Dopo Peter Schulz (clicca qui) (Università di Lugano) anche Adriana Piazza (Sandsiv) interviene sul Tema “dati e cliente”
Ringrazio Mario per avermi chiesto di commentare questo suo articolo (clicca qui) perché propone, con la fluidità di pensiero e parola tipiche della cultura e lingua italiana, i temi che la disciplina del Customer Experience Management riassume in una terminologia che, con la precisione e il pragmatismo anglosassone, a volte fa un po’ perdere di vista l’aspetto umanistico della questione.
Faccio quindi l’esercizio di ricondurre i concetti dell’articolo alla terminologia propria delle disciplina del CX per condividere alcune riflessioni sull’ampio tema del ruolo dei dati, e di chi li deve gestire e interpretare, in un programma di Customer Experience.
Essenzialità dei dati
Il Customer Experience Management (CEM o CXM) è una disciplina data driven, su questo nessun praticante della materia ha ormai più dubbi.
Ci siamo lasciati alle spalle (quasi del tutto) la fase in cui, dalla pagina CXM dell’agenda del CEO alla messa a terra in un programma, si trovava un’accozzaglia di iniziative scomposte e disarticolate frutto di poche teste pionieristiche prima e di tanti spiriti emulatori dopo: app inutili, inutilizzabili e inutilizzate, chatbot non sempre intelligenti, presenza e presenzialismo sui social a tutti i costi.
Oggi, che il processo di implementazione del Customer Experience Management abbia come punto di partenza i dati è cosa nota e accettata ed addirittura si corre il rischio che i dati diventino anche il punto di arrivo, facendo perdere di vista le tre macro-fasi DATA – INSIGHT – EXECUTION che dovrebbe invece sottendere ad ogni programma CXM.
I dubbi restano invece su quali informazioni debbano entrare in una strategia di Customer Experience basata sui dati.
Rischiando di semplificare, i dati che le aziende possono raccogliere sono classificabili in:
- i dati del cliente. Sono i dati oggi alla base di ogni sistema CRM quali le informazioni anagrafiche e gli attributi commerciali, come per esempio i prodotti posseduti, la frequenza di acquisto o di ritorno, l’anzianità di rapporto nei business a subscription.
- I dati di journey, come i canali di acquisto e supporto utilizzati, la frequenza di chiamate al Customer Care.
- I dati operazionali. Sono i dati della cosiddetta qualità erogata: il tempo di attivazione di una linea telefonica, il tempo di consegna di un abito comprato online, il tempo di risoluzione di un problema sottoposto al customer care, di sostituzione di un capo difettoso, puntualità e ritardi di un volo aereo. Possiamo definire questi dati inside-out, perché restituiscono una visione dell’esperienza da un punto di vista interno all’azienda.
- I dati di qualità percepita. Questi sono di gran lunga i più importanti in un programma di Customer Experience. Sono dichiarati dal cliente stesso o ottenuti tramite monitoraggio passivo e forniscono un’importante visione out-side del servizio, cioè dall’esterno, fornendo il punto di vista del cliente.
Tra questi, quelli con più valore sono i dati destrutturati, come i feedback testuali raccolti attraverso le survey, le conversazioni in una chat, le email e le conversazioni scambiate con il customer care, i commenti lasciati nei siti di review (su Tripadvisor dopo una cena o un viaggio per esempio, o su Trustpilot dopo un acquisto) e sui social media.
NPS (Net Promoter Score), CSI (Customer Satisfaction Index), CES (Customer Effort Score) sono indicatori di qualità percepita che, correttamente integrati con l’analisi dei dati destrutturati (i feedback testuali), con i dati di journey e i dati di qualità erogata forniscono insight rilevanti all’azionabilità: consentono di fare il close-the-loop one-to-one, cioè la gestione della singola criticità o opportunità con il singolo cliente e di definire le priorità di intervento a livello di CX enterprise improvement e transformation.
Come detto, sono i dati destrutturati il vero motore del cambiamento verso un’autentica customer centricity: rappresentano la voce spontanea del cliente e correttamente analizzati e categorizzati, cioè ricondotti dal linguaggio naturale a classi strutturate di topic “parlanti” con il business, forniscono una chiave di lettura oggettiva dei driver esperienziali negativi e dei fattori esperienziali di soddisfazione.
Se sollecitati attraverso una survey, sono fortemente azionabili e possono arricchire ampiamente i dati di profilazione di un cliente anche a beneficio dei programmi sempre più diffusi di marketing automation.
Raccolti da fonti esterne, tipicamente da conversazioni spontanee sui social media, da siti di review, da luogi di crowd-sourcing, aiutanto i brand a confrontarsi con i competitor (benchmarking), sono fonte di insight per l’innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
I dati dunque, tornando all’articolo (clicca qui) di Mario Sala sono essenziali. Va fatta grande attenzione però a non incorrere nella cosidetta analisi-paralisi: questo significherebbe trasformare la gestione della Customer Experience da disciplina di business volta all’azione, a disciplina di scienza analitica.
Talvolta nelle aziende c’è complessità nella raccolta dei dati; di questo delicato aspetto parleremo tra breve. Tale complessità non deve in alcun modo fermare il set up di un programma di CX, né alcuna fase della sua implementazione. Meglio piuttosto partire con qualche dato in meno, favorendo, torniamo a dire, la raccolta delle informazioni a maggiore azionabilità, prendendo la Voce del Cliente come punto di partenza.
Il reperimento e integrazione di ulteriori dati è tuttavia strategico e si potrà condurre in parallelo fino a raggiungere quel livello di CX Maturity in cui le iniziative sono ricondotte a veri e propri case finanziari (impatti sul customer life-time value, ritorni sugli investimenti)
IT Data Managers e Business Managers: dalla sinergia alla trasformazione del ruolo
Parto dal paragrafo dove Mario esprime l’auspicio che nelle aziende si superi lo scollamento tra i decisori della Customer Experience e gli esperti dei dati.
L’appianamneto di questa divisione è senza dubbio uno dei fattori critici di successo di un’impresa volta a un approccio strutturato alla Customer Experience.
Cito a questo riguardo la relazione “Omnichannel Customer Experience la strada verso la maturità” del Politecnico di Milano, Osservatori.net dove si scrive: “Più l’organizzazione è priva di silos organizzativi e profondamente integrata, più l’impresa sarà in grado di cogliere in modo tempestivo le esigenze del cliente, condividere tali informazioni internamente e introdurre le opportune azioni di riposta in tempo reale”.
Il processo della raccolta e gestione dei dati è complesso: la stessa definizione dell’architettura dati e tecnologica non può prescindere da una fase preliminare di visione strategica e qui il lavoro sinergico degli owner del business e degli IT data manager è fondamentale.
Saltando diversi passaggi e arrivando alla fruizione del dato, un grande aiuto è dato dalle tecnologie che supportano la fase di raccolta dei dati, generazione di insight ed execution in relazione gli obiettivi strategici definiti.
I software di business intelligence e le piattaforme di analytics evolute agiscono da abilitatore della trasformazione del profilo e del ruolo degli old-school marketing e business manager chiamati oggi ad essere esperti di dati partner dei data scientist, e talvolta, analisti essi stessi.
Adriana Piazza
Chief Customer Officer di SandSIV Switzerland