Sylvia Plath, Customer Experience e concezione del mondo
La concezione che abbiamo del cliente è una ” derivata ” della concezione che abbiamo del mondo.
Il cliente è una persona (si, anche se il nostro cliente è B2B non è un muro o una macchina ma una persona, prima o poi) e la concezione che abbiamo di “chi” e “cosa” sia davvero una “persona” e del suo destino non può non riflettersi su chi sia il cliente per noi e su come facciamo agire intelligenza e creatività nei suoi confronti. Sembra vietato parlarne, perché correttezza vorrebbe di tenere sotto traccia e come “scelta individuale e non impegnativa per gli altri, ci mancherebbe”, ciò in cui profondamente crediamo, la nostra religione, la nostra filosofia di vita, le risposte che diamo alle domande ultime dell’esistenza, ma sono proprio queste cose che determinano perché e come lavoriamo (anche per il cliente).
Specularmente potremmo dire che, da come progettiamo e offriamo al nostro cliente la sua “customer experience” riveliamo la concezione del mondo e dell’uomo che abbiamo o che, più o meno criticamente, assorbiamo. La customer experience non è quindi una prassi neutra, ma è rivelatrice della cultura che abbiamo, specialmente la cultura della nostra impresa che altro non è che l’aria che respiriamo nelle nostre aziende: è proprio la qualità di essa che permea, aldilà di ogni tecnicismo, l’esperienza del cliente.
Penso spesso a chi, nel mondo, fa le posate d’argento e a cosa pensi mentre le crea, le progetta, le produce, le vende…
A cosa servono le posate d’ argento? A mangiare? A far mangiare con eleganza i clienti che se le possono permettere?
No! Le posate d’argento servono per imparare a vivere ci suggerisce, al contempo sussurrandolo e gridandolo, la straordinaria poetessa e scrittrice statunitense Sylvia Plath:
“Allora impara a vivere. Tagliati una bella porzione di torta con le posate d’argento. Impara come fanno le foglie a crescere sugli alberi. Apri gli occhi. Impara come fa la luna a tramontare… “