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Mario Sala

Mario Sala has 114 articles published.

Partner di Praxis Management, società di consulenza milanese. Da oltre vent’anni anni è impegnato nel retail dei migliori brand del lifestyle nei settori della moda, del food e del design. L’attenzione crescente per i temi relativi al Cliente ha generato in lui un interesse approfondito sul tema della Customer Experience, che lo ha portato a costituire Italian Customer Intelligence e a sviluppare importanti relazioni internazionali sul tema. Il brand, che raduna partner con diverse competenze, sostiene le aziende a progettare, offrire e portare in tutto il mondo una Customer Experience superiore: in una parola, a entrare davvero “nell’Era del Cliente”. mario.sala@praxismanagement.it

RIENTRO EXPERIENCE

Più tempo libero?

Le vacanze vere sono quelle che si fanno da bambini e da adolescenti: tre mesi abbondanti di stacco vero dal mondo ed entrata in un altro che lascia le sue orme in tutta la nostra esistenza. Che si sia rimasti per le vacanze estive a giocare nel cortile di casa piuttosto che – per chi poteva – in località turistiche con nonni o zie, quei tre lunghi mesi prevedevano una gamma di esperienze indelebili: i giochi con gli amici, le prime libertà, l’importantissima noia di certi interminabili pomeriggi, i primi amori…

Il rientro in città era un rientro vero, come da un posto lontanissimo, come da una assenza lunghissima e si trovava tutto “diverso” da prima: quella compagna di scuola così cambiata, quegli ambienti di casa diventati a ogni rientro più piccoli e mille cose che, diventati grandi nei tre mesi di vacanza, si vedevano come novità rilevanti. Erano quei tre mesi che segnavano, per la loro portata di cambiamento, un anno con l’altro. Ancor oggi “l’anno scorso” lo riferiamo alla stagione estiva passata molto più che all’ultimo 31 dicembre.

In realtà, quando poi le vacanze son passate dai tre mesi a un mese e poi, col lavoro, al paio di settimane, cerchiamo ancora quello stacco, quel uscire dal mondo per ritrovarne un altro lontano e di nuovo tornare trovando tutto “nuovo”. È l’esperienza del rientro che da l’idea della novità di quel che avevamo lasciato… due settimane prima!
Evidentemente questa esperienza si affievolisce e impallidisce davanti al ricordo di rientri veri, come quelli dopo i tre mesi di vacanza.

Sono così tornato a Milano per riprendere il lavoro dopo le vacanze, ma dopo poco ho capito che quello che stavo cercando era questa esperienza del “rientro”. Ma il lavoro da remoto è sempre più invasivo e onestamente sarei potuto rimanere ancora dove ero semplicemente dedicando il tempo necessario al lavoro, non c’era necessità vera di “rientro”. È la prima esperienza di “non rientro” che vivo!

È da questi particolari che si capisce che tutto è cambiato! Il problema, capisco bene ora, non è aver più tempo libero, è liberare il tempo occupato! Forse un giorno avremo bisogno di staccare da questo lavoro ovunque e in nessun luogo contemporaneamente, in tutte le ore ma non in qualcuna in particolare, per farci tre lunghi mesi di lavoro full time!

“MA E’ LEGALE?!”

Luini e il giovane avvocato rampante 

Luini è il forno milanese per eccellenza. Lo è dal 1888 e sempre a Milano in via Santa Redegonda. 
Luini però è diventato Luini quando, nel 1949, Giuseppina Luini, arrivata dalla Puglia e trasferitasi a Milano ha rilevato il forno e ha iniziato a far conoscere i panzerotti, tipica specialità pugliese.
Così sono quasi 75 anni che, da Luini, i milanesi e i turisti nelle adiacenze del Duomo mangiano panzerotti impareggiabili. 
Meta di studenti che marinavano la scuola e che poi hanno tramandato – non raccontandola tutta – ai figli questa sosta per i panzerotti che, merenda aperitivo pranzo o cena che sia, sempre impareggiabili sono.
Non ci si lascia scoraggiare dalla lunghissima coda – per la precisione due, una per ciascun ingresso – perché (altra magia) la decina di addetti del forno sono velocissimi e smaltiscono il pubblico in un lampo mentre, dalle retrovie, il forno fa uscire bancali interi di panzerotti che arrivano al palato sempre bollenti ! 
Troppo buoni! Quando penso a una dipendenza da superare non mi viene in mente nè il fumo, nè l’alcool, nè strane pastiglie ma quel gusto di pomodoro, mozzarella a filamenti e impasto di farina dai quali è difficilissimo staccarsi! 
Martedì 25 luglio, nell’ accostarmi al forno, noto un assembramento più disordinato del solito: non più due lunghe code ordinate ma una quarantina di persone ammassate davanti all’ ingresso scomposte e vocianti …
Mi avvicino … e vedo il tremendo cartello “Luini chiuso per ferie fino al 25 agosto“ . Ma come? E noi? Già in ferie il 25 luglio?!? Ma la città chiude come al solito dopo l’ 8 agosto, come è possibile questa proditoria chiusura? 
La gente si guarda smarrita … forse a Luini conoscono bene l’animo umano e sanno che per farsi apprezzare occorre, ogni tanto e momentaneamente, negarsi: in amore vince chi fugge.
La cosa strana è che la gente, incredula, non se ne va: qualcuno guarda attraverso le inferriate se davvero è tutto chiuso e il cartello non mente. Anche io guadagno la prima fila proprio davanti allo “sciagurato“ cartello … 
Rimango qualche istante anche io come impietrito finché, dal dietro, arriva – vestito di tutto punto – un super elegante giovanotto, certamente un giovane avvocato rampante di qualche fondo d’investimento che ha la sede nei pressi. 
Mi guarda e, con un viso fra lo smarrito e l’indignato, pur avendo letto il cartello, mi chiede “È chiuso?” 
Con fare costernato gli rileggo il cartello: “chiuso per ferie fino al 25 agosto” , accompagnando col dito indice la mia lettura sulla scritta. Con aria seria di chi minaccia ritorsioni mi chiede:
“Ma è legale chiudere Luini al 25 luglio?”
Schermaglie d’amore in Via Santa Redegonda … forse arriverà lettera dell’avvocato … 
Grande Luini!
 
P.S.: chi è assiduo di queste colonne conosce che cosa sia il GLUE, ovvero il piccolo extra che fa crollare di gioia il cliente (stay tuned: a settembre l’uscita della pubblicazione “Chiedimi un GLUE!“). Luini ha trovato il modo di incollare ancor di più il cliente facendogli sentire la sua mancanza: genio!
 
 
 

… DOPO LE FERIE

Che cosa c’è davvero dietro questa frase che pronunciamo e ascoltiamo così spesso in questi giorni.

Ci siamo: la frase killer “questo lo vediamo dopo le ferie” inizia già a girare nei nostri luoghi di lavoro. Una volta la frase veniva pronunciata dopo il 15 luglio, ma da quando le vacanze sono “intelligenti” e scaglionate essa fa capolino già da qualche settimana.

Il numero di cose che rimandiamo a dopo la pausa estiva è davvero enorme e ha qualcosa di arcano che non sono mai riuscito a decifrare davvero.

Non si tratta infatti di una normale pianificazione di quando trattare un problema, una decisione, un progetto ma questo “dopo le ferie” porta con sé qualcosa che dovrebbe dare a quel problema, quella decisione o quel progetto una nuova visione, una nuova prospettiva … insomma un ingrediente che ci sarà “dopo le ferie” e non ora.

Ovviamente dopo le 2 settimane di ferie sono solo trascorsi 14 giorni e quel problema, quella decisione, quel progetto sono esattamente lì dove erano, non si sono spostati di un centimetro e ci aspettano con immutata insidia, solo più vecchi di due settimane (il che potrebbe anche rendere l’insidia ancor più incalzante).

Ma allora cosa è che attendiamo davvero da queste due imminenti (o quasi) settimane di ferie che ci dà la sensazione che il rimandare problemi, decisioni e progetti possa godere di questa pausa così breve?

Eppure, sappiamo bene che si tratta di soli 14 giorni, conosciamo bene quello che faremo, dove andremo, con chi e come trascorreremo il tempo: insomma, sappiamo già tutto e – sotto sotto – conosciamo l’amara verità che ritroveremo le cose esattamente come le abbiamo lasciate. Ma allora che cosa attendiamo con una vaga speranza?

Lo dice in modo sublime Eugenio Montale nella sua poesia “Prima del viaggio”.

Il poeta descrive minuziosamente i preparativi prima di un viaggio-vacanza durante i quali monta, nel suo animo, l’aspettativa che quegli stessi preparativi evocano per l’imminente avventura per poi chiedersi che cosa sarebbe stato – al ritorno- del suo viaggio … e conclude: “un imprevisto è la sola speranza”.

Ecco che cosa attendiamo e che ci fa rimandare “a dopo le ferie” problemi, decisioni, progetti: la speranza di un imprevisto!

Montale descrive benissimo tutti noi, prima di un viaggio, prima di un incontro, prima del lancio di un prodotto: giustamente pianifichiamo tutto, controlliamo, verifichiamo le nostre check list … ma qualcosa dentro di noi ci dice che un evento inaspettato è la sola speranza, un colpo di genio, un errore voltato a nostro vantaggio, solo questo ci salva dalla bolla del già conosciuto in cui siamo immersi!

In fondo, questo “dopo le ferie”, non è affatto l’odiosa pratica del rimandare a domani quello che si può far oggi, ma altro non è che lasciar spazio a questo imprevisto, così atteso eppur sconosciuto!

IO STO CON GERRY!

L’innovazione di oggi è la tradizione di domani.

Non trovo un milanista – ma so che ci sono, seppur sottocoperta in questi giorni – disposto a spezzare una lancia in favore di Gerry Cardinale, da un anno appena presidente del Milan.

Lui vuole portare un nuovo metodo di gestione non solo della società ma anche – starebbe qui la lesa maestà – nell’area sportiva.

Una pessima caricatura del suo credo sostiene che Gerry vorrebbe affidarsi ad algoritmi e statistiche per costruire la squadra e decidere gli acquisti del calcio – mercato, l’evento estivo che appassiona milioni di tifosi nell’unico mese senza calcio “giocato”. L’aspetto pessimo della caricatura sta nel sottolineare una falsità, ovvero che tale metodo “scientifico” equivarrebbe alla decisione di escludere il fattore umano nella scelta dei giocatori generalmente affidati a esperti allenatori o ex campioni leggendari dotati di “occhio clinico”, “intuizione” ed “esperienza” che il metodo (l’hanno addirittura chiamato robot!) escluderebbe e sostituirebbe!

I riferimenti a questo metodo, utilizzato dalle migliori rappresentative di baseball (e non solo) americane (e addirittura diventate film da Oscar per i loro successi) non farebbero altro – per i detrattori – che certificare la sua inapplicabilità con la più banale delle obiezioni (“L’ America non è l’Italia e il calcio non è il baseball e quindi Gerry non può capirci nulla perché solo “noi” siamo abilitati a comprendere, conoscere e decidere).

A nulla varrebbe l’evidenza di come tale metodo sia con successo applicato nel più ambìto calcio europeo, quello inglese, e che alcuni calciatori (come l’attuale fortissimo centrocampista del Manchester City, De Bruyne clicca qui) utilizzano in proprio KPI che descrivono le loro prestazioni per negoziare di persona contratti con le squadre senza (altra grande innovazione!) l’assistenza dei tanto odiati dai tifosi mediatori – procuratori.

Il metodo scientifico tanto contestato non fa affatto a meno dell’esperienza e dell’intuizione dell’uomo ma – solo – lo fa partire da un livello assai più alto in quanto informato di dati oggettivi e confrontabili fra loro e che conducono a una platea di scelta più ampia e ad una visione d’insieme del “mercato” e non solo del proprio (inevitabilmente limitato seppur geniale) punto di osservazione.

E la visione d’ insieme evita davvero tanti tanti errori.

Questo filmato famoso del “The Guardian” mostra proprio come non avere una visione d’insieme conduce a una interpretazione della realtà non solo parziale ma proprio fuorviante.

E tanti errori nella scelta di atleti provengono proprio dalla mancanza di visione d’insieme e di dati confrontabili!

Insomma, se vogliamo andare lontano e molto in alto, è meglio che l’energia umana parta da dove la funivia arriva senza disperdere forza nel sobbarcarsi a piedi i primi 1000 metri di dislivello se c’è la possibilità di un mezzo di trasporto, proprio come sono i dati, le statistiche e gli “analytics” tanto contestati.

Vi è anche da far notare a coloro che gridano a Gerry in quanto calpesterebbe e non rispetterebbe la tradizione del glorioso Milan (chi scrive è uno sfegatato abbonato da oltre venti anni!!) che l’innovazione di oggi è la tradizione di domani.

La strepitosa tradizione del Milan, da Nereo Rocco ad Arrigo Sacchi, è sempre stata frutto di innovazione.

Anzi, senza innovazione nessuna tradizione va avanti ed è buona per i libri di storia ma non per il giornale che leggiamo tutti i giorni e nel quale noi milanisti vogliamo fortemente rimanere!

(Ricordo benissimo quando, appena arrivato Berlusconi e non rinnovato il contratto al grande Liedholm, ci fu una levata di scudi di chi contestava il credo del Presidente di voler portare una logica aziendale nella gestione del club e nella scelta dello sconosciuto Arrigo Sacchi. “Berlusconi? Il Milan non è una azienda e cosa ne capisce uno che al massimo ha fatto l’allenatore dell’Edilnord, la squadretta aziendale?” era la frase più gettonata riferito a quello che sarebbe diventato il Presidente più vincente di sempre).

Certamente il metodo utilizzato predispone a decisioni più collegiali in quanto, anche di fronte al “dato”, è importante il punto di osservazione dal quale lo si guarda e le diverse idee e opzioni di scelta che ne derivano.

Addirittura Linda Hill (inserita da anni fra i 30 migliori thinkers degli USA) ha trovato questo metodo, che ha poi battezzato del “genio collettivo”, fra le imprese che nel mondo hanno dimostrato di saper cambiare e innovare in continuazione inaugurando o rinnovando tradizioni spettacolose.

Ma forse anche Linda Hill, siccome è americana e non sa delle volate di Theo o delle girate di Giroud, non può essere ascoltata!

Davanti a un cambiamento significativo proposto con decisione, autorevoli studiosi, hanno documentato quali sono le fasi che occorre vivere per attuarlo davvero e con successo:

  • la prima è l’incredulità (nelle prime ore dall’annuncio di questi cambiamenti molti hanno addirittura pensato a una fake news);
  • la seconda fase è la “minimizzazione” (ma che novità sarebbe? I “dati” li utilizziamo già…);
  • la terza è l’aperta contestazione con obiezioni e ragioni valide e non solo “di pancia”;
  • la quarta è la prova del metodo e della sua validità ma sperimentato nell’ipotesi che porti valore (e non boicottandolo!) e finalmente poi arriva la fase del successo!

Alcuni, nell’ incedere di queste fasi scendono dalla barca e si attestano sulla riva del fiume.

Io no! L’innovazione di oggi è la tradizione (che vogliamo vada avanti) di domani.

Forza Milan!

(e forza Gerry, Furlani, Moncada…)

 

ANSIA PER IL FUTURO? SÌ, GRAZIE!

In un’epoca in cui tutti rifuggiamo l’ansia, c’è chi vive un’ansia che genera un gran bene

[Ecco il seguito della prossima pubblicazione di Mario Sala per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese (clicca qui)]

Jim Collins, autorevole studioso e ricercatore americano, nel suo best seller “From good to great”, riporta i risultati di una mastodontica indagine, durata cinque anni, volta alla ricerca dei motivi di successo di quelle aziende diventate grandi, da piccole che erano, facendo guadagnare ai propri soci e per un lungo arco di tempo (almeno 15 anni) più del triplo dei loro concorrenti.  Seguendo i manager di queste imprese così di successo, si accorse di alcune loro caratteristiche comuni, generalmente non rintracciabili in manager di altre aziende che non avevano ottenuto gli stessi risultati.

L’ossessione per il futuro

Si trattava di manager “ossessionati” dal futuro. Davanti a una soluzione da adottare, una decisione da prendere o una persona da assumere, la domanda (e quindi il criterio) era sempre quella: qual è il bene per il futuro dell’azienda?  Cosicché, in quelle imprese, l’aria che si respira è quella del futuro che chiede di entrare prepotentemente nelle decisioni e nelle scelte del presente. Paradossalmente, dato che queste imprese per lunghi anni hanno guadagnato il triplo delle altre, si può a ragione dire che pensare al futuro fa bene al presente. Come se, pensando tutto il giorno al futuro, alla sera si aprisse il cassetto e lo si trovasse… pieno di soldi!

Prima l’azienda poi io, ovvero prima “gli altri”  

Collins trovò, stupito, persone per le quali questo pensare al futuro, positivamente ossessionante, era la dimensione naturale del loro desiderio di costruire qualcosa di grande che…li superasse, che andasse oltre loro stessi. Il voler lasciare, dopo di loro, l’azienda migliore di come l’avevano trovata (o fondata), con gente più brava di loro a condurla. Ma come puoi lavorare con tutto te stesso per qualcosa che desideri abbia il meglio dopo di te e che, quindi, forse, non vedrai nemmeno? Sono cose che possiamo rintracciare nell’amore materno verso i figli: le madri, infatti, desiderano per i loro figli, specie quando piccoli, che il loro futuro possa essere sempre radioso e migliore del proprio! E ci pensano in continuazione! Ugualmente quei manager con le loro imprese. Alla faccia del “work-life balance”, certamente giusto, ma sicuramente non adatto per queste persone che pensano alle loro aziende (ovvero a persone, colleghi, collaboratori, fornitori, partner e clienti) come una madre o un padre pensa ai propri figli: a tempo pieno! E si può essere madri e padri anche da giovanissimi!

PENSARE AL FUTURO FA BENE AL PRESENTE

La nuova pubblicazione per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese

È in arrivo la mia prossima pubblicazione. Un libro breve: so che “non avete tempo” e che vi piace da morire il notificarlo ai vostri interlocutori. Vi fa sentire vivi e sempre in battaglia, ovvero la cosa di cui vi lamentate e al contempo vi compiacete: sono anche io così e conosco bene l’adrenalina che sostiene questa splendida, lamentosa contraddizione. Splendida perché basta ascoltare la tristezza di chi non la ha più (può capitare per mille ragioni) per desiderarla e amarla. Lamentosa perché, chi vive così, sente che non è mai a posto quasi niente e, come diceva sempre Gino Bartali, “gli è tutto sbagliato… l’è tutto da rifare!”.

Ho quindi optato per un libretto di battaglia, scritto a flash, come fra gente che, conoscendosi da tempo, non ha bisogno di ripercorrere antefatti e dire tutto, ma, appunto, gli basta un flash: il lettore conosce molto bene il mondo che sta dietro a ciascuno di essi, spesso complicato e pieno di sfumature, per cui non c’è bisogno di attardarsi (anche io – ve lo volevo proprio notificare – non ho molto tempo…). 

Per gli imprenditori e per chiunque abbia una concezione intraprendente del proprio lavoro

Dedico quindi questi flash agli imprenditori: li amo!  

Sono sempre rimasto affascinato dagli imprenditori, da quelli conosciuti in tutto il pianeta, fino al fruttivendolo sotto casa.  

L’ “imprenditore” è un po’ controcorrente rispetto all’aria che tira oggi nella nostra società: non può cedere al risentimento, non può attardarsi in analisi infinite su di chi sia la colpa delle cose che non vanno perché, se intanto non le mette a posto, fallisce. Nei “casini” deve trovare sempre il lato costruibile sul quale ricominciare, sotto sotto (anche se non lo vuol dare a vedere e si lamenta anche lui) pensa sempre che ce la farà, nonostante veda il numero grande di errori che compie, anche gravi. Ha spesso un indomabile spirito costruttivo e, appena raggiunge un risultato, guarda ancora più in là e, davanti a fallimenti formidabili, è più forte di lui: ci riprova, magari da qualche altra parte!

Sono stati scritti fiumi di inchiostro su “chi glielo faccia fare”…

Secondo me, l’imprenditore vuole un po’ imitare Dio, facendosi come Lui creatore. E credo che Dio lo guardi come un padre guarda un bambino di un anno e mezzo che, imparato a mala pena a camminare, già tenta di tirar su la gambetta per salire sul divano più alto di lui! Il padre lo guarda e sorride pieno d’orgoglio nonostante l’evidente inadeguatezza rispetto all’impresa da compiere. Anzi è proprio quella sproporzione e inadeguatezza che lo commuove.  

Ma il traguardo è troppo attraente e fa scordare al bambino i propri limiti. Così non si resiste alla tentazione di mettere la mano sotto il piedino del piccolo per dargli un punto di appoggio e fargli credere così che da solo ha compiuto l’impresa!

Così, anche Dio, secondo me, “crolla” di commozione quando vede i nostri tentativi di imitarlo e, forse, sorride anche quando ci vede impettiti, raggiunto un risultato, a pensare di avercela fatta da soli e senza appoggio.  

Oggi gli imprenditori sono chiamati a salire su un divano molto ma molto più alto di loro: devono, in questa epoca così difficile, destare entusiasmo (e non semplice “soddisfazione”) nei propri clienti. È la cosa più difficile e indispensabile che ci sia perché le imprese crescono oggi SOLO per l’entusiasmo dei loro clienti, se no… (metteteci voi il flash che avete in testa ora).

Da dove partire, quindi? Da questo libretto a flash, prossimo a essere pubblicato su questo canale.

MEGLIO DUE ORE PRIMA CHE TRE MINUTI DOPO

La disciplina della puntualità e l’arte della immedesimazione

Chi si sa immedesimare (nei clienti, nei colleghi, ma anche nel fruttivendolo sotto casa o nel fugace incontro con chi si vede per la prima volta) fa la fortuna dell’impresa per la quale lavora (ma anche, forse, quella della propria famiglia e dei propri amici).

Ci sono infatti delle persone che, assai più di altre, sentono come si sentono gli altri!

È come se avessero una tale capacità di immedesimarsi che sembrano davvero vivere l’esperienza degli altri fino quasi a vedere, sentire, giudicare come loro: come se avessero gli stessi pensieri, la stessa visione del mondo, gli stessi amici, la stessa età… Succede all’attore che vive il suo personaggio non solo quando recita, ma anche nei mesi nei quali deve entrare nella parte; succede all’imprenditore che soffre quando vede nella propria azienda qualcosa che è fatta male per il proprio cliente; succede al cameriere che sa fare la proposta giusta quasi conoscesse i nostri gusti e il nostro livello di fame; succede al maestro che davvero sa quello che vive il discepolo e succede soprattutto e clamorosamente agli innamorati: “Solo chi ama conosce”, diceva Sant’Agostino. Solo chi ama sa, davvero, dell’altro.

Chi sa immedesimarsi ha un grande potere di comprensione delle persone e, si sa, quando incontriamo – cosa rara – qualcuno che ci fa sentire compresi davvero… crolliamo: siamo suoi!

Chi si sa immedesimare è una persona (meravigliosamente) “influenzabile”, preziosa proprio perché l’esperienza dell’altro, invece che “scivolarle” addosso, rimane attaccata e influenza la sua testa e il suo cuore: prende il centro della sua attenzione! Ogni proclama letto nei siti di brand famosi o sconosciuti che promettono “cliente al centro”, “people first”, “tu per noi sei importante” o “sostenibilità a 360 gradi” suona fastidiosamente falso se non è il sorprendente frutto di una immedesimazione autentica di cui sono capaci le persone che in quelle imprese – profit o non profit – lavorano.

Essere “influenzabili” vuol dire essere deboli? Tutt’altro!

Dante attribuisce questa prerogativa – addirittura in esclusiva – a Dio e a coloro che, vivendo in Paradiso, riflettono – assorbendola – questa “divina” facoltà che è l’immedesimazione.

Spesso, durante il lungo viaggio della Divina Commedia, tanto Beatrice quanto Virgilio sono in grado di leggere i pensieri di Dante facendo vivere al Poeta l’esperienza di essere compreso fino nella profondità del suo essere. Non ci sono parole per descrivere questa esperienza dell’essere così compresi, tanto che Dante deve inventarne di nuove, creando neologismi pronominali:

Già non attendere’ io tua dimanda, s’io m’intuassi, come tu t’inmii…”.

Io non attenderei da te domande, se potessi immedesimarmi in te come tu ti immedesimi in me (fino a conoscere i miei desideri più veri).

Insomma, l’immedesimazione è “affare” di Dio e quelli che ce l’hanno sembrano che lo frequentino o che siano, in un certo qual modo, già in Paradiso!

Si può imparare a immedesimarsi? Ecco da dove cominciare

Ho provato – chiedo scusa dell’approccio così empirico – a scrivere su un foglio tutte le persone che conosco con questo potere così importante dell’immedesimazione.

Mi sono ridotto a questo in quanto, da anni, ricevo la domanda di imprenditori e manager su come fare per rendere più immedesimate verso clienti e colleghi le persone: insomma per aumentare la capacità di chi lavora con noi di crescere in questa facoltà “divina”. Troppo poco utile rispondere all’impronta e genericamente che è questione di temperamento, educazione, cultura… certamente questa risposta ha buona probabilità di essere giusta ma è poco utile nell’immediato…

La sorpresa è venuta nel guardare la mia lista, frutto di mesi di osservazione, e in quella – analoga – che ho chiesto ad altri.

C’è qualcosa che accomuna le persone che abbiamo inserito in queste liste e che abbiamo raccolto in ambienti, anche assai diversi fra loro, e che sono con chiara evidenza così capaci di immedesimazione da lasciare spesso a bocca aperta?

La risposta è affermativa (anche se – per ora – priva di valore statistico) ed è utile a imprenditori, manager e ad altri!

Il segreto è nella disciplina della puntualità

Abbiamo sorprendentemente notato che si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di persone puntuali! Persone che curano e ci tengono alla puntualità in modo che ai più appare esagerato se non addirittura quasi ossessivo. E si badi bene che tale dimensione non riguarda unicamente la puntualità a meeting e appuntamenti (anche se per questi è totale e inderogabile) ma come atteggiamento generale di tempestività rispetto a impegni, scadenze e a previsioni anticipatorie di fattori a cui gli altri generalmente non pensano e che occorre tenere in conto.

La puntualità è quindi il fattore educativo, per ciascuno di noi, di un’autentica e, via via, sempre più amata apertura ad altro da se stessi che è – in fondo – il cuore e il motore del processo immedesimativo.

Se desideriamo quindi far crescere la poetica e divina facoltà dell’immedesimazione in noi e nelle nostre imprese, occorre innanzitutto promuovere la disciplina (perché di disciplina si tratta) della puntualità.

Che l’arte della immedesimazione, così solare, sublime e “angelica” (e gli angeli, si sa, sono leggeri e hanno le ali per volare) si innesti e cresca all’ombra della dura disciplina della puntualità è, in fondo, una notizia buona, certo agevolata dal frequentarla fin da giovanissimi. Oltre che a sbirciare i social del giovane candidato a voler entrare nella tua azienda è quindi ancor più utile chiedergli come se la cava con la puntualità…

 Il più spettacolare e riconosciuto leader dell’immedesimazione della mia lista amava ripetere: “meglio due ore prima che tre minuti dopo”!

 

P.S.: Questo articolo, e il lavoro di ricerca che ha portato ad esso, esce per merito di Leopoldo Varasi e Enrico Giannelli, partner di Fingiaco SpA, società di Corporate Finance indipendente (stay tuned: a breve novità). Sono nei primi posti della lista a cui fa riferimento l’articolo e la loro impresa si distingue per questa capacità di immedesimarsi con gli imprenditori che vivono situazioni straordinarie. Un’impresa che, oltre che vivere, sta crescendo a razzo (stay tuned 2 ) e cerca persone… puntuali!

SCHULTZ AI DIPENDENTI: “DOBBIAMO REINVENTARE STARBUCKS”

STARBUCKS: HOWARD SCHULTZ DI NUOVO IN CAMPO

Da anni seguo con vivo interesse le vicende di Starbucks, vero paragone e confronto per chiunque si occupi di Customer Experience nei business consumer proposti da catene. È l’attenzione che giustamente si deve dare a chi è stato antesignano e apripista per centinaia di catene che, sulla scia delle intuizioni di Howard Schultz, hanno trasformato il concetto stesso di breakfast, lunch e dinner in molte parti del pianeta. Proprio il paragone, l’emulazione e la competizione con Starbucks hanno dato l’ispirazione per il mio esordio come consulente – qualche anno fa –  di alcune catene di food grazie alla fortunata pubblicazione di “Aspettando Starbucks” (clicca qui) che ho scritto insieme a Gabriele Mancosu a cui ha fatto seguito “La Trimestrale del cliente” (clicca qui) redatta insieme a Valentina Romagnoni.

Per non parlare degli anni in cui Starbucks è stato costantemente primo in classifica nella misurazione del Net Promoter Score, rilevato in decine di migliaia di store annualmente e ormai diventato non solo l’indice che misura il passaparola entusiasta che i clienti sono disponibili a fare per un’insegna, ma un indicatore che misura lo stato di salute generale che i clienti attribuiscono a un brand.

Sono poi venuti, anche prima della pandemia, tempi difficili, o per lo meno più difficili, anche per Starbucks: si sono diradati perfino gli idilliaci racconti che dicevano di un Howard Schultz che – ritiratosi da ogni incarico operativo – si era ritagliato il ruolo di saggio tutor della sua creatura, intento soprattutto a incoraggiare e consigliare quasi “dall’esterno”. Non c’è gioia più grande, per un autentico fondatore come Schultz, di vedere la propria creatura andare avanti senza di lui e… meglio di quando c’era lui. Gioia assaporata per pochi anni, visto che Howard si è visto costretto a scendere di nuovo in campo.

4 principi per guidare la reinvenzione

Ad aprile di quest’anno, infatti, con una lettera ai dipendenti, Schultz ha annunciato di aver preso nuovamente in mano le redini dell’azienda perché le cose cosi… non andavano più bene: “Oggi ci troviamo in una posizione in cui dobbiamo modernizzare e trasformare l’esperienza Starbucks nei nostri negozi e ricreare un ambiente che sia rilevante, accogliente e sicuro, e in cui ci eleviamo gli uni gli altri con dignità, rispetto e gentilezza”. La lettera si chiude a chiare lettere: “Dobbiamo reinventare Starbucks per il futuro“.

Invece che gestire la situazione, intervenire sull’ottimizzazione dei costi e ridefinire il proprio perimetro, il fondatore parla con coraggio di “reinventare Starbuks”. Come? Schulz anche in questo caso è molto chiaro e indica la via ai dipendenti, prima che ad altri.

Continua infatti nella lettera “a tutti” indicando i 4 principi che dovranno guidare la “reinvenzione”:

  • Sicurezza, accoglienza e gentilezza per gli store
  • Avanzamento e opportunità per i dipendenti
  • Benessere della comunità aziendale
  • Potere condiviso, responsabilità condivisa, successo condiviso.

Abbiamo costruito questa azienda sul potere delle idee e della voce dei partner“, ha scritto ancora Schultz. “La reinvenzione deve liberare ancora più profondamente il potere dentro ognuno di noi, condividere più autenticamente la responsabilità nella costruzione di un futuro condiviso e dare dei vantaggi a tutti noi quando l’azienda avrà successo. Miriamo ad essere un tipo di azienda completamente nuovo nel nostro settore, stabilendo un nuovo standard“.

In una comunicazione a parte, ma che segue di poco questa comunicazione, Starbucks informa anche che investe 1 miliardo di dollari in nuovi aumenti salariali, formazione dei dipendenti e innovazione degli store.

What’s Next…

Nel frattempo, la scorsa settimana, Schultz ha annunciato che dal 1 aprile 2023 ci sarà un nuovo CEO: Laxman Narasimhan. Entrerà in azienda l’1 ottobre e, fino alla sua nomina, vivrà con Schultz che si occuperà direttamente e personalmente di introdurlo ai team di gestione, ai dipendenti e ai clienti: vivrà una full immersion nel brand e nella cultura aziendale oltre che, naturalmente, implementerà il piano di “reinvenzione”.

In precedenza, Narasimhan ha ricoperto vari ruoli di leadership in PepsiCo, tra cui quello di Global Chief Commercial Officer, dove era responsabile della strategia a lungo termine e delle capacità digitali dell’azienda. In precedenza, è stato senior partner di McKinsey.

Schultz ha continuato: “Poiché ho avuto l’opportunità di conoscerlo, è diventato chiaro che condivide la nostra passione di investire nell’umanità e nel nostro impegno nei confronti dei nostri partner, dei nostri clienti e della comunità. Le prospettive che porterà saranno una risorsa forte per questa nuova era di maggiore benessere che vogliamo costruire“.

In fondo è un incoraggiamento per tutti i player: Starbucks non lascia…raddoppia!

CUSTOMER EXPERIENCE VS COMPLESSITÀ

La semplicità è una complessità risolta

Constantine Brâncuși

Lo sanno bene sempre più aziende in tutto il pianeta che hanno scoperto che la semplicità può spingere la propria impresa a una crescita a doppia cifra o il gran potere che essa ha nel tirar fuori dai guai la propria organizzazione, così affannata in processi produttivi, distributivi, di vendita e, alla fine, decisionali troppo complessi.

Nell’Era del Cliente, però, i leader sono davvero coloro che con energie e carisma hanno fatto una lotta senza quartiere, nella loro azienda, contro la complessità – la dimensione “complessa” o, per dirla con Brâncuși, “non risolta” – che aumenta “da sola” nell’impresa, come esito quasi naturale dello sviluppo e alla quale spesso segue una smisurata crescita organizzativa, di livelli gerarchici, di comunicazione, di riunioni infinite…

La semplicità non è affatto facile e per conquistarla occorre lavorare sodo: la semplicità, infatti, non è il risultato di semplici “semplificazioni”.

Le aziende cliente centriche, che puntano sulla Customer Experience e che coinvolgono tutto l’ecosistema aziendale nella centricità dell’esperienza del Cliente, nei touchpoint nei quali più si realizzano le promesse del brand, diventano aziende “semplici”, anche se di grandi dimensioni.

Perché?

Semplice… è il cliente stesso che cerca “spasmodicamente” la semplicità nelle risposte al suo bisogno/desiderio, nella facilità ad accedere all’offerta che ad esso risponde, nella piacevolezza che, senza semplicità, sarebbe negata.

Il lavoro per offrire ai propri clienti una Customer Experience superiore porta, in dote, questo splendido regalo: la semplicità. E con essa crescita a volte strepitosa.

IL PRIMO FOLLOWER

È il primo, autentico ed entusiasta follower che fa diventare leader… il leader!

Qualsiasi “teoria” o modello di leadership proposto a gruppi aziendali, sportivi o sociali che siano, risentono – ovviamente – dell’aria che tira nella società, della cultura e dei miti che in un dato momento storico vanno per la maggiore.

Oggigiorno, per esempio, “vanno di moda” (ed io ne sono un grande estimatore) modelli di leadership valorizzativa, cioè quelli capaci davvero di valorizzare risorse tangibili e intangibili di singoli e gruppi di lavoro, piuttosto che di progetto o di team, tirando fuori il meglio dalle persone.

Forse lo studio più imponente e autorevole, in questi ultimissimi anni, è quello proposto da Linda Hill e che è documentato nel suo best seller “il Genio Collettivo” (clicca qui).

Linda e la sua equipe di Harvard hanno dimostrato come imprese di diversa dimensione, cultura, attività e dislocazione nel pianeta seguissero uno stile di leadership che si basa su milestone e mindset simili quando si tratta – proprio come oggi è necessario – di innovare in continuazione e in particolare di innovare la propria offerta ai clienti, che oramai si attaccano alle nostre imprese sempre più difficilmente e solo se entusiasti (soddisfatti non basta più).

Se è necessario innovare in continuazione, e non sporadicamente con colpi di genio di qualche persona particolarmente illuminata, occorre valorizzare la frazione di genio di cui ciascuno – più o meno consapevolmente – è portatore e creare l’ambiente e i format di partecipazione e di ingaggio adatti.

Ho però notato, anche attraversando e studiando modelli di leadership diversi e più rispondenti a epoche del passato recente e meno recente, che vive sempre una costante. La fortuna dei leader e/o dei loro modelli di leadership sta nei loro follower, in particolare del loro primo follower!

È il primo follower (parlo del primo follower autentico, quello “volontario”, non quello che lo è per contratto) infatti che riconosce il leader come tale e che conquista e fa scendere in campo tutti gli altri follower. È il primo follower che fa diventare leader…il leader : si potrebbe proprio dire che – quasi – è lui che lo crea!

“Vuoi diventare leader per davvero?”. Se sì, cercati il primo autentico follower, il follower volontario ed entusiasta “gratis”: penserà lui a molto del resto…

Se vorrai vedere il filmato qui sotto, tratto da un felice TED di Derek Sivers, vedrai proprio come, anche nella dinamica naturale dei gruppi , è il primo follower che conquista tutti.

In altre parole il primo follower è un leader, non a caso i leader che sanno creare entusiasmo e innovazione sono quelli che sanno creare altri leader (clicca qui percorso leader che creano leader).

Accenneremo anche a questo aspetto nella presentazione del percorso “Leader che creano Leader – si cresce (solo) per entusiasmo” a Savona il prossimo 30 marzo nella sede dell’Unione Industriali.

Una maldestra connotazione negativa e sminuente è spesso attribuita alla parola follower quando invece è chiaro che essi sono i veri makers indispensabili a qualsiasi progetto e la qualità di essi ne determina il successo o la sconfitta.

Secondo Kelley, il leader incide solo per il 15 % sui risultati, mentre il 75% dipende dai follower. Quindi, più che uno che segue, il follower è uno che “dà seguito”!

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