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“LA DIVIN RICETTA”

La cultura del cliente in cucina!

Non molto tempo fa lessi un articolo che diceva “ogni paese è come un brand e l’Italia è uno dei brand più importanti al mondo”.

Grazie al progetto “la Divin Ricetta” di Grana Padano quella frase mi è tornata alla mente e, solo oggi, sono riuscita a coglierne l’essenza profonda.

“La Divin Ricetta” è il progetto attraverso cui, l’azienda produttrice di una delle eccellenze culinarie più ricercate del nostro paese, ha voluto celebrare i 700 anni dalla morte del “padre della cultura italiana”, Dante Alighieri.

Si tratta di una miniserie di video che, sulle note di un jingle e di una voce narrante, racconta in terzine dantesche (quasi fossero delle vere e proprie poesie) le ricette di alcuni piatti cardine della cucina italiana, in cui il grana non può mancare.

Attraverso un amalgama di cultura e cucina Made in Italy, questi contenuti multimediali sono in grado di far risaltare, in un modo tutto nuovo, non solo Dante e il Grana Padano, ma la cultura del popolo italiano!

Cultura, si, perché anche il food fa parte della cultura di un popolo, tuttalpiù quando si parla dell’Italia!

Grazie a questi mini-video Grana padano ha trovato una modalità originale per raccontarsi un po’ a tutti: grandi, piccoli, mamme, studenti… e soprattutto ad emozionare, toccando corde del nostro vissuto che ci appartengono e ad esaltare le radici più profonde non di un semplice prodotto, ma di tutti coloro che quotidianamente lo portano sulle loro tavole!

Insomma, sarà per le note dantesche che ognuno di noi ha sentito riecheggiare almeno una volta sui banchi di scuola, o per il jingle di sottofondo e la voce narrante che rimanda ai cantastorie di tempi assai lontani, o semplicemente per la presentazione di piatti che fanno parte della nostra quotidianità… qualunque sia la ragione, dopo aver visto i video l’unica cosa che vien da fare è mettersi ai fornelli e preparare un delizioso piatto del Brand Italia, che abbia come protagonista il Grana Padano! 

 

CREDO IN TE!

La voglia di investire in brand con i nostri stessi valori.

La nostra società è decisamente più attenta alle necessità e ai diritti di tutti. Si percepisce un crescente desiderio di celebrare le diverse sfumature dell’essere umano. Il mondo è fatto da un’infinità di colori, perché rappresentarne solo una parte?

Non è certo un segreto che i consumatori di oggi tendano molto di più a orientare i propri acquisti verso brand che rispecchino i propri valori e il proprio aspetto fisico.

Acquistare un determinato prodotto, ormai non è più solo per mera necessità. Il desiderio nasce dalla voglia di sentirsi appartenente a un determinato gruppo. Ma che accade se i tuoi brand dei sogni non fanno altro che escluderti?

Un po’ come se fosse una persona altezzosa, i brand a volte sembrano suggerirti “Non fai per i nostri prodotti”. Questo perché non si guarda al di là del solo aspetto esteriore. Non basta un bella estetica a vendere un brand, o almeno non oggi.

Ma come fanno a farti sentire escluso?

Nei modi più disparati. A partire dalle pubblicità, magari con soli modelli bianchi, oppure dal sito web con solo modelli molto alti e magri. Facendoci magari sentire “sbagliati” perché lontani esteticamente da quanto da loro proposto a modello.

Per questo motivo, ho sempre avuto il piacere di navigare in siti web come ASOS, nel quale sono presenti modelli in tutte le taglie, con smagliature in evidenza e tatuaggi. Una boccata di libertà!

Ma non è l’unica che in ambito moda si sta adattando a questa nuova necessità. Tra tutti si ricorda anche Zara, la più grande catena del fast fashion. Dopo le critiche ricevute nel 2017 per una campagna curvy, in cui venivano proposte modelle ancora troppo magre, sembra che il colosso si sia reso conto di dover cambiare. Di qui la scelta di assumere Jill Kortleve, modella di 25 anni scelta come prima testimonial curvy.

A confermare questa teoria Sonia Thompson Media Group, un’esperta Customer Experience Strategist. In un’intervista per Forbes afferma che, “per le persone è oggi prioritario spendere i propri soldi a supporto di brand che promuovono valori in cui credono davvero”.

Ritengo che un brand, soprattutto nell’ambito moda, possa fare molto anche per aiutare il diffondersi di messaggi importanti che possano evitare, o perlomeno non incitare, il diffondersi di disturbi alimentari o la cattiva percezione del proprio corpo. Si tratta di una grande responsabilità sociale, soprattutto per i brand che hanno come target i ragazzi più giovani.

QUAL È IL “CANALE” MIGLIORE PER ARRIVARE AI PROPRI CLIENTI?

Do you contact customer where “they” want to be contacted? È questo il titolo di un interessante articolo scritto da Brian Cantor tra le news  sulla customer experience del sito Call Center Iq (www.callcenter-iq.com)Cantor racconta che cosa è accaduto con la sua compagnia telefonica. Innanzitutto fa una premessa. Nei due anni passati con il suo operatore, gli unici contatti con la sua compagnia sono stati via web, dato che non sopporta messaggi e chiamate. Un giorno però inizia a ricevere telefonate dal gestore del suo abbonamento telefonico e non potendo rispondere gli vengono lasciati dei messaggi vocali nella segreteria telefonica dai contenuti poco chiari. Richiama e viene informato di un pagamento non andato a buon fine che necessita di essere ripetuto. Cantor paga immediatamente il conto, ma rimane molto stranito per il fatto di essere stato contattato telefonicamente, vista la modalità di interazione da lui scelta fino a quel momento. Forse, la compagnia telefonica di Brian non aveva dato molto peso a questo aspetto.

call centerPuò capitare che gli operatori mobili pensino di essere customer-oriented, informando o tenendo aggiornati i propri clienti con telefonate che li avvisano di nuove offerte o promozioni esclusive. «Ma spesso questa dimostrazione di consapevolezza può costituire una simultanea dimostrazione di inconsapevolezza». Già, perché oggi i canali con cui poter raggiungere i propri consumatori sono molti: email, chiamate, sms e via posta, un metodo ormai un po’ desueto, ma da qualcuno ancora utilizzato. La scelta del mezzo con cui raggiungere i propri consumatori non può quindi essere lasciata al caso o all’arbitrio dell’operatore. Al contrario, è sempre suggerita da come il cliente si comporta e interagisce con l’azienda. Prendiamo il caso di Cantor, se in due anni ha avuto contatti con il suo operatore telefonico unicamente via web, in che modo avrebbe voluto essere contattato?

CHI PUÒ INNOVARE PER IL CLIENTE? TUTTI, CON IL CUSTOMER INNOVATION TOOL!

È stata da più parti dimostrata la relazione fra innovazione per il cliente e redditività. Così come è stata ampiamente provata la relazione fra la customer experience, la frequenza d’acquisto, il valore medio di esso, la fedeltà del cliente e addirittura la capacità di attrarre investimenti.

Ma chi, all’interno dell’ecosistema azienda, può proporre innovazioni? Tutti dovrebbero poterlo fare ma, nella realtà, questo avviene di rado.

Per questo Italian Customer Intelligence mette a disposizione uno strumento facile, veloce e al contempo rigoroso per proporre “ai piani alti” la propria idea, la propria innovazione per il cliente e la sua customer experience.

Customer Innovation Tool foto

Attraverso dieci semplici domande lo strumento è in grado di far formalizzare al “proponente” una seria candidatura della propria idea di innovazione ai responsabili dell’azienda.

Recentemente, una bella azienda italiana decisa a mettere al centro di tutto l’ecosistema aziendale il cliente e la sua la Customer Experience, ha raccolto oltre 200 proposte di innovazione da parte dei propri dipendenti grazie a questo strumento.

11+1 RAGIONI PER COSTRUIRE UN CUSTOMER EXPERIENCE OFFICE

1) La Customer Experience vi fa superare la crisi.

2) Di chi è il cliente?

3) Ci vuole metodo.

4) Dall’orientamento al Cliente a mettere il Cliente al centro.

5) Il protagonista e la risorsa della Customer Experience.

6) Customer Experience e Net Promoter Score.

7) Customer Experience e riduzione della complessità aziendale.

8) Una cultura solida.

9) Dati, Big Data, CRM, …

10) Fedeltà e tradimenti.

11) Service, call Center e dintorni.

11+1) L’Era del Cliente.

 

Scopri di più nei prossimi giorni!

Per informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

KERRY BODINE, PER CONTINUARE UN INCONTRO

Dopo la presentazione congiunta di Mario Sala (Praxis Management) e Kerry Bodine (già Vice Presidente della Forrester Research) del nuovo brand ITALIAN CUSTOMER INTELLIGENCE, quest’ultima annuncia l’accordo di collaborazione e partnership sui temi della customer experience a favore dei propri clienti italiani.

In particolare, l’accordo prevede contributi video di Kerry Bodine all’interno del seminario “Outside In Telligence” (in programmazione da marzo), la collaborazione al magazine News & Customer Experience, sia con articoli in esclusiva, sia per la concessione della traduzione di altri contributi con a tema la customer experience e le prospettive che questa apre.

L’accordo stabilisce anche altre forme di collaborazione e partnership per l’offerta di una customer experience superiore ai brand italiani, in particolar modo dopo il “disastroso” report del 2014 della Forrester sui brand che operano in Italia (leggi qui l’articolo).

TO BRING THINGS INTO THE WORLD

Coffee beansBuone notizie per tutto il Made in Italy: le esportazioni di prodotti “belli e ben fatti” crescono e continueranno a crescere.

Il Bello e Ben Fatto (BBF) classifica “tutti quei beni di consumo di fascia medio-alta dei settori alimentare, arredamento, abbigliamento e tessile per la casa, calzature e, recentemente, occhialeria e oreficeria-gioielleria”. Insomma, tutte quelle categorie di prodotti per i quali l’ Italian Lifestyle è famoso nel mondo, rappresentando quei tradizionali valori di eccellenza, bellezza, stile, gusto ed eleganza propri dell’Italia di cui tutto il mondo ha sete.

Il recentissimo studio “Esportare la Dolce Vita” del Centro Studi di Confindustria segnala che sono i mercati emergenti quelli più interessanti: la crescita della loro classe benestante sta aprendo un bacino di consumo che nel 2018 sarà di 194 milioni di persone con potere d’acquisto in più rispetto al 2012. Tra gli altri, Cina, India, Brasile, ma anche le più vicine Russia e Turchia, Paesi dove il valore del bello italiano è già ampiamente riconosciuto e sempre più richiesto.

Ma il bello e ben fatto da solo non basta. É importante che l’immagine dell’eccellenza italiana venga presentata e narrata in modo adeguato. È importante svelarne la storia, la tradizione e il valore. Per questo lo studio ha voluto analizzare il ruolo che la cultura italiana nella sua forma più moderna – la produzione audiovisiva, in generale, e cinematografica, in particolare – ha come veicolo di esportazione.
Interior design of modern violet lounge.La mission di Italian Customer Intelligence è proprio quella di “portare cose nel mondo”
, le belle cose italiane. Portarle attraverso un e-commerce intelligente che non sia soltanto un semplice e sbrigativo canale di vendita (che da solo sarebbe comunque in grado di accrescere fatturati e aumentare le marginalità). Italian Customer Intelligence intercetta questa esigenza e propone un e-commerce che sia soprattutto in grado di raccontare l’origine, la storia e l’arte del nostro prodotto, svelandone il valore qualitativo ancor prima che il cliente possa toccarla con mano, offrendogli la vetrina che gli spetta e raggiungendo in modo veloce e mirato quei 194 milioni di persone in tutto il mondo che domandano la bellezza, il gusto e l’eccellenza italiana.

CUSTOMER EXPERIENCE: VIETATO NASCONDERSI DIETRO AL CLIENTE!

Circa il 70 % dei consumatori smette di comprare prodotti e servizi da un’azienda dopo aver sperimentato una “bassa” customer experience e il 64% incomincia a fare acquisti da un competitor dell’azienda che lo ha reso insoddisfatto.

Nell’era dello “strapotere” del cliente è indubbio che una maggiore attenzione a conoscerlo meglio e a valutare quale effettiva esperienza viva con la nostra azienda si stia pian piano imponendo.

Feedback Online Survey Answers Opinions

In particolare, sondaggi, interviste, richieste di suggerimenti si moltiplicano tanto che spesso il viaggio del cliente con il nostro brand viene interrotto bruscamente – e talvolta invasivamente – con queste continue richieste.

La maggior parte di queste indagini avviene subito prima o subito dopo l’acquisto, mentre pochissime cercano di sondare le altre tappe del viaggio del cliente, quando, a esempio, “scopre” l’insegna o quando effettivamente utilizza i prodotti acquistati. Ancora troppe volte si confonde la customer experience con la shopping experience, dimenticando che la valutazione dell’acquisto che il cliente fa dipende dalla globalità delle sue esperienze con la nostra azienda.

Ma anche dopo che abbiamo subissato il cliente con domande sui suoi bisogni, desideri, gusti ed esperienze, il lavoro per offrire una customer experience superiore è appena all’inizio perché occorre paragonare le richieste dei clienti con ciò che i valori del nostro brand promettono.

promoter e detractor

Seguire “pedissequamente” il cliente, prescindendo dalle caratteristiche del nostro brand, è assai pericoloso e rischia di farci concentrare sui clienti “passives” o “detractors” trascurando i “promoters”, ovvero i “fanatici” del nostro brand, quelli con i quali – e per i quali – davvero progettare una customer experience superiore.

Vietato quindi “nascondersi” dietro la rilevazione delle richieste dei clienti senza passarle al vaglio della modalità originale e unica attraverso la quale il nostro brand può rispondere. Pena: aggiungere la nostra azienda complessità e costi, perdere i promoters e continuare a non convincere i “passives” e “detractors”!

Chi è il GRANDE ASSENTE delle nostre riunioni?

Closeup of executive writing notes during business meetingUna importante e dinamicissima azienda del fast fashion ha iniziato un bel percorso “Outside In” e, per coinvolgere tutto il proprio ecosistema nella centralità del cliente finale, ha lanciato un basket per raccogliere idee e innovazioni dai dipendenti: il tutto per offrire una customer experience superiore. Fra le oltre 200 idee proposte, vi è anche quella di inserire, nel format in uso per i verbali delle riunioni, un “item” che chiede di specificare quali argomenti trattati e quali decisioni siano state prese in favore del miglioramento dell’esperienza del cliente. Sarà così “obbligatorio”, dalle riunioni del board a quelle più operative dell’IT, della logistica o dell’amministrazione, riflettere già nel corso della riunione se il cliente è al centro di quel meeting o altro prende il sopravvento.

IMG_0114Come ha riportato Kerry Bodine al kick-off di Italian Customer Intelligence, è stato stimato che, mediamente, il 95% del contenuto delle riunioni in azienda non riguarda il cliente ma problematiche orientate all’organizzazione dell’azienda stessa. Ancor più acutamente, però, è stato osservato che anche quando il cliente è assente da discussioni e soprattutto da decisioni aziendali, in realtà si ha ugualmente un impatto indiretto sul cliente: negativo! Insomma, il grande assente delle nostre riunioni è proprio il cliente, forse impegnato a cercare alternative alla nostra impresa.

In ogni ecosistema, e quello aziendale lo è, il cambiamento anche di un solo elemento porta all’adattamento di tutti gli altri con gioia, o dolore, per il cliente.

Occorre quindi essere ben consapevoli della relazione tra ciò che il cliente vive e vede e le parti “invisibili” dell’ecosistema aziendale che le generano. Ma se è normale che il cliente non “veda” tutto l’ecosistema aziendale, non è affatto normale il contrario!

Outside In Telligence E L’ERA DEL CLIENTE

I risultati del Customer Index Report della Forrester Research, osservatorio americano indipendente quotato in Borsa (Forr), stilato per la prima volta quest’anno per l’Italia, hanno suscitato scalpore fra i partecipanti al meeting “Outside In Telligence”, svoltosi ieri nella pittoresca cornice del Centro Congressi del Palazzo delle Stelline.

Secondo l’indagine, effettuata su un campione di migliaia di consumatori italiani, delle 31 aziende con le quali essi si interfacciano più spesso nel loro quotidiano, la metà offrono ai loro clienti una customer experience “molto povera”. Nessuna azienda offre una customer experience “eccellente”, e soltanto una (per altro non un’azienda italiana, ma la branch italiana di un’azienda internazionale) offre una “buona” customer experience.Slide

Kerry Bodine, intervenuta all’incontro promosso da Italian Customer Intelligence, ha messo sull’attenti i partecipanti che numerosi sono accorsi al meeting: professionisti rappresentanti di prestigiosi brand del Made in Italy. Passate l’era della produzione, quella della distribuzione e quella dell’informazione, siamo ormai approdati definitivamente (e la ricerca della Forrester ne è la dimostrazione) all’era del Cliente, l’era in cui il cliente ha davvero grande potere di scelta, possibilità di comparazione e tendenza al tradimento del brand al quale era fedele da anni.

mariosalaEcco quindi l’avvertimento di Mario Sala, partner di Praxis Management, promotore dell’incontro e del brand Italian Customer Intelligence: in tempi di crisi, chi non solo sopravvive, ma decolla, è chi ri-conosce il proprio cliente, offrendogli davvero una customer experience superiore. I dati parlano chiaro, e Kerry li mostra: l’81% dei consumatori è disposto a pagare di più per ottenere una customer experience migliore. Ma non solo, il 70% dei consumatori non acquista più prodotti o servizi da una azienda con la quale hanno sperimentato una customer experience non soddisfacente, e il 64%, di conseguenza, si rivolge a un competitor per gli acquisti successivi.

Ma le notizie cattive sono finite: un modo efficace per offrire una customer experience degna dei nostri clienti c’è. E Kerry Bodine ci dà qualche incoraggiante suggerimento che vi sveleremo nei prossimi giorni. Seguite tutti gli aggiornamenti attraverso l’hashtag #outsideintelligence!

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