Come superare una situazione drammatica senza sapere se e quando finirà?
Jim Collins, classe 1958, si è laureato ed ha successivamente insegnato alla Graduate School of Business della Stanford University, dedicandosi a ricerche nel campo delle grandi aziende, studiandone la crescita e i fattori che ne provocano il successo. Nell’ottobre 2001 ha pubblicato il libro Good to Great: Why Some Companies Make the Leap… and Others Don’t (O meglio o niente. Come si vince la mediocrità e si raggiunge l’eccellenza, Mondadori 2007). Frutto di cinque anni di ricerca, il libro è rivolto ai manager di aziende che vogliano trasformare le proprie piccole imprese in grandi colossi, ma insegna anche come applicare alla vita quotidiana le strategie individuate nell’ambito dell’economia aziendale.
Proprio all’interno di questa pubblicazione, Collins racconta di un incontro molto significativo avvenuto durante gli anni di ricerca per la stesura del libro. L’ammiraglio James Stockdale è stato l’ufficiale americano più alto in grado ad essere imprigionato nell’Hanoi Hilton, campo di detenzione di prigionieri di guerra in Vietnam. Durante gli otto anni di carcerazione (dal 1965 al 1973) è stato torturato oltre venti volte, ha sopportato sofferenze atroci e la privazione dei più elementari diritti umani, non sapendo se e quando sarebbe stato liberato né avendo la certezza di sopravvivere e rivedere la sua famiglia. Dopo la liberazione ha raccontato la sua esperienza in un libro intitolato In Love and War, scritto a quattro mani con la moglie.
Collins ha incontrato l’ammiraglio un sabato pomeriggio di primavera nel campus di Stanford e gli ha posto una domanda: come si riesce a sopportare e superare una situazione così drammatica senza sapere se e quando finirà? «Non ho mai perso la mia fiducia su come sarebbe finita» è stata la risposta «Non ho mai dubitato, non solo che ne sarei uscito, ma anche che alla fine avrei vinto io, e avrei trasformato quell’esperienza in uno spartiacque della mia vita. Una vita che, se guardo indietro, non vorrei cambiare» (O meglio o niente, p. 96). Ma la cosa più sorprendente è scoprire chi non ce l’ha fatta a sopportare tale situazione: «Oh, facile» ha risposto Stockdale, «Gli ottimisti». Gli ottimisti: quelli che si dicevano che sarebbero riusciti a uscire entro Natale, poi Pasqua, il giorno del Ringraziamento, e poi ancora Natale… e alla fine sono morti di dolore. Ecco il paradosso Stockdale, come lo chiama Jim Collins: da una parte l’incrollabile fede nella vittoria finale, la certezza che non saremo sopraffatti e sconfitti, tutto andrà bene, pur senza sapere quando; dall’altra un crudo realismo nello stare davanti, giorno per giorno, alle circostanze dolorose e, talvolta brutali, che siamo chiamati ad affrontare. Ma da dove nasce questa fede incrollabile? Da quale pozzo attinge la fiducia nella vittoria finale? La certezza dell’ammiraglio Stockdale risiedeva nella consapevolezza delle proprie risorse, delle proprie capacità, e nella razionale e ragionevole convinzione che il proprio valore fosse più grande della condizione che lo opprimeva, per quanto terribile. Questo lo ha sorretto, generando in lui creatività e risorse imprevedibili.
Da questo paradosso possiamo trarre spunto, come uomini, come donne, ma anche come aziende, organizzazioni e imprese, per affrontare l’odierna emergenza che siamo drammaticamente chiamati a vivere. Siamo certi che torneremo a uscire, a comprare, a vendere e a riunirci dentro i nostri uffici, nelle case degli amici, nei bar e nei ristoranti, nei luoghi dove progetteremo la ripresa della nostra quotidianità. Certi delle nostre risorse, torniamo all’essenziale e potenziamo quelle relazioni tra noi che generano creatività e uno sguardo positivo innanzitutto verso noi stessi. Ma siamo anche pronti ad affrontare la realtà: ci vorranno tempo, fatica e sacrifici. Non accontentiamoci di false speranze, ma cominciamo già ora a costruire su una incrollabile fiducia: nelle nostre risorse, in quelle dei nostri collaboratori e soprattutto nella competenza di coloro che ci guidano e assistono in questo tempo. Impariamo ad attendere, aperti e operosi, insieme.
Non sapendo quando l’alba arriverà, tengo aperta ogni porta.
(Emily Dickinson)