Gucci Milano Fall-Winter Women’s Fashion show 2020
Il 19 febbraio scorso, durante la seconda giornata della Milano Fashion week, è “andata in onda” la sfilata della casa di moda fiorentina Gucci, per la collezione autunno-inverno femminile. Gli ospiti, invitati direttamente da Alessandro Michele, direttore artistico della maison, poco prima di accomodarsi nelle prime file sono stati accolti in un modo pressoché insolito.
Il video della sfilata – pubblicato sul canale Youtube di Gucci – si apre proprio con immagini di backstage, dove il brusio fa da sottofondo a un via vai di modelle e di modelli ancora nella fase “preparatoria” prima dello show. Alessandro Michele è lì, nel bel mezzo dell’anticamera di quella che si rivelerà una performance a tutti gli effetti: i lunghi capelli neri, la camicia rossa e nera a scacchi lo rendono riconoscibile anche in mezzo alla confusione.
Sognare o essere desti?
Il primo approccio potrebbe far pensare di essere capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato: forse un errore organizzativo? Forse una messa in scena iniziata troppo presto? Gli ospiti, dopo essere stati salutati personalmente da Michele, lasciano il backstage affollato che comincia a svuotarsi dopo quasi 45 minuti da inizio video. In sala cala il buio, ma si intravedono delle forme rettangolari in penombra, come fossero finestre da scoprire, su una musica che comincia piano a diffondersi e a incalzare sempre di più. Gli spettatori (live e virtuali) non sanno che cosa stia per accadere, mentre l’atmosfera rimane misteriosa e intrisa di magia. Mentre la musica continua il suo corso, compare in alto un pendolo ricoperto di luci al neon, pronto a scandire il tempo con il suo “tic tac”. Lo scandire del tempo (tema che ricorre nelle sfilate di Gucci), lascia spazio a una voce over parlante: è Federico Fellini.
“Il cinema, che era proprio questo, era suggestione ipnotica, era ritualistica, c’era qualcosa di religioso; si usciva di casa, si parcheggiava la macchina in qualche posto, poi ci si incolonnava e partiva tutto il rituale. Il biglietto, la tenda che si apriva, la mascherina, guardarla mezza illuminata, riconoscere degli amici. Poi, questa luce che si attenua, lo schermo che si accende e comincia la rivelazione, il messaggio. Un rituale antichissimo, di sempre, che ha cambiato forma e modi, ma era sempre quello: sei lì per ascoltare.”
Proprio sulle parole di Fellini, la penombra comincia a svanire e dopo un rullo di tamburi accompagnato da una musica leggera, le finestre – prima oscurate – si spogliano della tenda rosa che le copriva mostrando il punto focale dello show: la luce illumina il backstage.
La rappresentazione è a metà tra una giostra e un carillon, una sorta di meta-teatro intersoggettivo in cui le voci si incastrano, si sentono i commenti spontanei di chi sta lavorando e si vedono i movimenti non studiati che precedono una sfilata. L’idea è geniale: si sta mettendo in scena la vera storia che nasce e cresce dietro le quinte, dietro il sipario, dentro i meccanismi di quella giostra che ha cominciato a girare.
Il processo di raffigurazione è fuso con la sua stessa realizzazione; lo spettatore è catapultato dentro il backstage di una sfilata di alta moda firmata Gucci, riesce a sentirne i profumi, a toccare le consistenze degli abiti e a capire effettivamente che cosa precede la performance che è abituato a vedere finita e perfetta. L’unico limite? Il vetro.
Questo, infatti, separa fisicamente lo spettatore da coloro che vivono internamente la giostra, è un filtro che separa il dentro dal fuori, ma che non proibisce – ma anzi consente e vuole che accada – di essere oltrepassato e di godere dello spettacolo.
Come ogni rituale che si rispetti, appare il momento della “vestizione”, in cui le modelle e i modelli sono visti da una prospettiva di “comune normalità” e non come creature perfette e impeccabilmente impostate. Per la prima volta allo spettatore è concesso un poter guardare diverso da quello a cui è solitamente esposto e che gli è solitamente concesso: il poter guardare questa volta oltrepassa la barriera del “risultato finale”, raggiungendo la natura più autentica della sfilata, un’intimità decisamente più forte. Compare Gucci, dall’inizio alla fine della sua rappresentazione.
Sicuramente lo show si appoggia sulla dinamicità; la presenza stessa della giostra è dinamicità, così come il carillon. Una giostra che gira, gruppi di persone che si muovono a destra e a sinistra, in lungo e in largo, le voci sovrapposte, i tessuti in movimento.
Questo forte dinamismo non si ferma mai: la giostra centrale continua il suo corso anche nel momento in cui la modella o il modello, pronti, vestiti, truccati e sistemati, raggiungono il perimetro del cerchio e stop: si fermano. Uno a uno ogni soggetto prende il suo posto sulla pedana e l’effetto che si viene a creare è magnifico, soprattutto dal punto di vista del pubblico spettatore.
Infatti, se al centro della giostra tutto continua a muoversi in sintonia con il roteare della pedana, il perimetro si completa di persone ferme dallo sguardo fisso in avanti e una luce quasi “caravaggiesca” che li colpisce dando forma a giochi di luci e ombre perfetti. Così, le modelle e i modelli appaiono come figurine-soldatini dentro il carillon griffato Gucci, mentre il grande pendolo al neon continua a scandire il tempo sulle note del Bolero di Ravel.
Tutti hanno preso il loro posto, il movimento interno dei vestieristi (rimasti al centro della pedana) si è concluso, la luce si alza omogenea su tutta la giostra che continua a girare, lasciando il pubblico libero di godere della manifestazione estetica messa in atto da Alessandro Michele.
I capi proposti sono diversi, ma restano coerenti con gli stili che da anni ispirano la maison fiorentina. Colori sgargianti, tessuti e trame differenti, calzettoni al polpaccio, sandali, cappelli e tantissimi accessori. I personaggi dello spettacolo Gucci sono diversi tra loro: compare la fiaba, il cinema, ma anche il circo, la malinconia, il mistero, la religione, la libertà, l’eccentricità. Non a caso ritorna il tema della sfera infantile, associata alla voglia di essere liberi e spensierati: nostalgia? Potrebbe essere connessa alla stessa giostra che gira, elemento caratterizzante dei ricordi di quando si era bambini.
Dopo una serie di minuti, accade qualcosa di inaspettato: la musica incalza e su una delle note più alte, la giostra si ferma. I modelli e le modelle escono dalla pedana e cominciano a sfilare, lasciando spazio ai vestieristi di scambiarsi di posto: la giostra riparte. Ora, però, l’effetto visivo è magico. La giostra gira in un senso, i modelli e le modelle – fuori – in un altro.
Il movimento è assoluto e si accorda perfettamente con la musica che sta per regalare l’ultima nota; la giostra si ferma, la luce si abbassa e tanti piccoli fari al neon puntano verso l’alto: entra Alessandro Michele e il sipario si chiude.
“Una macchina da presa, degli amici attorno disposti ad aiutarmi, una troupe straordinaria, proprio di circensi, di quelli che mentre montano il circo fanno spettacolo, ugualmente lo fanno mentre lo smontano e anche la partenza diventa spettacolo. Forse è una dichiarazione d’amore al cinema, forse un pochino troppo privata, forse narcisistica; ripeto, spudorata, senza limiti.. ma comunque, è quello che ho fatto.”
Gucci, sulle parole di Fellini, ci ha concesso di vivere l’esperienza del montaggio del circo, del grande spettacolo durante il montaggio-smontaggio, della forte costruzione della forma che da sempre rimane privata ma, allo stesso tempo, spettacolare. Inclusività, intimità, assenza di limiti: una dichiarazione d’amore verso l’arte e la moda.
Sotto il video integrale dell’evento; al minuto 46:24 parte la voce di Fellini.
Marta Mancosu (Linkedin)