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STORYTELLING & CUSTOMER EXPERIENCE

Come si fa a coinvolgere tutto l’ “ecosistema” dell’azienda, backoffice compreso, (amministrazione, IT, logistica, servizi) nella customer experience del cliente finale? Ogni “cosa” che il cliente vede quando scopre, valuta, acquista e utilizza un prodotto spesso “è pensata” da qualcuno che lui non vede, da una parte dell’ecosistema dell’azienda, per così dire, nascosta. E spesso neppure questa parte “nascosta” dell’azienda si rende conto di quanto collabora (positivamente o negativamente) all’esperienza che il cliente vive, che viene così a perdere la centralità che pretende di avere in tutto l’ecosistema aziendale, a danno della “customer experience” e dei parametri che essa governa: frequenza d’acquisto, valore medio dell’acquisto, fedeltà. Una modalità efficace che porta la luce del cliente anche nelle aree più recondite dell’azienda è senz’altro lo “storytelling”.

Carlos Gonzales, addetto alle relazioni con i clienti nel reparto customer retention della sua azienda, una compagnia telefonica, ricevette una chiamata da Florence.
Multiethnic Group of Business People with Speech BubblesLa signora desiderava disdire l’abbonamento telefonico. Il motivo della disdetta risedeva nel fatto che Florence era molto ammalata e, dovendo pagare costose cure, non era più in grado di sopportare il costo dell’abbonamento. Carlos, prontamente, suggerì alla signora di usufruire del programma di pagamento dilazionato offerto dall’azienda, che le avrebbe oltretutto consentito uno sconto importante sul costo dell’abbonamento. Florence non conosceva questa possibilità che le permise di tenere senza troppa spesa uno strumento così utile come il cellulare in un momento così difficile della sua vita. Inoltre, Carlos, commosso per le vicende della signora, le promise di rasarsi i capelli per esserle vicino durante la sua chemioterapia. Carlos mantenne la promessa ed inviò a Florence una foto completamente pelato. I colleghi di Carlos, venuti a conoscenza del suo gesto, lo proclamarono eroe dell’azienda e fu così che lui, anche senza volerlo, divenne promotore della cultura del cliente all’interno della sua azienda.

Italian Customer Intelligence ha raccolto, all’interno di un seminario con i “commerciali” di un’azienda del fast fashion, più di trenta storie ed esperienze di cultura del cliente inedite  in meno di un’ora. Queste verranno quindi diffuse con i tipici strumenti di comunicazione interni all’azienda, così da coinvolgere tutte le parti dell’ecosistema.

Lo storytelling promuove un’immedesimazione con il cliente originale ed attuale, i cui contenuti e valori vengono veicolati assai più efficacemente  che in seminari, momenti di formazione o richiami ai valori della tradizione aziendale.

SAPERE TUTTO E COMPRENDERE NULLA

“Allora a domani”, disse Roberto riattaccando la comunicazione.

“Era ora”, pensò. Da più di due mesi il suo conto corrente bancario si era più che decuplicato rispetto alla solita media, ma la sua banca non si era affatto premurata di contattarlo. “Almeno per chiedermi cosa è successo”, pensava Roberto.

Ma oggi, finalmente, l’avevano chiamato e gli avevano proposto di incontrarsi per “ragionare insieme su come investire questo cospicuo ammontare” – avevano detto.

Il giorno dopo, all’orario concordato, Roberto si sedette davanti alla zelante signora dello sportello “consulenza privati”, fiducioso di un’attenzione particolare. Il benvenuto, però, suonò subito stonato:

“Tutto bene?”, chiese la funzionaria con l’aria ammiccante di chi sa già la risposta: “certo che sì, lo so che ti va tutto bene con questo gruzzolo sul conto”..

“Beh…” – rispose lui – “non proprio, direi. Sono stato licenziato!”

“Vede” – continuò – “quella grossa somma che ha improvvisamente accresciuto il mio conto corrente? Ecco, quella è la buona-uscita!”

“Ah.. mi spiace” balbettò lei “ … e .. le manca tanto alla pensione?”


lehman-brothers2Non fu per l’orgoglio ferito del cinquantenne che Roberto se ne andò senza concludere nessun investimento presso la sua banca (“pensione?” pensò “ma sembro davvero così vecchio?”); non fu nemmeno perché la proposta non era economicamente interessante. Fu perché, nonostante tutti quegli anni di rapporto continuativo, fatto di accrediti mensili costanti e di conoscenza dettagliata dei comportamenti economici suoi e della sua famiglia, loro non erano stati in grado di cogliere la sua situazione e le sue esigenze del momento!  Da 23 anni ricevevano ogni mese il bonifico dello stipendio di Roberto, da 11 arrivava dalla stessa azienda. E anche quell’ultimo particolare accredito era arrivato proprio da lì. Eppure loro non avevano saputo neppure leggere la causale del bonifico! E allora come potevano pretendere di essere suoi consulenti di investimento?

Comprendere il cliente è il fondamento di tutte le iniziative di Customer Experience” -dice testualmente il best seller “Clienti al centro” scritto da Kerry Bodine (ex vice presidente di Forrester Research)- che a pagina 115 continua: “se volete mettere i clienti al centro del vostro business dovete iniziare chiarendovi le idee su chi sono e cosa vogliono”.

Un esercizio apparentemente facile nel caso della banca di Roberto: lo conoscono da più di vent’anni registrandone ogni entrata ed uscita di denaro e hanno tutti gli strumenti necessari a comprendere e addirittura prevedere i suoi comportamenti economici. Eppure, nel momento più importante della customer experience di Roberto verso la banca, loro se lo lasciano scappare!

Vale proprio la pena di capirla meglio questa pratica! E di studiarne a fondo le sei discipline che la governano.

Per saperne di più, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

CHARLES FLAMMINIO, IL BELLUDI 42 E UN DISTILLATO FATTO CON AMORE E PUREZZA

C’erano una volta gli anni 30 e i bar clandestini, dove un America un po’ depressa si ritrovava di nascosto a bere tra nuvole di fumo e musica jazz. Oggi a Riccione c’è il Belludi 42, che, facendo spallucce al tempo, è deciso a riproporre le stesse atmosfere. Messo piede dentro il locale, infatti, ogni particolare d’arredamento riporta direttamente agli anni di Al Capone e del proibizionismo.

In questa ambientazione perfetta e studiata, tra suppellettili e cimeli d’epoca, c’è tuttavia un elemento che spicca sugli altri: il bancone del bar, che, in realtà, sarebbe più corretto definire un palcoscenico. Perché da subito attira lo sguardo, promette grandi cose e, infine, non manca di regalare meraviglie. Ogni sera, con la disinvoltura e la sicurezza di un classico, va in scena questo spettacolo.

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Ph. Veronica Frison

Dietro un vasto muro di bottiglie, inno alle mille possibilità che ogni cocktail racchiude, un uomo lavora. In silenzio e leggermente chino, è rapito e concentrato su ogni dettaglio. Armeggia tra shaker, ampolle, bicchieri e strumenti di ogni sorta. Lentamente e delicatamente. La preparazione di un drink non è la somma degli ingredienti- l’immagine sembra suggerire- ma una magia strana capace di sfuggire di mano da un momento all’altro.

Il misterioso barman è Charles Flamminio, titolare del locale e tra i più ricercati e riconosciuti bartender della riviera. Uno che ha lavorato un po’ ovunque e ha fatto di questo mestiere una missione di vita.

Oggi, tra una preparazione e l’altra, Charles ha raccontato a noi di CX and the City della preferenza e passione che ha per un prodotto. Un distillato da 157 botaniche della Charteuse, precisamente il Charteuse Verde Jeroboam, realizzato dai monaci certosini nelle cantine di Voiron, in Francia.

CX AND THE CITY


3_litres_vert-285x940Come ha scoperto il Brand ed il luogo dove ha effettuato l’acquisto? 

L’ho conosciuto attraverso Gianfranco Pola, ambasciatore del brand in Italia, massimo esperto e conoscitore del prodotto. Me lo ha consigliato lui.

Nel decidere di acquistare quello specifico prodotto, lo ha confrontato con altro o lo ha scelto perché ha catturato la sua attenzione all’improvviso?

Certo, l’ho confrontato con altri. Ma presto mi sono accorto di una cosa: quando avevo bisogno di fare un cocktail più elegante e con un sapore più strano, ogni volta che usavo questo Chartreuse il risultato era eccellente.

Quale suo personale bisogno o desiderio il prodotto che ha acquistato prometteva di soddisfare?

Quello di avere un prodotto di qualità da proporre e da miscelare. Un prodotto di qualità fa innamorare e appassionare il cliente. Sempre.

Quando e come ha acquistato il prodotto?

L’ho acquistato per la prima volta 4 anni fa. In Italia è facilmente reperibile grazie all’importatore italiano di Genova, Velier.

Il prodotto acquistato ha soddisfatto in pieno il bisogno iniziale per cui l’aveva comprato, magari superando addirittura ogni aspettativa?

Certamente, ha superato le mie aspettative. Non immaginavo che dietro un’azienda così piccola, composta in totale da 34 persone, potesse nascondersi un prodotto di così alta qualità.

Un motivo per cui rifarebbe questo acquisto?

Perché Chartruese è una casa molta seria ed importante. Perché ha una bellissima storia alle spalle. E, infine, perché sono convinto che sia un prodotto fatto con tanto amore e tanta purezza che è quella dei frati certosini. Non fanno nient’altro che fare quello tutto il giorno.

Se il prodotto da lei acquistato fosse una città, quale città sarebbe?               

Una città come Assisi, piccola, nascosta, silenziosa e ricca di tradizione.

SFIORARE IL FAST CASUAL: ROMAGNOLO E STRAMPALATO

strampalatoDietro al motto Buono, Sano, Fatto a Mano, è cominciata da qualche anno a Rimini una simpatica storia dove la passione per materie prime di alta qualità e una tradizione made in Romagna fanno da protagonisti.

In via Destra del Porto, tra storici ristoranti di pesce, se ne sta Strampalato. Giovane e scanzonato, ha deciso di adottare fin dalla nascita uno storytelling che strizza l’occhio al cliente e lo conquista a forza di STRA.

strampalato2Lo STRAmenù tra offerte di panini, hamburger, e piadine solletica la fantasia. Perché mangiare degli strozzapreti al ragù di chianina, non è come mettere in bocca degli STRAngolapreti. E raccontare ai propri amici che ieri abbiamo mangiato delle alici STRAfelici accompagnate da una STRAmba è certamente molto cool. Qualche obiezione? Se ve ne sono rimaste, allora beccatevi questa. Barattare dei miseri bocconcini di Pollo per una bella PollaSTRA. Chi non lo farebbe?

Invenzioni lessicali a parte, Strampalato, con i suoi piatti sempre preparati sul momento, le sue combinazioni azzeccate e l’utilizzo di prodotti a km zero, conquista anche il palato oltre che la fantasia.

Una realtà assolutamente Fast Casual dunque, dove del Fast Food è rimasta soltanto la mancanza del servizio al tavolo.

Ma questa non è una critica ma solo una constatazione. Perché in questa ambientazione così vivace e vintage, sedie diverse l’una dall’altra e tavoli in legno, in questa atmosfera così familiare ed accogliente, il cliente si sente a casa e non pretende di essere servito.

Se vi è venuta voglia di conoscere meglio questa ciurma di simpaticissimi romagnoli, ecco il link alla loro pagina di presentazione. Il sorriso è garantito!

MARINA PASQUINI E IL CUSCINO DA SOGNO

h. belvedere 1 mod_800x614Se TripAdvisor, il celebre portale di viaggi, fosse in grado di trasformare l’apprezzamento dei viaggiatori in suono, alla voce Hotel Belvedere di Riccione avremmo modo  di ascoltare un coro trionfante, cadenzato da sospiri di meraviglia e tanti WOW.  Non ascolteremmo nessun fischio. Di questo siamo certi.  L’Hotel Belvedere di Riccione, infatti, non è un albergo qualunque.

Nel 2015, si è aggiudicato il Travelers Choice Hotel Awards di TripAdvisor come il primo albergo d’Italia,  e, se non bastasse, è salito sul podio come miglior terzo albergo a livello europeo.  Posizioni di vetta alle quali il Belvedere è abituato da tempo.

Un viaggio dallo standard all’eccellenza per la direttrice, Marina Pasquini, romagnola energica e orgogliosa, che, dopo un lungo percorso fatto di coraggiosi investimenti, ha saputo trasformare un semplice Hotel della riviera romagnola nel fiore all’occhiello dell’ospitalità italiana.

Con lo sguardo incessantemente rivolto alla soddisfazione del cliente, oggi Marina è con noi di CX and the City a raccontarci l’esperienza  di un acquisto effettuato negli ultimi mesi.  Un cuscino di cirmolo (CONFORT SANAPUR CUSCINO)  della ditta  JOY Natural Way.

CX AND THE CITY

PasquiniCome ha scoperto il brand ed il luogo dove ha effettuato l’acquisto?

Ho cominciato a sentir parlare del cirmolo e dei suoi effetti rilassanti e terapeutici dal 2005, da quando ho realizzato la mia SPA. Inizialmente non ci credevo molto. Pensavo che dietro lo slogan non ci fosse nessun beneficio effettivo in termini di qualità del sonno. Però quando la mia collaboratrice, Cristina Paris, mi ha fatto vedere e provare il prodotto mi sono dovuta ricredere, eccome!

Nel decidere di acquistare quello specifico prodotto, l’ha confrontato con altri o lo ha scelto perché ha catturato la sua attenzione all’improvviso?

E’ un prodotto unico, ha catturato la mia attenzione fin da subito, fin da quando ci ho posato la testa per la prima volta.

Quale suo bisogno o desiderio il prodotto prometteva di soddisfare?

Sono interessata e sempre alla ricerca di tutto ciò che può aiutarmi a riposare la mente  durante la notte. Il mio lavoro e il mio carattere mi tengono carica al 120% durante tutta la giornata e quindi la notte è l’unico momento che ho per riposare corpo e psiche.

cuscino_pQuando e come ha acquistato il prodotto?

L’ho acquistato su Internet due mesi fa, tramite il sito della ditta JOY Natural Way. È conosciuto e molto utilizzato in montagna, soprattutto nella zona della Val di Fiemme, a Riccione è più difficile trovarlo. Gli alberi di cirmolo crescono solo sopra i 1500 metri e ci vogliono più di 500 anni perché arrivino a piena maturazione.

Il prodotto acquistato ha soddisfatto in pieno il bisogno per cui l’aveva comprato, magari superando ogni aspettativa?

Si. Assolutamente. Questo prodotto per me non è uno sfizio, ma qualcosa di indispensabile. Si coniuga alla perfezione con le mie esigenze di vita e lavoro  permettendomi di recuperare  in fretta da situazioni di affaticamento mentale e stress.

Un motivo per cui rifarebbe l’acquisto?

Con quel cuscino la testa ha un altro peso. È un acquisto che farei e farei fare ad altre mille persone. Lo voglio mettere in ogni stanza del mio albergo.

Se il prodotto da lei acquistato fosse una città, quale città sarebbe?

Non è una città. È la catena delle Dolomiti. La Val Badia. E se dev’essere una città allora dico Corvara. Il luogo ideale per riposare corpo e psiche.

ERRARE HUMANUM EST, PERSEVERARE AUTEM DIABOLICUM

Era l’Ottobre del 2014 quando vi avevamo posto la questione della facilità come tratto necessario nella progettazione e nell’offerta di una Customer Experience superiore. In quell’occasione, vi avevamo riportato il caso di un Brand che proponeva ai suoi clienti una promozione piuttosto complicata da comprendere (leggi qui).

Ora, nel Febbraio 2016, siamo tornati sul “luogo del delitto”. Entriamo nel bellissimo negozio in una zona centrale di Milano. L’ordine, la pulizia, la gentilezza del personale che ci accoglie e anche qualche “rimasuglio” di saldo di fine stagione non possono che farci una bella impressione. Anche in cassa, nonostante qualche persona in coda, le operazioni si svolgono piuttosto rapidamente (anche questo, aspetto molto importante della Customer Experience, come abbiamo scritto qui e qui).

Ma, quando vediamo la responsabile in cassa inserire il nostro scontrino in un cartoncino colorato con scritto “Buono Sconto”, subito la memoria ci riporta a quel lontano Ottobre di un anno e mezza fa. Incuriositi, quasi “strappiamo” il coupon di mano alla cassiera e..sorpresa delle sorprese… Non è cambiato niente! Stesso sconto, stessa formula:

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” (Sbagliare è umano, insistere è diabolico, nda), diceva Sant’Agostino.. Chissà in quanti riescono effettivamente ad accedere con “facilità” e “piacevolezza” a questa meravigliosa opportunità che il Brand vuole offrire ai suoi clienti..!

Italian Customer Intelligence propone un percorso per progettare e offrire una Customer Experience che sia in linea con i criteri di facilità e piacevolezza richiesti dal cliente.

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PATIENT EXPERIENCE E CUSTOMER EXPERIENCE

LA CLEVELAND CLINIC, UNA STRUTTURA MEDICA DI ECCELLENZA NEGLI STATI UNITI

CLEVELAND3La Clinica di Cleveland viene fondata a Cleveland, Ohio, nel 1921. In poco tempo si è affermata in tutti gli Stati Uniti come centro medico accademico multi specializzato non profit che integra la cura clinico-sanitaria alla ricerca e alla formazione, aprendo la strada a innovative procedure mediche (come l’isolamento della serotonina, operazioni di bypass a cuore aperto o di trapianto facciale) e facendo importantissime scoperte in ambito scientifico (come l’identificazione dei geni responsabili di degenerazioni maculari giovanili o di cardiopatie coronariche).

La sede principale ha la possibilità di ospitare fino a 1.440 pazienti, ma la clinica ha diverse sedi affiliate e ambulatori in tutto l’Ohio, in Florida, a Las Vegas, ma anche in Canada (Toronto), Abu Dhabi e Arabia Saudita. Si tratta di una rete che mette a disposizione dei pazienti ben 4.450 letti. Nel 2012, 43 mila dipendenti della Cleveland Clinic hanno curato 1 milione e 300 mila persone, di cui 50 mila solo nel campus principale di Cleveland.

Recentemente, la rivista U.S. News & World Report ha inserito la Cleveland Clinic nella classifica “top four” degli ospedali migliori degli Stati Uniti (classifica 2014-2015). Ma non è sempre stato così e, per arrivare a questo risultato, la strada è stata lunga e travagliata.

QUANDO L’ECCELLENZA MEDICO-SANITARIA NON BASTA PIÙ

Come la maggior parte dei più prestigiosi ospedali, nel tempo, l’attenzione della clinica si è concentrata, grazie anche al suo team di medici “superstar”, soprattutto sul risultato medico, tralasciando il fondamentale aspetto della cura dell’intera esperienza dei suoi pazienti. CMSNel non troppo lontano 2009, consultando i dati di performance tracciati dal Center for Medicare & Medicaid Services (CMS), l’istituto federale che negli Stati Uniti controlla il sistema delle assicurazioni sanitarie, il Ceo della Clinica, Dr. Cosgrove, si rese conto, infatti, che i pazienti si affidavano alla sua struttura per l’eccellenza delle sue cure, ma in realtà non erano per niente soddisfatti di come venivano trattati. Oltretutto, dai dati forniti dal CMS era ben chiaro che, nella scelta dell’ospedale, la maggior parte delle persone iniziava a privilegiare sempre più proprio la “patient experience” rispetto all’eccellenza sanitaria, la qual cosa metteva in serio pericolo l’affluenza alla Clinica di nuovi pazienti. Cosgrove decise allora che era il momento di rendere la customer experience dei suoi clienti, i pazienti appunto, una priorità per tutta la sua azienda, la Clinica.

La sfida di Crosgrove era quella di far capire all’intero staff del suo ospedale (non solo medico, evidentemente) che ciascuno di loro giocava un ruolo importante nella cura di ciascun paziente, e che questo ruolo non doveva inficiare gli alti standard di qualità e sicurezza che erano il fiore all’occhiello della Clinica.

IL PATIENT EXPERIENCE OFFICE PER CREARE UNA PATIENT EXPERIENCE SUPERIORE

In questo Crosgrove trovò l’importante e competente appoggio del Dottor Merlino, un famoso chirurgo che stava già lavorando a rendere la struttura dell’Istituto dei disturbi digestivi della Clinica un’organizzazione “paziente-centrica”. Crosgrove gli affidò il difficile compito di dirigere il “Patient Experience Office” e, come primo passo nel suo nuovo ruolo, Merlino formalizzò una definizione di “Patient Experience” in modo che tutti alla Clinica potessero capire il ruolo che dovevano avere nella cura del paziente: si trattava infatti della “relazione con ogni persona e ogni cosa che il paziente incontra dal momento in cui decide di andare alla clinica, fino al momento della dimissione”. E questa relazione, per rendere soddisfatti i pazienti, doveva essere davvero superiore, in ogni sua componente.

Merlino rese poi pubblici i dati del CMS, sia a livello generale, sia per ogni singola unità, cosa che sensibilizzò lo staff sull’importanza di offrire un buon servizio e una cura attenta, oltre che a fredde – anche se perfette – prestazioni mediche.

IL PAZIENTE AL CENTRO DELL’ECOSISTEMA DELL’AZIENDA OSPEDALIERA

Per capire quali fossero le esigenze dei pazienti il nuovo Patient Experience Chief Officer seguì lo stesso credibile e quantificabile schema di interviste del CMS. Le domande rivolte direttamente ai pazienti dimessi spaziavano dalla comunicazione che essi avevano potuto avere con medici e infermiere, alla cortesia e rispetto dello staff nei loro confronti, alla velocità di risposta al bottone di chiamata, fino alla pulizia della stanza e del bagno, la qualità dei pasti e così via, per arrivare a dare un giudizio complessivo sull’ospedale e a valutare un’eventuale raccomandazione ad amici e colleghi. Merlino scoprì così alcuni dati ed informazioni interessanti: i pazienti dell’ospedale volevano essere sicuri che chi si prendeva cura di loro capisse a fondo cosa significasse essere un paziente, volevano che ci fosse una comunicazione migliore fra medici e infermieri a riguardo delle loro condizioni e volevano potersi relazionare con uno staff che non facesse loro pesare il malumore della giornata.

Attraverso queste interviste, Merlino poté rendersi conto che ogni singolo paziente, durante la sua permanenza in clinica, si relazionava in modo molto articolato con l’ecosistema aziendale:  in media, infatti, il paziente si interfacciava con otto dottori, sessanta infermieri, e moltissimi altri tra addetti alla pulizia, guardiani, trasportatori, cameriere e operatori della cucina, senza contare lo staff non direttamente relazionato all’area sanitaria, come l’amministrazione, il marketing, o altri servizi come il parcheggio..

Tutto personale che, anche se non “in vista”, poteva in qualche modo influenzare il soggiorno del ricoverato. Ogni singola persona che lavorava in ospedale, secondo Merlino, dove prendersi la responsabilità della cura di ciascun paziente, secondo una logica, “paziente-centrica”. Se anche uno solo di loro avesse mancato al suo compito, questo si sarebbe poi riflettuto sull’intera esperienza del paziente presso la Clinica.

Senza non poco sforzo, Merlino riuscì ad istituire un programma che coinvolgesse tutti gli impiegati dell’ospedale a qualsiasi livello durante il quale ciascuno avrebbe raccontato storie di cosa avevano fatto (e come avrebbero potuto migliorare) per fornire le proprie cure ai pazienti dell’ospedale. Oltre al fatto di sensibilizzare ciascun “reparto” rispetto al lavoro, alle difficoltà e alle esigenze degli altri, fu anche l’occasione per creare un elenco delle “best practice” che potevano essere messe in pratica nella quotidianità.

Merlino si occupava costantemente di fare interviste ai pazienti analizzandone le risposte e interpretandone le lamentele (assecondarli era giusto o andava contro il loro stesso interesse?), seguiva i programmi di formazione dello staff medico e non e lavorava con loro per identificare e risolvere i problemi.

LA CUSTOMER EXPERIENCE PORTA RISULTATI IN TERMINI DI PROFITTI

Il primo grosso risultato evidente di questa operazione, iniziata nel 2010, fu quella di creare una linea telefonica per prendere appuntamenti immediati per visite più o meno importanti e urgenti. Il servizio permise di aumentare il numero di nuovi clienti/pazienti del 20% solo nel primo anno.

Si scoprì inoltre che le unità che fornivano ai pazienti visite da parte delle infermiere a cadenza oraria erano quelle che performavano meglio. Ottenere buoni risultati in termini di customer experience, permise alla Clinica di risalire nella classifica del gradimento degli ospedali degli Stati Uniti stilata dal CMS: da un elenco di 4.600 ospedali, nel 2008, solo il 55% dei pazienti intervistati dal Center for Medicare & Medicaid Services riteneva buono il servizio ottenuto dalla Cleveland Clinic, mentre nel 2012 si raggiunse addirittura il 92%. Oltretutto, per incentivare gli ospedali a curare l’aspetto del servizio delle loro strutture, nel 2013 il CSM stabilì che 1 miliardo di dollari dei pagamenti agli ospedali sarebbe dipeso dalle loro performance in termini di servizio.

 

IL VIAGGIO DI SUCCESSO DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Nonostante i progressi notevoli, tutti alla clinica sono consapevoli che la strada verso una customer experience superiore è lunga. Da una parte, i pazienti cambiano e con loro possono cambiare le loro esigenze e loro necessità, dall’altra è necessario tenere tutto l’ecosistema ospedaliero (tutti coloro che si relazionano a diverso titolo e in diverso modo con il paziente, da quando decide di andare in ospedale a quando viene dimesso) costantemente concentrato sull’importanza di fornire il miglior servizio e la più grande attenzione. Nel lungo viaggio per offrire una customer experience superiore, quindi, sono necessarie una costante e approfondita conoscenza del proprio cliente e un’accurata progettazione della customer experience in ogni relazione che egli ha con l’azienda.

ELENA RIVA E IL PROFUMO DI UNA VACANZA SPECIALE

Elena RivaElena Riva è Presidente di Panino Giusto, catena di ristorazione fast casual nata a Milano nel 1979, con all’attivo quindici locali nel capoluogo lombardo, quattro nel resto d’Italia, quattro in Giappone, uno ad Hong Kong e uno a Londra. Panino Giusto è diventato ormai sinonimo di qualità non solo per l’eccellenza delle materie prime, ma anche per offrire ai propri clienti un ambiente informale e al contempo curato. Con un occhio sempre attento alla customer experience dei clienti dei suoi ristoranti, Elena racconta a CX and The City, la rubrica di interviste che ogni azienda dovrebbe fare a ciascun suo cliente (clicca qui per approfondire), la sua personale esperienza relativa a un acquisto effettuato negli ultimi mesi: la Amber & Lavander Cologne di Jo Malone.

CX AND THE CITY

BelgraviaCome ha scoperto il brand e il luogo dove ha effettuato l’acquisto?

Passeggiavo per Belgravia, un quartiere bellissimo di Londra, con una mia cara amica e ci siamo fermate a guardare le vetrine del negozio di Jo Malone, che aveva richiamato la nostra attenzione.

Nel decidere di acquistare quello specifico prodotto, lo ha confrontato con altro o lo ha scelto perchè ha catturato la sua attenzione all’improvviso?

Ho provato diverse fragranze ma la Amber & Lavander Cologne mi ha conquistato immediatamente.

cologneQuale suo personale bisogno o quale desiderio il prodotto che ha acquistato prometteva di soddisfare?

Volevo un profumo “non impegnativo”, per ogni occasione: sia quando lavoro che durante il tempo libero. Femminile, ma non troppo dolce… Un profumo che fosse riconoscibile ma in modo sottile, soprattutto da me, non amo i profumi invadenti.

Quando e come ha acquistato il prodotto?

Ho acquistato per la prima volta quel profumo nell’estate del 2014 e da allora gli sono rimasta fedele, con una particolarità: mi piace comprarlo a Londra, sempre nello stesso negozio, perché vivo quell’esperienza di acquisto come qualcosa di speciale.

Il prodotto acquistato ha soddisfatto in pieno il bisogno iniziale per cui l’aveva comprato, magari superando addirittura ogni aspettativa?

Si, mi sono sentita da subito a mio agio con questo profumo e ancor oggi rimane la mia fragranza preferita.

Un motivo per cui rifarebbe questo acquisto?

Perché mi ricorda momenti bellissimi che ho vissuto durante quella vacanza.

Se il prodotto da lei acquistato fosse una città, quale città sarebbe?

Non potrebbe che essere Londra! Una città stupenda che adoro e che è in grado di combinare in maniera unica e straordinaria la tradizione del passato con una fortissima spinta al futuro e all’innovazione.

THAT’S VAPORE: UN CESTINO PIENO DI NATURALEZZA

thatvaporelogoQuando si entra in That’s Vapore per la prima volta non si sa bene cosa aspettarsi. Le notizie che si sentono in giro, tra amici e conoscenti, ma anche online, parlano di “cestini di cibo cotto al vapore”. Insomma, roba non facilissima da “digerire”, in un mare magnum di offerte che spaziano dall’hamburger alla pizza, dal panino alla piadina, al sushi, ai cupcake e chi più ne ha più ne metta.

Quando si entra in That’s Vapore per la prima volta, però, si viene subito sopraffatti dalla quantità di “naturalezza” che riempie il locale.

Lo sguardo non sa dove posarsi, passando estasiato dalla frutta e la verdura esposta in prossimità del bancone bar dove vengono preparati frullati e centrifughe, ai fiori e piante che adornano l’intero locale, alla meravigliosa vetrina dove coloratissimi cestini ammiccano al cliente che si trova imbarazzato nel doverne scegliere uno tra tanti. Anche le grosse lavagne che riportano il menù, rigorosamente scritte a mano, abbozzando qua e là a un po’ di storytelling, danno un senso di naturalezza, di semplicità e di leggerezza. Ma anche di attenta cura e accurata ricercatezza.

WP_20151217_13_22_49_ProSi ordina al banco, prima di accomodarsi, ma si paga dopo: lo spiega una lavagnetta posta vistosamente sopra la cassa. Questo rende facile, per il cliente neofita, capire come muoversi. La coda per ordinare costeggia la vetrina dove sono riposti i cestini, pronti per essere cotti “a vapore a 104°C e per un tempo massimo di 2’30”. Il tempo speso nell’attesa dell’ora di punta non può che essere utile per studiare approfonditamente il menù proposto: pasta fresca, carne, pesce, riso, cereali, insalate. E se la composizione non fosse abbastanza chiara dalla vetrina, i cartellini elencano gli ingredienti di ogni singolo cestino, indicandone il prezzo. Insomma, si sceglie sapendo esattamente che cosa e come verrà presentato al tavolo.

WP_20151217_13_33_57_ProArrivati in cassa, ci travolge la naturalezza più disarmante: la ragazza che ci accoglie ci guarda dritto negli occhi, dandoci il benvenuto e chiedendoci che cosa abbiamo scelto. Il suo tono è caldo e gentile: in quel momento, lei sta badando a noi, solo a noi, proprio a noi. Poi, veloce ma delicata, ci indica un posto, non senza prima essersi assicurata che la posizione sia di nostro gradimento. Ci ricorda, intanto, sempre sorridente, che potremo pagare quando avremo finito. Abbiamo più volte detto di quanto un sorriso sincero possa fare la differenza quando si viene accolti in un locale (ma anche in un qualunque negozio). In questo caso, la naturalezza del gesto della ragazza ci coinvolge al punto da farci sentire una grande sensazione di libertà. Cosa, per altro, promessa da That’s Vapore.

Ci sediamo e non possiamo fare a meno di notare che l’atteggiamento della ragazza rimane invariato con ogni cliente, che viene da lei fatto sentire importante.

WP_20151217_13_35_39_ProUna volta seduti, il nostro ordine viene portato molto rapidamente: il cameriere, raggiungendoci dalle spalle (ci troviamo seduti nel bancone in vetrina) ci ricorda che cosa abbiamo scelto. Un bigliettino appeso al muro di fronte ci suggerisce di mescolare il contenuto del cestino, per poterlo assaporare meglio: un altro dettaglio che aiuta a rendere più facile e piacevole l’esperienza, soprattutto, appunto, per chi prova That’s Vapore per la prima volta. A metà del pasto, la stessa ragazza che prendeva le ordinazioni in cassa, trovandosi in un momento senza clienti in coda, si avvicina per chiedere – a noi e ai nostri vicini – se la cottura del cestino fosse adeguata.

A ogni cliente, alla fine del pasto, viene chiesto se è possibile ritirare il “piatto” e se è gradito qualcos’altro.

Al momento di pagare, poi, veniamo nuovamente accolti con simpatia e allegria da un ragazzo che, chiedendoci il tavolo al quale abbiamo mangiato, si assicura che tutto sia andato bene. Ricordandoci, poi, che cosa abbiamo consumato, ci informa del conto finale. Un saluto caloroso ci arriva al momento dell’uscita da tutto il personale che si trova “nei paraggi”.

La naturalezza, il calore e la gioiosità dei gesti del personale di That’s Vapore facilmente conquistano il cliente. A patto però che diventino un tratto distintivo e ricorrente della sua offerta, che lo faccia emergere o, quanto meno, differenziare da tutti gli altri.

Come in ogni azienda che abbia diversi locali, di proprietà o in franchising, infatti, è necessario che la Customer Experience proposta al cliente sia perfettamente replicabile nella sua coerenza con i valori del brand in ogni punto vendita e in ogni locale.

IL VERBO TO ENGAGE E L’ARGENT DI PEGUY!

Ogni azienda è, in fondo, un ecosistema. E come tutti gli ecosistemi aperti si regge su un equilibrio dinamico. Il grado di apertura dell’ecosistema (e un’azienda è per sua natura un sistema aperto al mercato) influisce sulla dinamicità dell’equilibrio necessario alla sua stessa esistenza.

Divertitevi ad andare in un negozio e a segnare su un foglio tutto quello che il cliente può vedere, toccare, ascoltare, sentire…

In breve supererete le 150 cose. Ogni cosa che, quindi, il cliente vede, tocca, ascolta, sente è generata, fatta, prodotta da un numero di persone che spessissimo il cliente non vede (e viceversa!). Per ogni cosa potete ricostruire l’ecosistema aziendale che, a volte assai inconsapevolmente, la produce e la sovraintende (si trattasse di un profumo nell’aria del negozio, di una T-shirt, di uno sconto, di un display, di uno specchio, di una vetrina, della dicitura della privacy per ottenere il consenso a mandare mail…bè…arrivate a 150!)

Quanto più riuscirete a dar visibilità all’esperienza del cliente presso l’ecosistema aziendale che la influenza, tanto più potrete aprire al cliente il vostro ecosistema aziendale, coinvolgendolo in un approccio davvero outside in.

Strisce

L’operazione non è sempre semplice per vari motivi:

a) I commerciali spesso si ritengono gli unici depositari dell’esperienza e della voce del cliente e vogliono essere loro a comandare l’ecosistema e non lasciarlo fare al cliente, ritenendo spesso di capire meglio del cliente che cosa “davvero” desideri.

b) Non si ha chiarezza sui touchpoint del cliente con l’azienda in tutte le tappe del suo viaggio: quando il cliente scopre il brand, quando valuta qualcosa, quando acquista, quando utilizza quello che ha comprato e quando chiede assistenza. Ciascuna “tappa” ha decine e decine di touchpoint spesso trascurati e influenzati più o meno consapevolmente da reconditi pezzi di ecosistema aziendale.

c) Non è facile coinvolgere le persone nell’esperienza del cliente. Spesso i “capi” chiedono attenzione verso se stessi piuttosto che verso ciò a cui loro dovrebbero soprattutto guardare e pensare: al cliente.

Questo “problema” del coinvolgimento delle persone è molto sentito: addirittura esiste un’associazione “Engage For Success” parecchio seguita. E il verbo to engage è diventato di moda nella parlata dei manager. Come se occorresse “farla tanto lunga” per coinvolgere, chiedere impegno, energia, forza, creatività, si…in una parola …per lavorare!

Già Peguy, nel 1914 si lamentava con se stesso di farla troppo lunga, nel bellissimo pezzo della sedia tratto da “L’ Argent” (http://praxismanagement.it/praxis-management-likes/). Ma è questo lo spirito che tanti sanno vivere e suscitare ancor oggi.

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