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BENEDICT CUMBERBATCH E L’IMMERSIONE NEL SUO PERSONAGGIO

La prova dell’attore è una vera e propria “immersive experience”

Le storie che girano intorno a hobbit, nani, elfi, maghi bianchi e maghi grigi e anelli del potere raccontate dalla penna di J.R.R.Tolkien sono state, nell’ultimo ventennio, oggetto di trasposizioni sul grande schermo che hanno fatto la storia del cinema grazie a meravigliose scenografie, stupefacenti effetti speciali, una magistrale regia e straordinarie prove di recitazione.

Attori eccezionali hanno dato vita, volti, parole e movenze a tutti quei personaggi così minuziosamente descritti nelle righe dei romanzi tolkiani. Qui vogliamo mettere in luce una prova in particolare, quella di Benedict Cumberbatch, famoso per aver interpretato Sherlock Holmes nell’omonima serie tv inglese e il Doctor Strange nella serie di film della Marvel, che nel secondo e nel terzo episodio della trilogia de Lo Hobbit interpreta Smaug, il drago che, prima ancora che tutte le avventure di Bilbo Baggins & Co iniziassero, si era impossessato dell’antico regno di Erebor, storica dimora dei Nani.

SMAUG: TECNOLOGIA E IMMERSIONE

Cumberbatch presta corpo e voce al dragone attraverso il motion capture, una particolare tecnologia (usata, per esempio, anche per il colossal campione di incassi di tutti i tempi “Avatar” e per ricreare Gollum nelle stessa serie di film tolkiani) grazie alla quale è possibile “trasferire” i movimenti di un attore sullo schermo per poi “disegnarci” sopra l’immagine di un essere differente che acquisterà così fluidità e naturalezza. Insomma, l’attore impersona un personaggio senza esserlo davvero. Nella maggior parte dei casi, questo tipo di “recitazione” avviene senza l’ausilio di scenografie o coprotagonisti, rendendo ancora più arduo il compito dell’attore: “(Il lavoro che ho fatto, ndr) Era assolutamente astratto – spiega Cumberbatch: era l’imitazione di un rettile serpeggiante che sputava fuoco e volava. E pensare che io sono semplicemente un mammifero con due piedi!”

Ma come può un attore, per quanto bravo e supportato dalle più moderne tecnologie, interpretare così bene un drago tanto da renderne credibili movenze e versi? In un’intervista alla vigilia dell’uscita del film, lo stesso Cumberbatch illustra lo scrupoloso lavoro di immedesimazione che ha fatto per prepararsi al ruolo, recandosi presso il London Zoo’s Reptilian House per studiare iguana, lucertole e draghi di Komodo: “Sono animali ai quali piace muoversi molto poco, ma, quando fanno qualcosa, possono farlo in modo improvvisamente molto violento o, al contrario, molto lento. Ho cercato di legare e di mettere insieme tutto questo, stringendo insieme le gambe, usando le mani come artigli e tirando indietro il collo”. Per quanto riguarda la voce che avrebbe avuto il drago, invece, Cumberbatch mirava a un tono che potesse essere “un ponte tra animale e umano, una profonda e affannosa secchezza gutturale della voce”. Pare, tra l’altro, che il ruolo gli fu assegnato proprio in seguito a un’audizione dove impressionò proprio per il suo tono di voce.

Insomma, l’attore inglese si è davvero immerso nel ruolo che doveva ricoprire, regalando al film un’interpretazione che ha reso estremamente reale e pieno di sfumature un personaggio che, altrimenti, avrebbe potuto essere “tiepido” e “piatto”, quasi un cartone animato.

Insomma, sì! Quella di Cuberbacth è stata proprio una “immersive experience”, la nuova frontiera della Customer Experience!

CUSTOMER EXPERIENCE: IL METODO DA SOLO NON BASTA!

Parlando di Customer Experience, tante volte si “riduce” l’argomento, da una parte, a una questione legata alla tecnologia e all’analisi dei dati dei clienti che ne derivano e, dall’altra, a qualcosa che “compete” alle prime linee, ossia a chi sta a diretto contatto con il cliente (venditori, customer service, ecc.).

In realtà, sappiamo bene che la faccenda è ben più complicata di così. La Customer Experience ha a che fare con il viaggio che il cliente compie con un brand o un’azienda, un viaggio composto da diverse tappe, da diversi punti di contatto, nei quali il cliente deve riscontrare una coerenza con quelle che sono le promesse che il brand o l’azienda gli fa. Diverse tappe che, evidentemente, sono di volta in volta competenza di diversi reparti o dipartimenti all’interno dell’azienda i quali devono essere saldamente tesi verso l’unico obiettivo di mettere il cliente al centro del proprio lavoro (sì, il discorso vale anche per le aziende b2b: approfondisci qui e qui).

Come mettere il cliente al centro del proprio lavoro? Sono necessari due aspetti che si devono contaminare e influenzare positivamente. Da una parte si deve seguire un metodo rigoroso, un metodo che si sviluppa secondo diverse tappe che comprendono, tra le altre cose, l’individuazione, la formulazione o anche solo l’esplicitazione formale delle promesse del proprio brand o della propria azienda, il riconoscimento dei touchpoint e delle occasioni di relazione cliente-brand, l’ascolto attento della vera voce del proprio cliente, il coinvolgimento di tutto l’ecosistema aziendale in un serio lavoro di progettazione di un’esperienza che risponda ai bisogni e ai desideri del cliente in modo facile e piacevole.

Seguire rigorosamente il metodo, però, non è sufficiente. Aspetto fondamentale nella progettazione, prima, e dell’offerta, poi, di una Customer Experience superiore è l’immedesimazione con il cliente. L’empatia. La vicinanza. Quella cosa per cui si smette di pensare vedere e sentire con gli occhi e il cuore dell’azienda e si inizia a vedere e sentire con gli occhi e il cuore del cliente.

Come Carlos, operatore del Customer Service di una compagnia telefonica che, dopo una conversazione con una cliente, scoperto che la donna era gravemente malata, commosso, si rasò i capelli per esserle vicino durante la sua chemioterapia.

O come Peter, Account Manager di una Media Agency che, per poter al meglio servire il suo cliente, un’azienda di abbigliamento sportivo per donne, decise di indossarne alcuni capi per qualche giorno per potersi immedesimare con le clienti del suo cliente e per poter così proporre un piano di comunicazione efficace ed efficiente.

Certo, la capacità di immedesimarsi con il cliente dipende da molti fattori come l’esperienza, l’educazione, la cultura, la personalità e il temperamento, ma si tratta di un’attitudine che può essere coltivata, come sta facendo Natalie, Customer Experience VP di una nota azienda nel campo dell’assicurazione medica, che ha implementato diversi strumenti per sensibilizzare i suoi dipendenti e i suoi collaboratori proprio sul tema dell’empatia e dell’immedesimazione con il cliente.

Oggi moderne generazioni di test permettono di predire e misurare con affidabilità questa attitudine all’immedesimazione sempre più importante nelle nostre aziende e senza la quale, il solo metodo, a poco serve.

Approfondisci qui di che cosa si tratta oppure clicca qui per fare subito il test che valuta la tua capacità di immedesimazione con il cliente e le skills a essa correlate.

AAA PERSONE INFLUENZABILI CERCASI

Ci sono delle persone che, assai più di altre, sentono come si sentono gli altri!

È come se avessero una tale capacità di immedesimarsi che sembrano davvero vivere l’esperienza degli altri fino quasi a vedere, sentire, giudicare come loro: come se avessero gli stessi pensieri, la stessa visione del mondo, gli stessi amici, la stessa età…

recitazione..Succede all’attore che vive il suo personaggio non solo quando recita, ma anche nei mesi nei quali deve entrare nella parte; succede all’imprenditore che soffre quando vede nella propria azienda qualcosa che è fatta male per il proprio cliente; succede al cameriere che sa fare la proposta giusta quasi conoscesse i nostri gusti e il nostro livello di fame; succede al maestro che davvero sa quello che vive il discepolo e succede soprattutto e clamorosamente agli innamorati: “Solo chi ama conosce”, diceva Sant’Agostino. Solo chi ama sa, davvero, dell’altro.

Proprio qui sta il punto! Questa capacità di immedesimazione non è solo, per così dire, tecnica (“Conosco i fattori che caratterizzano l’esperienza di un’altra persona”), ma è adesiva, cioè davvero si attacca, vuol tenere in conto l’esperienza dell’altro e agire di conseguenza. Si tratta di persone impressionabili, che lasciano, cioè, che l’esperienza dell’altro si attacchi a sé. Sono disponibili a lasciarsi influenzare dall’esperienza dell’altro, sono disponibili a farsi imprimere dentro di sé qualcosa per cui creare, agire, risolvere!

Questa disponibilità a lasciarsi influenzare (come gli innamorati sanno benissimo) è proprio il motore della conoscenza dell’esperienza dell’altro. Insomma, senza questa colla, dell’altro (cliente incluso) si comprende…poco!

La profondità di comprensione che queste persone hanno di noi, ci fa sentire, davanti a loro (che si tratti del cameriere, del maestro o dell’imprenditore) come vinti, piacevolissimamente vinti. Cosicchè questa capacità di immedesimarsi, questa impressionabilità, questa disponibilità a lasciarsi influenzare vince, ci vince, ci conquista. Persone così diventano i leader della Customer Experience: sentendo sulla propria pelle l’esperienza che il cliente vive, sanno lavorare per offrire una Customer Experience superiore. La Customer Experience è in effetti un affaire di metodo e immedesimazione.

Il metodo è quasi ingegneristico: rigorosità nel formalizzare le promesse del brand, ricerche per conoscere il cliente, individuazione dei touchpoint e di tutte le occasioni di relazione cliente-brand, analisi dei bisogni e desideri e realizzazione facile e piacevole dell’offerta per rispondervi.

Ma questo non basta: occorre, appunto, immedesimazione affinché la qualità di questo lavoro ingegneristico conduca davvero all’effetto di una Customer Experience superiore.

Ecco la novità di questa Era del Cliente: l’immedesimazione non avviene con un cluster, ma proprio con l’esperienza concreta che vive il singolo cliente.

Così, come nell’Era del Marketing e dell’Informazione, quella che secondo la Forrester Research ci siamo ormai lasciati alle spalle (approfondimento), era importante la rigorosità della definizione delle caratteristiche che contraddistinguevano varie classi di clienti per segmentare adeguatamente l’offerta, nell’attuale Era del Cliente, caratterizzata dalla possibilità di accesso a un’offerta quasi infinita e multicanale, la leva vincente è proprio l’esperienza viva e concreta del cliente quando si relaziona con il brand.

Ecco che, allora, questa capacità di immedesimarsi diventa un fattore di selezione decisivo non solo per chi si occupa di Customer Experience o per ruoli di vendita o di servizio vicino al cliente, ma per tutti i protagonisti dell’ecosistema aziendale, compreso il back office, che deve agire secondo un approccio Outside in (approfondimento), ovvero cliente-centrico.

Certamente questa capacità di immedesimarsi con il cliente dipende da molti fattori di esperienza, di educazione, di cultura, di personalità e temperamento. Moderne generazioni di test permettono con un’affidabilità davvero sorprendente di predire e misurare questa attitudine immedesimativa sempre più importante nelle nostre aziende.

Mario Sala


INTERVIENI ANCHE TU SUL TEMA DELL’IMMEDESIMAZIONE LANCIATO DA MARIO SALA:

SCRIVI A press@newsandcustomerexperience.it

Gli interventi:

– Gabriele Mancosu, esperto di Fast Casual:

Piatti più buoni e veloci se cuoco e cliente di guardano…

– Luca Castagnetti, commercialista e advisor di iniziative imprenditoriali:

Se anche il commercialista dice che l’influenza fa bene…

– Teddy500, la scuola d’impresa del Gruppo Teddy:

Fast Fashion: la competizione si gioca su relazione, immedesimazione e fattore umano


Italian Customer Intelligence, in collaborazione con il neuroscienziato Professor Giovanni Sartori dell’Università di Padova e Demetrio Macheda, autore di “Il modello Skill View. Valutazione e sviluppo dei talenti” (edito da CUI nel 2014), propone un test per la valutazione della capacità immedesimativa e delle skills a essa correlate che, in forma ridotta e gratuita, è disponibile per i lettori di News & Customer Experience.

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