LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI! ALMENO IN NOME DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

La peggiore delle customer experience è quando si trova chiuso!  Il messaggio è chiaro: “Torna quando ti è comodo, ma non in pausa pranzo o dopo le 19, ché la cena si avvicina”. Zero experience, quindi!

Anche gli esercizi commerciali son fatti da gente che lavora, che ha diritto alla pausa pranzo e di smettere il lavoro all’imbrunire. Proprio come il cliente che lavora e che può andare a comprare e vivere la sua esperienza di acquisto, guarda caso, solo in pausa pranzo o dopo il suo lavoro.

Così si taglia alla radice uno dei “must” della customer experience: rendere “facile” l’esperienza col brand (oltre che offrirla piacevole e davvero corrispondente al bisogno del cliente).

Si tiene chiuso: più facile di così! Ecco allora che vediamo brand che investono cifre da capogiro per rendere efficiente l’assistenza al cliente, che fanno investimenti considerevoli in logistica perché i propri scaffali siano carichi e assortiti nei negozi, uffici del prodotto che sviluppano ricerche per offrire novità e battere la concorrenza… Ma per i rivenditori tutte queste cose non valgono l’apertura in pausa pranzo o dopo le 19 per i clienti che lavorano.

Tranne poi farsi forti coi brand dicendo “Il cliente è del mio punto vendita e viene perché ci sono io e non per il tuo brand!” (Almeno dovrebbero precisare che viene “quando ci sono io“).

Oppure ci si lamenta che i centri commerciali starebbero distruggendo gli esercizi di vicinato con le loro aperture “selvagge” (in pausa pranzo e la sera). Dire “Il cliente è mio e non del brand che espongo”, giudicare “selvagge e sleali” le aperture dei centri commerciali sono le dichiarazioni di chi proprio non vuole entrare nell’Era del Cliente e si appresta a uscire dal mercato (dando, naturalmente, colpa alla crisi).

Ma chiudere durante la pausa pranzo o all’imbrunire, prima che una scelta “comoda”, è una scelta poco furba: è esattamente la gente che ha un lavoro quella che ha soldi in mano e proprio a costoro si chiude la saracinesca in faccia. Per non parlare delle corse che si fanno chiedendo al proprio capo di anticipare la pausa pranzo per fare un acquisto improrogabile (e sopportando il relativo mugugno) per raggiungere quel negozio prima della chiusura delle 13. Ma già alle 12.50 si trova la porta chiusa e si vedono gli addetti vendita che, mentre ilari conversano fra di loro, fanno ampi gesti al cliente deluso col naso sul vetro, indicando con la mano il “no” più ampio e ineluttabile.

Ecco che così si trova un autonoleggio a Rimini che chiude dalle 13 alle 15.30, una delle migliori farmacie omeopatiche lombarde che tiene chiuso il sabato, il punto vendita in franchising di uno splendido brand del fast fashion che, in Sicilia, chiude dalle 12.30 alle 16.30, lo show room per interni alla moda che nella frenetica Milano ferma sia in pausa pranzo sia davvero presto alla sera… e questo elenco potrebbe essere quasi interminabile!

“Ma il personale costa e tenere aperto in pausa pranzo o fino alle 20 non ne vale la pena per gli incassi che si fanno…”

Infatti gli incassi scenderanno sempre di più con questa mentalità, perché il cliente va altrove. A esempio, nel punto vendita dell’incredulo commerciante marchigiano che confessa di aver incassato il 20% in più tenendo aperto in pausa pranzo anche dopo aver terminato il periodo dei saldi.

Lavoratori di tutto il mondo unitevi!“, così termina il Manifesto di Karl Marx e Friedrich Engels. Almeno per far tenere aperti gli esercizi commerciali in pausa pranzo e un po’ di più alla sera. E prima di far diventare certi commercianti ex-lavoratori.

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