L’ARANCINO, CALANDOTELO, TI PARLA…

Il giro d’Italia in classe

Quando si nomina il Made in Italy il pensiero va a una serie di eccellenze che rendono il nostro paese famoso in tutto il mondo.  Un patrimonio immenso, variegato, espressione di bellezza e ricchezza delle nostre regioni così diverse, di lavoro e impegno che prendono la forma di prodotti buoni, pregiati, belli.

Ho riscoperto questo patrimonio attraverso gli occhi e il lavoro dei miei studenti, che me ne hanno fatto percepire un valore ulteriore: saper suscitare passione in chi, accostandosi a questo patrimonio, rivede in esso ciò che ama, i propri interessi e anche le proprie radici.

Durante il periodo della Didattica a distanza, forzatamente lontani dalle nostre classi, noi docenti abbiamo cercato di coinvolgerle in progetti che sentissero vicini e potessero coinvolgere tutti in prima persona. Nelle lezioni di geografia, con i ragazzi della mia prima professionale agraria, abbiamo parlato dell’Italia e della sua economia. E di come ad essa appartengano prodotti in cui si esprime la bellezza di questa terra, della sua storia e della sua ricchezza: una combinazione di tradizione, tecnologia e sostenibilità.

Abbiamo cercato di stilare un elenco di tutto ciò che fosse riconoscibile come Made in Italy e la lista sembrava infinita, con esempi riconducibili a tutti i settori produttivi. Ho chiesto allora agli studenti di scegliere uno di questi prodotti o marchi, descriverlo, cercarne la storia e il legame con il territorio a cui appartiene e indagarne l’importanza per il sistema economico italiano.

I ragazzi, legati alla terra non solo per ragioni scolastiche ma anche per passione, hanno parlato della pasta, della mela del Trentino, della bresaola valtellinese e ovviamente della pizza. Alcuni hanno optato per prodotti legati alle proprie terre d’origine. Tutti sono stati in grado di rendere ragione in modo chiaro dei motivi delle proprie scelte. Hanno approfondito prodotti diversi e apparentemente molto lontani, ma è emerso chiaramente come il punto in comune sia la loro storia, che affonda le radici nel territorio da cui hanno origine, con tutta la ricchezza di cui il territorio italiano, con le sue millenarie contaminazioni, è espressione. Insomma, cos’è l’Italia se non il risultato di un incontro di culture che si è protratto per secoli?

I ragazzi, nei loro lavori, lo testimoniano. Tommaso, grande nostalgico della Sicilia (ne parla incessantemente) ha raccontato l’arancino catanese: “Ho scelto questo prodotto – ha scritto – perché è buono, irripetibile e bello esteticamente, mi ricorda l’Etna. Mi fa ricordare la mia terra, dove ho radici”. Tommaso, nella sua descrizione piena di entusiasmo e un po’ istintiva, ha colto un altro punto interessante: “L’arancino, calandotelo, ti parla, ti racconta la storia di popolazioni che hanno colonizzato una terra ricca e prosperosa per far crescere i prodotti di cui è costituito”. Nella sua presentazione parla ad esempio della coltivazione dello zafferano, arrivato in Sicilia con gli Arabi, e del fatto che “mangiando lungo la costa siciliana, sembra di assaporare pezzi diversi di Storia”.

Nicolò, anche lui siciliano, ha scelto il Nocellara del Belice, una varietà di oliva che cresce solamente in una ristretta zona del trapanese: “Quello che ne deriva è l’olio più esportato della Sicilia, per questo possiamo dire che è un pilastro fondamentale dell’economia siciliana”. Anche lui ha voluto soffermarsi su questo prodotto perché fa parte della sua storia: “Al mio paese, in campagna, abbiamo degli alberi di Nocellara”.

Benedetta ha approfondito la storia del miele e della sua produzione piemontese perché “lo ritengo un prodotto davvero gustoso e mi ispirava il fatto che la sua lavorazione sia svolta per la maggior parte dalle api”.

 

La famiglia di Lorenzo, invece, ha un’azienda agricola in Brianza che produce latte. Partendo da qualcosa che conosce molto bene, ha voluto parlare della mozzarella di bufala campana: “Avendo un allevamento di vacche, so il lavoro che c’è dietro per produrre il latte, curare gli animali e alimentarli. Ho scelto questo prodotto perché sono rimasto colpito dal gusto molto saporito, dalla sua consistenza e dal sapore, diverso da quello del nostro latte bovino”.

Dagli approfondimenti degli studenti è emerso un quadro davvero vario e attraente del nostro Paese. I prodotti delle nostre regioni rappresentano una miniera di opportunità, a condizione di saper continuamente raccontare al mondo ciò di cui siamo capaci, suscitando la stessa emozione e lo stesso interesse che il Made in Italy ha fatto nascere in questi ragazzi. Emozione e interesse che sono nati in molti di loro nel rendersi conto di quanto la cura, la passione, il desiderio di fare bene siano la radice dell’eccellenza dei prodotti su cui hanno lavorato.

Ma dove nasce questo desiderio, che porta con sé la passione di fare bene e poi la voglia e la capacità di raccontare questa storia? Da insegnante, non posso che attribuire un ruolo centrale all’educazione: riconoscere il bello è semplice, lo testimoniano i miei studenti, ma c’è bisogno che qualcuno te lo indichi. Abbiamo bisogno, tutti e sempre di più in questo tempo frenetico, di imparare a guardare con calma e stupore ciò che il nostro Paese ci offre. Di soffermarci sul valore di ciò che proviene da una storia complessa, contraddittoria ma ricca e feconda, che deve essere ancora insegnata e raccontata perché lì si trovano le nostre radici. Insomma, questo racconto non può fermarsi alle innegabili qualità di eccellenza che caratterizzano il Made in Italy, ma dovrebbe con coraggio andare oltre e, come è accaduto con i miei studenti, coglierne e saperne comunicare l’altrettanto innegabile dimensione culturale.

Serena Picariello