L’aveva già detto – anzi scritto – Jim Collins nel suo libro “Good to Great” (tradotto in italiano col titolo “O meglio o niente”). Intervistando, dopo una mastodontica ricerca, i manager di un manipolo di aziende che avevano fatto triplicare nell’arco di 15 anni le quotazioni in borsa delle loro aziende, ha osservato alcune – pochissime ma decisive! – caratteristiche comuni.
Una di queste è il senso del futuro “lungo” (anzi, lunghissimo!) di questi manager fortemente desiderosi e determinati a consegnare la propria azienda alla generazione futura (che non avrebbero mai visto) “più bella, più grande e con dirigenti più bravi di loro stessi”.
Ecco che ne è emerso anche un “profilo umano” di questi campioni di profitti, improntato – incredibilmente – a un assiduo low profile, all’ansia di assumere gente più brava di loro stessi, a utilizzare davanti a ogni decisione (da quella strategica a quella operativa) il criterio del “cosa è meglio per IL FUTURO dell’azienda”.
A guardare i risultati di queste imprese si può quindi serenamente affermare che “pensare al futuro (lungo, anzi lunghissimo) fa bene al presente”. Alla faccia dell’istantaneità a cui tutti ci sentiamo obbligati ogni giorno!
Chi ha a cuore la sconosciuta generazione che verrà, fa una scuola all’interno della propria azienda, affinché la cultura della propria impresa non si perda, ma si approfondisca, si rinnovi e trovi nuovi protagonisti “più capaci di noi!”.
Anche la cultura del cliente e la pratica della Customer Experience non sfugge alla legge “pensare al futuro fa bene al presente” (anzi, all’istante!).
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