vendita, per abbellimento generale e al box accoglienza; grande cura nell’esposizione di frutta e verdura biologica posta all’ingresso, conservata all’interno di tradizionali cassette di legno; prodotti esposti non unicamente per merceologia, ma con la proposta di abbinamenti: ad esempio il bancone dei formaggi, alternato con etichette di vino consigliate per quel tipo di cibo, insieme alla frutta che solitamente si consuma a fine pasto, come i formaggi, appunto. I diversi reparti – gastronomia, rosticceria, macelleria, pescheria, etc. – identificati con cartelli e foto di chef e testimonial, sempre firmati con la frase “Vivi di gusto”. E poi l’atmosfera serena e rilassata, per acquisti normali che diventano un po’ speciali.

Questi punti vendita vogliono, poi, in qualche modo compenetrare lo sviluppo del digitale, rendendolo fruibile per il cliente finale. I social media sono parte di questo percorso: il cliente oggi è, di fatto, sempre connesso, per questo la relazione che si instaura non è più alternativamente fisica o virtuale, ma è costantemente multicanale. L’ecosistema reso possibile dal digitale deve quindi favorire la realizzazione di negozi che siano reali punti di incontro fra le persone, relazioni rese più facili anche grazie alle connessioni digitali.

cassa carrefourAltro touchpoint, croce e delizia del mondo degli acquisti, è il pagamento in cassa: tanto per iniziare, non la solita barriera di casse da superare, come se fossimo a una fermata della metropolitana, bensì posizionate in sequenza, divise fra casse con pagamentro tradizionale e casse con self scan. Per ottimizzare il flusso delle casse tradizionali la coda è unica, così da evitare inutili discussioni o sentirsi penalizzati perchè accodati nella fila più lenta. E, ancora, per facilitare il pagamento e ridurre i tempi, anche dei cassieri, vi è la possibilità di scaricare un’app attraverso la quale è il cliente stesso che legge il codice a barre tramite il proprio smartphone durante la fase d’acquisto, evitando così la perdita di tempo tipica delle operazioni di pagamento.

Questo è ciò che vede il cliente. Ma dietro c’è molto altro ancora, molto metodo e molta ingegnerizzazione: logistica, studio dei lay out, formazione del personale, servizi web per restare sempre connessi, indagini sui gusti e sulle aspettative d’acquisto. L’obiettivo è far sentire i clienti a proprio agio fino a rendere realmente piacevole l’esperianza vissuta, come dimostra la piramide della Customer Experience (appronfondisci qui).

Il punto d’arrivo è rendere le persone felici all’interno del punto vendita. Qui si vince la sfida della fedeltà.

HOTEL VILLAGGIO NEVADA: UN ARRIVEDERCI AL SAPORE DI FAMIGLIA

Il momento del commiato e dell’arrivederci: nelle strutture alberghiere di tutto il mondo, questa fase di passaggio dell’esperienza del cliente viene indicata con il termine tecnico di check out. Il receptionist, gentilmente, ritira la chiave, riceve il pagamento e, infine, con un sorriso ben stampato sulle labbra, saluta i suoi clienti e dice: “Arrivederci! Buon Viaggio. Alla prossima.”

Ma da poco tempo a questa parte, all’Hotel Villaggio Nevada di Folgaria in Trentino, le cose funzionano diversamente. Carlo Fabbri, direttore dell’albergo, dopo aver partecipato a un incontro sul tema della Customer Experience tenuto da Mario Sala (Italian Customer Intelligence), ha deciso di andare oltre il protocollo e pianificare nel delicato touchpoint del check out una Customer Experience superiore con l’obiettivo di superare le aspettative dei propri clienti.

nevada 1-minL’albergo, un 3 stelle “a portata di bambino”, scelto come meta ideale dalle famiglie, ha trovato, ispirandosi alla metodologia del “GLUE”, una deliziosa idea per lasciare un’indelebile ricordo nei propri ospiti: regalare, alla partenza, un cartoncino di uova (avete presente le tradizionali confezioni che si trovano al supermercato?) con il logo dell’Hotel e la frase “Ogni famiglia ha un segreto, e il segreto è che non è come le altre famiglie”. All’interno del cartoncino, riposto in un cesto di vimini, invece che uova, quattro gustosi muffin preparati in casa dallo chef dell’Hotel!

Una trovata che ha già lasciato il segno nei primi clienti che, dopo aver ricevuto il piccolo e inaspettato pensiero, hanno lasciato l’albergo piacevolmente sorpresi, entusiasti e con il desiderio di tornare e di raccontare quanto accaduto.

Il Glue (acronimo di Giving Little Unexpected Extra), infatti, è una piccola occasione di valore aggiunto, seminata lungo qualche tappa del viaggio del cliente, capace di imprimersi, di “incollarsi” con forza nella sua memoria (approfondisci qui). Una sorpresa inaspettata e fatta della stessa stoffa di quelle promesse che il brand o l’azienda vogliono veicolare. Un dettaglio che rappresenta l’intera essenza del brand, insomma.

Nevada2-minNel caso dell’Hotel Nevada, il Glue collocato agli sgoccioli del viaggio del cliente (in tutti i sensi), quando le aspettative sono ormai esaurite, è l’occasione per ribadire le proprie promesse di calore e accoglienza famigliare ed è il mezzo per trasformare i propri clienti in promoter entusiasti dell’esperienza vissuta presso la struttura. Perché, infondo, è l’ultima impressione quella che conta (approfondisci qui)!

Italian Customer Intelligence è qui per questo: per supportarti nella costruzione di una Customer Experience superiore e quindi, nell’ideazione e nella scelta del tuo Glue ideale, capace di tenere incollati i tuoi clienti alla tua azienda e al tuo brand!

VODAFONE: 70 MILIONI DI INTERAZIONI AL MESE E UNA CUSTOMER EXPERIENCE “FI-GITALE”

Progettare un viaggio del cliente end to end coerente in tutti i touchpoint indipendentemente dal canale di accesso all’azienda è stato uno dei cosiddetti “hot topics” discussi al passato Customer Experience Exchange for Telecoms tenutosi a Londra lo scorso Aprile (leggi qui).

Una sfida che è stata pienamente accolta da Vodafone che, consapevole dell’urgente necessità di una strategia multi e omnicanale per stare al passo con le esigenze dei propri utenti, ha lanciato nell’Ottobre del 2015 il programma We CARE, volto a consolidare e valorizzare il rapporto con il cliente in termini di connettività, trasparenza, riconoscimento della fedeltà, accessibilità ed efficacia del servizio.

cominelliIntervistata da Data Manager, Barbara Cominelli, Direttore Commercial Operation & Digital di Vodafone Italia che viene spesso chiamata a intervenire sul tema – non ultimo proprio il Customer Experience Exchange – spiega come, a partire da questo nuovo programma, Vodafone Italia stia attuando una ridefinizione dell’esperienza dei propri clienti e del loro customer journey. Strumento fondamentale per questo lavoro è la nuova app MyVodafone, attraverso la quale il cliente può accedere in qualunque momento e in qualunque posto a tutto il mondo Vodafone controllando spese e consumi, ricevendo offerte personalizzate, adeguando e modificando secondo le proprie esigenze il piano tariffario, integrandolo con servizi diversi, ma anche accedendo direttamente ai canali fisici attraverso una live chat: “Con la nostra App il cliente può avere tutta l’esperienza Vodafone in tasca, in un continuum di esperienza. (…) Inizia il suo journey sulla app in selfcare e nel momento in cui ha bisogno di assistenza apre una chat istantanea con un nostro consulente, senza bisogno di cambiare touchpoint”, spiega Cominelli.

myvodaIl cliente oggi vuole un’integrazione sempre più fluida di fisico e digitale, uno non esclude l’altro, per questo la Cominelli conia il termine “fi-gitale” per spiegare l’esperienza che Vodafone si sta impegnando a offrire al proprio cliente: 70 milioni di interazioni ogni mese attraverso i canali messi a disposizione (negozio, customer care, social media, website, e l’app MyVodafone), 40 milioni delle quali proprio attraverso l’app.

Alla ricerca di idee sempre nuove e fresche che possano coinvolgere l’esigente e digitalizzato cliente dell’Era del Cliente, Vodafone ha istituito “My Vodafone Hack”, una maratona giunta quest’anno alla sua seconda edizione che vede giovani sviluppatori, startupper, esperti del mondo IT, del digital design e del digital marketing sfidarsi nella presentazione di un progetto innovativo mirato a migliorare il controllo e la gestione del traffico dati attraverso l’app My Vodafone.

L’edizione svoltasi a metà Aprile presso il Vodafone Village di Milano è stato vinto dal gruppo Rednovation che ha presentato “Vee”, un amico virtuale che affianca e aiuta l’utente durante la navigazione in MyVodafone senza dimenticare di fargli gli auguri di compleanno o di informarlo sulle previsioni meteo. Un modo per non far mancare un tocco di “umanità fisica” alla facilità e all’immediatezza dell’interazione mobile.

ACCESS EXPERIENCE, QUESTA SCONOSCIUTA…

Tempo fa avevamo voluto soffermarci a chiarire la differenza tra Customer Experience e Shopping Experience (leggi qui). L’esigenza nasceva dal fatto che, spesso e volentieri, la prima viene “ridotta” alla seconda che, per quanto possa essere progettata in maniera impeccabile e per quanto possa essere davvero entusiasmante, risulta comunque solo una parte di un viaggio molto più lungo e articolato che il cliente intraprende nell’interazione e nella relazione con un’azienda o con un brand (vedi immagine).

Il Viaggio del Cliente - Forrester Research
Il Viaggio del Cliente – Forrester Research

Un viaggio che ha inizio ben prima dell’effettivo acquisto del prodotto o del servizio, quando il cliente “scopre” e poi “valuta” il brand, fino a prendere la decisione di acquistare un suo prodotto, alla fine della fase, appunto, dell’acquisto. Un viaggio che continua anche dopo l’acquisto, perché il cliente dovrà effettivamente “entrare in possesso” di quanto acquistato per poi utilizzarlo. Dovrà anche tornare a relazionarsi con il brand se durante una delle tappe precedenti qualcosa è andato storto.

È proprio di questa fase di “accesso” del viaggio del cliente che vogliamo parlare oggi. Quella fase estremamente complessa e misteriosa nella quale il cliente, finalmente, entra in possesso del suo acquisto.

Abbiamo recentemente accennato anche alla “Opening Experience” (leggi qui), sottolineando come il packaging di un prodotto, interponendosi in qualche modo tra il cliente e il suo acquisto, ne influenzi l’esperienza creando delle aspettative. Si tratta di uno dei tanti touchpoint che il cliente affronta nella fase di acquisto: il prodotto potrebbe essere un profumo “chiuso” dentro una bella scatolina che veicola la “prima impressione” sulle promesse del brand. Nell’acquisto di un profumo, infatti, spesso non è solo l’esperienza olfattiva che vince, ma anche quella visiva: quante volte vi è capitato, quanto meno, di soffermarvi su un profumo la cui boccetta o la cui scatola vi hanno fatto sognare ancor prima di annusarlo?

Ma il packaging influenza anche la fase successiva del viaggio del cliente, quella, appunto, dell’accesso. Pensate di vedervi arrivare a casa il vostro nuovo prodotto Apple acquistato online. Addirittura, in questo caso, è la prima volta che toccate il “vostro” Iphone. Certo, ne avete visti molti negli AppleStore, o nelle mani dei vostri amici. Ma quello che sta arrivando è il vostro. Anche qui, il packaging è una grossa parte dell’esperienza. Apple lo sa tanto bene da avere un’intera parte dell’azienda dedicata proprio alla sua progettazione.

Ci sono certi prodotti e servizi, soprattutto quelli che hanno a che fare specificatamente con l’identità della persona, come profumi, vestiti e accessori, oggetti di arredamento, un taglio dal parrucchiere, che, dopo la fase di acquisto, rendono la fase di acceso una sorta di riconferma dell’acquisto stesso.

A chi non è mai capitato, dopo l’acquisto di un bel paio di scarpe, di continuare sulla via dello shopping e imbattersi in altre vetrine di negozi di calzature e ammirare altri tipi di scarpe? Oppure di tornare a casa e cercare su internet se ci fosse lo stesso modello a un prezzo più basso? Anche dopo che il paio di scarpe è stato acquistato, è soggetto a una riverifica e a una riconferma della scelta effettuata.

Oppure un bel taglio nuovo: sotto le luci luminose e gli specchi perfetti del parrucchiere, dopo che le sue esperte mani hanno accorciato e colorato qua e là, ci sembra di essere veramente perfetti. Ma quando poi torniamo a casa e ci guardiamo al “nostro” specchio, quello che tutte le mattine sembra non fare altro che ingigantire ogni nostra più piccola imperfezione, siamo ancora così convinti?

Così come per un bel vestito comprato quasi “d’impulso”, attratti dalla perfetta esperienza provata nel negozio. Quando si torna a casa e si riprova il capo, è quello il momento in cui davvero si entra in suo possesso. È quello il momento in cui davvero decidiamo, noi soli davanti allo specchio, lontani da occhi indiscreti, se quel vestito è quello giusto, se davvero ci sta bene, se davvero l’esperienza provata nel camerino è reale.

Questa fase di “passaggio” tra la tappa “acquisto” del viaggio del cliente e la tappa “uso” è la prova del nove che conferma definitivamente che l’acquisto è quello giusto e non deve essere restituito.

È una tappa, come si è detto, estremamente misteriosa, perché l’azienda e il brand molto difficilmente riescono a tracciare e a identificare l’esperienza che il cliente effettivamente prova.

La soluzione? Sicuramente cercare, per quanto possibile, di “rizzare le antenne” in tutti quei touchpoint che in qualche modo sono coinvolti nella tappa: il personale del negozio o del customer service, il packaging, le istruzioni di settaggio di device tecnologici o di montaggio di mobili o oggetti di arredamento, la logistica. Sono tutti piccoli tasselli che possono contribuire a ricavare qualche informazione su come sia davvero andato l’acquisto effettuato nel nostro retail, online o offline che sia.

TOUCHPOINT & BEAUTY RETAIL

Continua il viaggio di Italian Customer Intelligence alla scoperta dei touchpoint di diversi settori. Oggi analizzeremo le aspettative, le debolezze e le aree di opportunità che possono nascere all’interno del Beauty Retail, inteso come profumeria. Che si tratti di grandi catene, di singoli negozi, di corner o di flagship monobrand di aziende cosmetiche, ricordiamo sempre che il Cliente dell’Era del Cliente, sempre più informato sull’offerta disponibile, sempre più capace di reperire il prezzo e le condizioni di acquisto migliori, è anche sempre più desideroso di un rapporto diretto con il brand, al quale chiede di differenziarsi rispetto alla concorrenza attraverso la proposta di una Customer Experience davvero convincente.

La progettazione e l’offerta di un’esperienza in linea con quelle che sono le promesse del brand diventa quindi fondamentale per sfruttare al meglio le moltissime opportunità che nascono in ogni momento di relazione Cliente-brand. Opportunità che in pochissimo tempo possono invece diventare grosse aree di rischio di perdita di quel Cliente che si troverà a disagio o confuso rispetto alle aspettative che si è creato proprio in relazione alle promesse implicitamente o esplicitamente ricevute dal brand.

Anche in questo caso, sono moltissimi i touchpoint che il Cliente può incontrare nella diversità dei percorsi che può compiere scoprendo e valutando il brand, decidendo poi di compiere un acquisto che poi userà (non senza prima avervi in qualche modo acceduto), fino a necessitare di un intervento di assistenza. Di nuovo, quindi, ci limiteremo, in questa sede, a indicare quelli macroscopici, principali ed evidenti.

Ne risulterà un quadro chiaro, anche se semplificato, il cui punto fondamentale è che ognuna delle mancanze segnalate può causare la perdita di un Cliente (infondo, quante altre profumerie ci sono in città? Quanti altri luoghi – farmacie, supermercati, centri estetici – nei quali posso acquistare il prodotto che cerco?). Al contrario, essere all’altezza delle aspettative del Cliente o, meglio, essere sul pezzo di quelle che sono le opportunità per stupirlo lo trasformerà in un promoter della profumeria, in particolare, e del brand, in generale, pronto a raccontarne le meraviglie ad amici e colleghi.

Ricordiamo, inoltre, che la quantità di dispositivi digitali e la possibilità di una costante connessione a internet “estende” il retail offline al mondo online, aumentano notevolmente, da una parte, le possibilità di interazione che il “super consumatore” odierno ha a sua disposizione, e, dall’altra, gli strumenti con i quali il brand può creare e progettare la sua offerta di esperienza.

tpBeautyIT

Come anticipato, questo è un quadro abbastanza semplificato, ma il punto è: ognuno di questi punti di debolezza può far perdere al punto vendita (e quindi al brand!) il Cliente – con il rischio, oltretutto, che riporti la sua esperienza negativa sia ad amici e conoscenti offline, sia all’enorme pubblico di internauti online.

Lo scopo di un serio lavoro sull’individuazione dei touchpoint della propria azienda e, successivamente, sull’esperienza che in essi si propone ai clienti è quello di farli diventare promoter del brand: farli tornare (in negozio o sull’e-commerce), e far sì che il loro passaparola non solo non sia negativo, ma sia addirittura entusiasta.

Questo è tanto necessario nel retail diretto del brand, quanto nel Franchising dove l’offerta della Customer Experience deve più che mai essere allineata con i valori del brand in ogni punto vendita (approfondisci qui).

Ovviamente, non si tratta semplicemente di comprendere quali siano le aspettative del Cliente e intercettare i suoi desideri e i suoi bisogni intrinsechi, ma anche di stabilire i termini entro i quali si possa ri-definire la sua Customer Experience, con l’intento di sorprenderlo ed entusiasmarlo. In sostanza, non ci basta sapere che il Cliente vuole essere “trattato bene”, ma bisogna definire cosa questo significhi qualitativamente e quantitativamente.

Un lavoro che, evidentemente, non si accontenta di “statici” ed esemplificativi suggerimenti di opportunità, ma che necessita di un piano di azione specifico e approfondito per la propria realtà aziendale.

Inoltre, è indispensabile ricordare che il viaggio del Cliente nella sua relazione con un brand non si limita al solo negozio, offline od online che sia (fase di “acquisto”): sono diverse, infatti, le tappe toccate prima di raggiungere lo store e una volta usciti. I fondamentali momenti di “accesso” (approfondisci qui), “uso” e “assistenza” (approfondisci qui) successivi sono estremamente delicati e complessi, tanto da necessitare un’analisi a parte.

MA CHE COS’È, DAVVERO, UN’ESPERIENZA?

“Fare esperienza”, “avere esperienza”, “la mia esperienza dice che ..”

Utilizziamo la parola esperienza in molti modi, in diversi contesti e, spesso, con diversi significati.

Mario Sala
Mario Sala, Partner di Praxis Management e Brand Owner di Italian Customer Intelligence

Ma che cosa è, davvero, un’esperienza e, poi, che cosa significa, se è riferita al ruolo di cliente?

Ci aiuta in questo l’etimologia della parola, che viene dal latino “experientia”, termine derivante a sua volta da “experiens”, participio presente del verbo “experiri”, cioè provare, sperimentare.

Certamente, quindi, l’esperienza è un “provare”, o, meglio, uno sperimentare, proprio nel senso più genuino di fare un esperimento!

Qual è il fine di questo provare, sperimentare, fare un esperimento?

Il fine, per uno scienziato come per un bambino, è il “conoscere”!

Ma per conoscere non basta provare, occorre un’altra azione, quella “decisiva”. Così decisiva che è, insieme al provare, anzi simultaneamente a questo, nella natura stessa dell’esperienza: giudicare!

L’ESPERIENZA È, QUINDI, UN PROVARE SEGUÌTO, SIMULTANEAMENTE O QUASI, DA UN GIUDIZIO. COL FINE DI CONOSCERE! (SOPRATTUTTO SE STESSI)

IL CLIENTE GIUDICA, QUASI SIMULTANEAMENTE AL PROVARE, LA CORRISPONDENZA TRA CIÒ CHE HA SPERIMENTATO (O CHE GLI VIENE PROMESSO DI SPERIMENTARE) E I SUOI BISOGNI E DESIDERI!

È un’operazione spesso velocissima e delicata perché il cliente, come tutte le persone, raggiunge una chiarezza su cosa davvero ha bisogno e desidera proprio…sperimentando!

È per questo – io credo – che Kerry Bodine, nella sua nuova riformulazione del viaggio del cliente, sottolinea che il cliente vive la fase della ricerca come “divergente”: desidera fare entrare nella sua traettoria tutte le opzioni che ha a disposizione e che lo aiutino a chiarire il suo bisogno.

Cosicché l’offerta o l’occasione di un’esperienza è spesso preziosa proprio perché, aldilà del giudizio finale, serve per far emergere sempre più alla propria consapevolezza che cosa davvero desideriamo e di che cosa davvero abbiamo bisogno.

Negli innumerevoli touchpoint che costituiscono l’interazione tra il brand e un cliente, quest’ultimo prova e giudica ciò che ha sperimentato in termini di corrispondenza con quello di cui ha bisogno o desidera chiarendosi sempre più, progressivamente o in un lampo, che cosa davvero desidera e di che cosa davvero ha bisogno.

L’entusiasmo che il cliente vive, quando scopre, valuta, sceglie e utilizza un prodotto o un servizio, è l’entusiasmo di chi finalmente coglie che cosa davvero vuole ed è entusiasta di quel prodotto o servizio proprio per questa scoperta e questa corrispondenza. E l’entusiasmo nasce proprio per questa conoscenza di sé che “l’esperienza” genera.

In ogni touchpoint il brand può quindi invitare il cliente a un’esperienza che aiuta a realizzare questa scoperta entusiasmante. Ecco perché ogni touchpoint va curato nei minimi dettagli: perchè ognuno di essi parla del brand tutto intero, cosi come il frammento fa conoscere la natura del tutto!

Non a caso, Stan Phelps – in modo geniale – nella sua teoria del purple goldfish, sottolinea l’importanza del glue (giving little unexpected extras): si tratta, infatti, di un touchpoint special, creato appositamente, nel quale, con facilità e immediatezza, il cliente vive un’esperienza che gli fa comprendere davvero la natura intera e la stoffa delle promesse del brand.

Come il cliente giudica questa “corrispondenza” dipende da moltissimi fattori soggettivi, poco o per nulla in mano al brand. Ciascuno di noi giudica in base alla sua situazione personale e in base alla sua “visione del mondo”, all’educazione che ha ricevuto e alla sensibilità che ha maturato.

(Certo dal brand dipende l’atmosfera nella quale il cliente vive questa delicata fase del giudizio. In questo ha davvero tanta importanza il grado di “felicità” che le persone hanno di lavorare per il loro brand. Per questo, io credo, Annette Franz insiste sulla relazione tra dipendenti felici e customer experience).

Ecco perché è importantissimo che ogni brand sappia comunicare le sue promesse, i suoi valori, la sua sensibilità: sarà questa visione del mondo comunicata dal brand che attirerà clienti “simili a sé”.

Rimane un ultimo problema: in ogni touchpoint il brand deve saper proporre un’esperienza in linea con la propria visione del mondo!

(Il mondo si vede bene dall’alto, non a caso la parola desiderio viene anche essa dal latino, de-sidera , dalle stelle!)

Questo è il cuore del lavoro di chi si occupa di Customer Experience.

Mario Sala

 

 

TOUCHPOINT: ISTRUZIONI PER CAMBIARE ROTTA E SPICCARE IL VOLO

                   “Ogni volta che un Cliente entra in contatto con qualsiasi aspetto, anche remoto, di un business è un’opportunità per lasciare il segno.”

Così Jan Carlzon, Presidente di SAS Group (Scandivian Airlines System) dal 1981 al 1994, definiva quelli che oggi chiamiamo touchpoint. Lui li chiamava “moment of truth”, il “momento della verità”.

Viaggio del Cliente - Forrester Research
Viaggio del Cliente – Forrester Research

Si tratta, appunto, di tutte quelle interazioni, di tutti quei momenti in cui il Cliente si interfaccia con l’azienda all’interno di un vero e proprio viaggio suddiviso in tappe, da quando la scopre (cercando attraverso un motore di ricerca, grazie al consiglio di un amico o scontrandosi con un’insegna per strada), a quando valuta il prodotto o il servizio, a quando lo acquista, lo utilizza, a quando, eventualmente, ha bisogno di assistenza (vedi foto). Sono veri e propri “momenti della verità” perché in ognuno di essi il Cliente cerca una corrispondenza tra quello che è il suo bisogno, il suo desiderio, e ciò che sperimenta. Anzi, di più: come ogni persona, anche il Cliente chiarisce a se stesso quelli che sono, appunto, i suoi bisogni e i suoi desideri proprio provando, facendo esperienza di qualcosa.

Ogni touchpoint, quindi, è l’occasione – da una parte – per il Cliente di raggiungere una consapevolezza in termini di corrispondenza con quello di cui ha bisogno o che desidera e – dall’altra – per l’azienda o il brand di favorire questa presa di coscienza. Da qui l’importanza – per ogni business – di conoscere e ri-conoscere i touchpoint che il Cliente attraversa per potergli così offrire – in ciascuno di essi – un’esperienza che faccia emergere al cliente stesso la chiarezza del suo bisogno/desiderio: una chiarezza che deve entusiasmarlo totalmente!

Dal momento che ogni parte, ogni dettaglio è fondamentale sia per la creazione e la costituzione di un tutto più grande, sia per svelarne la natura vera e intera, un solo momento, una sola di queste interazioni, se non permette al Cliente di riconoscere una corrispondenza o, peggio, se gli fa individuare una “non-corrispondenza”, comporta il rischio che lo stesso Cliente trovi dissonante l’interezza di quello che sta sperimentando.

Durante il suo viaggio, il Cliente ha l’opportunità di vivere tante e ripetute esperienze quante sono le possibilità di touchpoint che gli capitano. In questo senso, quindi, ciascun touchpoint è fondamentale per far sì che il Cliente chiarisca sempre più a se stesso quella corrispondenza con i propri bisogni e desideri e che quindi decida di continuare il suo viaggio, fino a portarlo a termine.

Quando Jan Carlzon diventa Presidente di SAS, il gruppo sta perdendo 17 milioni di dollari all’anno e ha la reputazione di essere una delle compagnie aeree più in ritardo d’Europa (quattordicesima su 17 compagnie aeree). Carlzon intraprende un vero e proprio cambio di rotta: “Finora abbiamo fatto volare aerei, e lo abbiamo fatto molto bene. Ora dobbiamo imparare la difficile lezione di come far volare le persone”.

Ogni touchpoint deve essere l’occasione per l’azienda di “far volare” il suo Cliente verso i suoi bisogni e desideri, ed è un’occasione che deve essere assolutamente sfruttata come unico mezzo per offrire una Customer Experience che lo entusiasmi. Il risultato? Il Cliente tornerà, spenderà anche di più (come è stato rigorosamente documentato) e suggerirà azienda o brand ad amici e colleghi.

Nelle prossime settimane Italian Customer Intelligence intraprenderà un viaggio attraverso i principali “moment of truth” di diversi settori: qual è l’esperienza che il Cliente cerca in ciascuno di essi? Quali sono le possibili mancanze nell’offerta? Quali sono le opportunità di miglioramento per “farlo volare”?

Seguici su www.newsandcustomerexperience.it

IL VERBO TO ENGAGE E L’ARGENT DI PEGUY!

Ogni azienda è, in fondo, un ecosistema. E come tutti gli ecosistemi aperti si regge su un equilibrio dinamico. Il grado di apertura dell’ecosistema (e un’azienda è per sua natura un sistema aperto al mercato) influisce sulla dinamicità dell’equilibrio necessario alla sua stessa esistenza.

Divertitevi ad andare in un negozio e a segnare su un foglio tutto quello che il cliente può vedere, toccare, ascoltare, sentire…

In breve supererete le 150 cose. Ogni cosa che, quindi, il cliente vede, tocca, ascolta, sente è generata, fatta, prodotta da un numero di persone che spessissimo il cliente non vede (e viceversa!). Per ogni cosa potete ricostruire l’ecosistema aziendale che, a volte assai inconsapevolmente, la produce e la sovraintende (si trattasse di un profumo nell’aria del negozio, di una T-shirt, di uno sconto, di un display, di uno specchio, di una vetrina, della dicitura della privacy per ottenere il consenso a mandare mail…bè…arrivate a 150!)

Quanto più riuscirete a dar visibilità all’esperienza del cliente presso l’ecosistema aziendale che la influenza, tanto più potrete aprire al cliente il vostro ecosistema aziendale, coinvolgendolo in un approccio davvero outside in.

Strisce

L’operazione non è sempre semplice per vari motivi:

a) I commerciali spesso si ritengono gli unici depositari dell’esperienza e della voce del cliente e vogliono essere loro a comandare l’ecosistema e non lasciarlo fare al cliente, ritenendo spesso di capire meglio del cliente che cosa “davvero” desideri.

b) Non si ha chiarezza sui touchpoint del cliente con l’azienda in tutte le tappe del suo viaggio: quando il cliente scopre il brand, quando valuta qualcosa, quando acquista, quando utilizza quello che ha comprato e quando chiede assistenza. Ciascuna “tappa” ha decine e decine di touchpoint spesso trascurati e influenzati più o meno consapevolmente da reconditi pezzi di ecosistema aziendale.

c) Non è facile coinvolgere le persone nell’esperienza del cliente. Spesso i “capi” chiedono attenzione verso se stessi piuttosto che verso ciò a cui loro dovrebbero soprattutto guardare e pensare: al cliente.

Questo “problema” del coinvolgimento delle persone è molto sentito: addirittura esiste un’associazione “Engage For Success” parecchio seguita. E il verbo to engage è diventato di moda nella parlata dei manager. Come se occorresse “farla tanto lunga” per coinvolgere, chiedere impegno, energia, forza, creatività, si…in una parola …per lavorare!

Già Peguy, nel 1914 si lamentava con se stesso di farla troppo lunga, nel bellissimo pezzo della sedia tratto da “L’ Argent” (http://praxismanagement.it/praxis-management-likes/). Ma è questo lo spirito che tanti sanno vivere e suscitare ancor oggi.

STARBUCKS E IL FRAPPUCCINO CHE FA PERDERE LE STAFFE

“Terribile esperienza: il 12 Maggio, 86-51 Broadway, Store Elmhurst, la direttrice Melissa sembra avere un problema di gestione della rabbia.

Ha preso il mio ordine per un “Frappuccino”. Non ho sentito il suo collega chiedermi il nome da scrivere sulla tazza in un primo momento perché stavo aprendo la app sul mio cellulare per pagare. Subito Melissa ha cominciato a gridarmi addosso, dicendo: “hey helloooo!” con atteggiamento molto sconveniente. L’unica cosa che ho detto lei è “Scusa, non avevo sentito, ma non c’è bisogno che urli!”.

Ho evidentemente aggravato la situazione. Lei ha preso e agitato lo scanner mentre stavo cercando di pagare poi mi ha detto di andarmene e non tornare. Stavo cercando di chiedere ad altri dipendenti di poter spiegare, ma la direttrice ha oltretutto iniziato a gridarmi di lasciare lì la cannuccia/biscotto (un prodotto Starbucks – n.d.a.) che avevo in mano accusandomi di volerla rubare!”.

La risposta tramite Facebook da Starbucks non si è fatta attendere:

“Signora Chen, questa esperienza non riflette il servizio che i nostri partner forniscono ai nostri clienti ogni giorno. Qualcuno dal nostro management la incontrerà al più presto per scusarsi e far valere le sue ragioni“.

Apprendiamo che pochi giorni dopo la dipendente che ha completamente perso le staffe è stata licenziata.

Un portavoce per il “gigante delle caffetterie” ha dichiarato alla NBC che il dipendente – che era un capoturno, non una store manager come indicato dalla cliente offesa – è stata licenziata non appena Starbucks è venuta a conoscenza della situazione.

Ruby Chen dice che Starbucks l’ha contattata per dirle che stavano “prendendo sul serio la sua denuncia su quanto accaduto”. La società le ha anche offerto una carta regalo dal valore di $100.

Sicuramente la cliente Ruby Chen non ha vissuto un’esperienza indimenticabile nello Starbucks incriminato; la dipendente che ha perso le staffe era uno dei punti di contatto più importanti tra cliente e brand all’interno del locale e ha scatenato un putiferio, causando un grosso problema di immagine a Starbucks, che è subito corso ai ripari cercando di gestire la situazione critica offrendo una pronta e immediata assistenza alla cliente danneggiata.

Il personale di un locale rappresenta la miglior risorsa per offrire una customer experience superiore e superare le aspettative del cliente: biosogna però chiedersi, darsi una risposta ed eventualmente intervenire, su alcune domande:

  • Quale esperienza il mio brand/locale/ristorante desidera offrire ai clienti?
  • Quali sono le promesse che il mio brand/locale/ristorante fa ai clienti?
  • I collaboratori sono tutti a conoscenza delle promesse del brand e dell’esperienza che desideriamo offrire?
  • I collaboratori sono adeguatamente formati per offrire una customer experience superiore ai clienti del brand/locale/ristorante?

Per intervenire su queste ed altre fondamentali domande e per conoscere come coinvolgere tutto l’ecosistema aziendale nell’offerta di customer experience davvero in linea con l’identità del brand e le promesse che il brand fa ai clienti, scrivi a press@newsandcustomerexperience.it

Go to Top