L’ESPERIENZA DEL CLIENTE È DAVVERO RIFLESSA NEI DATI CHE FORNISCE?

Il prof. Peter J. Schulz interviene sul tema lanciato da Mario Sala sulla relazione fra dati e Customer Experience

Chi ha già utilizzato Skype ha probabilmente fatto la seguente esperienza: al termine del collegamento, l’utente è invitato ad esprimere un giudizio sulla qualità della chiamata su una scala da 1 a 5 stelle. Una stella corrisponde a una qualità molto scarsa mentre 5 contraddistingue una chiamata qualitativamente eccellente. Molte volte non è possibile, anche nella vita di tutti i giorni, sottrarsi a questa logica. Oggigiorno, abbiamo la possibilità di fornire sempre più spesso il nostro parere rispetto ad un servizio utilizzato o ad un prodotto ordinato su internet.

Questo processo di valutazione è una procedura comune con la quale le aziende rendono misurabile e valutabile la qualità del proprio operato. I vertici prestano particolare attenzione ai feedback dei clienti rispetto al servizio o al prodotto fornito. Valutazioni positive ripagano l’azienda soprattutto in termini di reputazione: è così possibile giustificare un prezzo anche elevato in base a valutazioni ricevute. Al contrario, feedback negativi o nella media richiedono che l’azienda metta in atto tutta una serie di procedure, a volte di ampia portata e che implichino costi importanti. Tali valutazioni sono quindi di fondamentale rilevanza per la direzione strategica di un’azienda e per il rendimento finanziario della stessa. Senza di esse, il modello stesso di business verrebbe messo in discussione. Infine, anche i clienti traggono innumerevoli vantaggi dal poter disporre delle valutazioni di altri utenti per tutta una serie di motivi.

Cosa succede però se errori, anche minimi, si insinuano nel processo di valutazione? Torniamo all’esempio di Skype: i clienti che lo utilizzano regolarmente non sempre vogliono fornire la propria valutazione alla conclusione di ogni chiamata. Inoltre, qualora i clienti diano 4 stelle o meno, essi vengono automaticamente reindirizzati verso una successiva scala di valutazione in cui possono descrivere nel dettaglio il problema riscontrato durante la conversazione.
Questi feedback aggiuntivi sono per l’azienda (e, indirettamente, per il cliente) di grande beneficio perché servono al rilevamento di difetti di funzionamento che possono essere corretti in futuro nel caso si dovessero verificare regolarmente. L’utente, però, non è sempre contento o disposto a fornire recensioni così approfondite. Al fine di abbreviare la procedura e per salvarsi dalla fatica di una valutazione più dettagliata si tende a valutare ogni chiamata, indipendentemente dalla qualità della conversazione, come eccellente. Sebbene questa valutazione possa non rispecchiare l’effettiva qualità della chiamata, ha il grande vantaggio di far risparmiare tempo al cliente evitandogli di dover rispondere ad ulteriori domande.

Coloro che si occupano di analizzare i dati relativi alle valutazioni dei clienti prestano spesso poca attenzione a questi fenomeni e gli strumenti analitici utilizzati in questi contesti si rivelano poco adatti e, soprattutto, non in grado di rilevare tali sfumature. Solo un analista interessato ad approfondire le circostanze in cui sono stati raccolti i dati sarà in grado di rilevare queste dinamiche e considerare ciò come fonte di potenziali errori di lettura dei risultati ottenuti.
Al contrario, non è difficile immaginare quanto velocemente gli errori che inizialmente avvengono nella fase di raccolta dati influenzeranno in seguito anche l’analisi degli stessi: l’analista potrebbe rimanere semplicemente sorpreso dal fatto che la stragrande maggioranza dei clienti dia solo feedback positivi. Difatti i dati presi da soli e analizzati con l’aiuto di un programma statistico, inducono l’analista ad arrivare ad un’unica conclusione possibile, ovvero che il prodotto sia stato valutato dalla maggioranza dei clienti come eccezionale. Viene così trascurato che questa immagine fin troppo positiva sia il frutto dei limiti di tempo e di voglia dei clienti di fornire valutazioni che corrispondano alla relativa esperienza vissuta. In questo modo, possono insinuarsi importanti errori di valutazione in decisioni cruciali a livello aziendale. Errori gravi che avrebbero potuto essere evitati se si fossero fatte ulteriori verifiche per comprendere meglio se l’esperienza del cliente sia effettivamente riflessa adeguatamente nelle valutazioni fornite.

Analisti con una solida esperienza alle spalle hanno familiarità con l’espressione “garbage in – garbage out“: questa frase non si riferisce solo al fatto che, se tramite un programma statistico vengono eseguite analisi prive di senso, si otterranno solo assurdità, ma implica anche che se vengono utilizzati dati spazzatura, gli unici risultati possibili che ci si possa aspettare siano risultati spazzatura.

Un piccolo errore di valutazione iniziale può portare rapidamente a prendere decisioni funeste riguardo al futuro di un’impresa. Idealmente, soprattutto se si è a capo di un’azienda, bisognerebbe chiedersi quale tipo di dati rappresentino la realtà o se i dati in oggetto forniscano un’immagine veritiera della dimensione che si sta indagando. Inoltre, è necessario compiere un’ulteriore riflessione rispetto a che tipo di analisi consenta di trarre determinate conclusioni. Su questo punto, si potrebbero citare innumerevoli altri esempi ed episodi con esiti negativi, ognuno dei quali sottolinea il rischio insito che si delinea qualora si separino cose indissolubilmente legate tra loro. Dalla separazione delle esperienze dei consumatori con i dati che cercano di riflettere le esperienze stesse, fino all’analisi dei dati o a decisioni che si basano su dati che forniscono un quadro distorto della realtà.

In sostanza, quanto detto finora si riassume perfettamente in una frase contenuta nell’articolo “Customer Experience fa rima con essenzialità” (Clicca qui) di Mario Sala che scrive se chi “decide” non partecipa all’avventura della scoperta del dato, della sua raccolta e della sua analisi ben difficilmente scoprirà i nessi sorprendenti che la realtà sempre offre arrendendosi alla supposta “matematica” dei dati così come brutalmente rinvenuti.

Di conseguenza, una delle strategie più efficaci per un’azienda sul lungo termine potrebbe essere cercare di comprendere come illustrare adeguatamente l’esperienza del cliente, la cosiddetta Customer Experience, tramite l’utilizzo appropriato di dati, analisi e processi decisionali.

Peter J. Schulz è il direttore dell'Istituto di comunicazione e salute dell'Università di Lugano, in Svizzera e professore di Teorie della comunicazione e comunicazione sanitaria. Nel suo lavoro ha cercato di riunire il pensiero delle scienze umane, delle scienze sociali e della tecnologia dell'informazione per indagare su questioni importanti nelle comunicazioni sanitarie. Il suo recente impegno nel campo della ricerca sulla comunicazione sanitaria si concentra sull'alfabetizzazione e l'empowerment della salute, sulla comunicazione medico-paziente e sull'effetto mediatico nel campo della salute, come l'impatto dell'uso di Internet sulla salute degli adolescenti. Ha pubblicato più di 170 articoli sulla comunicazione sanitaria in numerose pubblicazioni con revisione paritaria. Insieme a Paul Cobley, a Londra, è un editore della serie Handbooks of Communication Science (HoCS, 35 volumi, Berlino: DeGruyter & Mouton). Dal 2017 è anche professore onorario presso l'ANU (Australian National University, Canberra).