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imprenditorialità

ANSIA PER IL FUTURO? SÌ, GRAZIE!

In un’epoca in cui tutti rifuggiamo l’ansia, c’è chi vive un’ansia che genera un gran bene

[Ecco il seguito della prossima pubblicazione di Mario Sala per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese (clicca qui)]

Jim Collins, autorevole studioso e ricercatore americano, nel suo best seller “From good to great”, riporta i risultati di una mastodontica indagine, durata cinque anni, volta alla ricerca dei motivi di successo di quelle aziende diventate grandi, da piccole che erano, facendo guadagnare ai propri soci e per un lungo arco di tempo (almeno 15 anni) più del triplo dei loro concorrenti.  Seguendo i manager di queste imprese così di successo, si accorse di alcune loro caratteristiche comuni, generalmente non rintracciabili in manager di altre aziende che non avevano ottenuto gli stessi risultati.

L’ossessione per il futuro

Si trattava di manager “ossessionati” dal futuro. Davanti a una soluzione da adottare, una decisione da prendere o una persona da assumere, la domanda (e quindi il criterio) era sempre quella: qual è il bene per il futuro dell’azienda?  Cosicché, in quelle imprese, l’aria che si respira è quella del futuro che chiede di entrare prepotentemente nelle decisioni e nelle scelte del presente. Paradossalmente, dato che queste imprese per lunghi anni hanno guadagnato il triplo delle altre, si può a ragione dire che pensare al futuro fa bene al presente. Come se, pensando tutto il giorno al futuro, alla sera si aprisse il cassetto e lo si trovasse… pieno di soldi!

Prima l’azienda poi io, ovvero prima “gli altri”  

Collins trovò, stupito, persone per le quali questo pensare al futuro, positivamente ossessionante, era la dimensione naturale del loro desiderio di costruire qualcosa di grande che…li superasse, che andasse oltre loro stessi. Il voler lasciare, dopo di loro, l’azienda migliore di come l’avevano trovata (o fondata), con gente più brava di loro a condurla. Ma come puoi lavorare con tutto te stesso per qualcosa che desideri abbia il meglio dopo di te e che, quindi, forse, non vedrai nemmeno? Sono cose che possiamo rintracciare nell’amore materno verso i figli: le madri, infatti, desiderano per i loro figli, specie quando piccoli, che il loro futuro possa essere sempre radioso e migliore del proprio! E ci pensano in continuazione! Ugualmente quei manager con le loro imprese. Alla faccia del “work-life balance”, certamente giusto, ma sicuramente non adatto per queste persone che pensano alle loro aziende (ovvero a persone, colleghi, collaboratori, fornitori, partner e clienti) come una madre o un padre pensa ai propri figli: a tempo pieno! E si può essere madri e padri anche da giovanissimi!

PENSARE AL FUTURO FA BENE AL PRESENTE

La nuova pubblicazione per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese

È in arrivo la mia prossima pubblicazione. Un libro breve: so che “non avete tempo” e che vi piace da morire il notificarlo ai vostri interlocutori. Vi fa sentire vivi e sempre in battaglia, ovvero la cosa di cui vi lamentate e al contempo vi compiacete: sono anche io così e conosco bene l’adrenalina che sostiene questa splendida, lamentosa contraddizione. Splendida perché basta ascoltare la tristezza di chi non la ha più (può capitare per mille ragioni) per desiderarla e amarla. Lamentosa perché, chi vive così, sente che non è mai a posto quasi niente e, come diceva sempre Gino Bartali, “gli è tutto sbagliato… l’è tutto da rifare!”.

Ho quindi optato per un libretto di battaglia, scritto a flash, come fra gente che, conoscendosi da tempo, non ha bisogno di ripercorrere antefatti e dire tutto, ma, appunto, gli basta un flash: il lettore conosce molto bene il mondo che sta dietro a ciascuno di essi, spesso complicato e pieno di sfumature, per cui non c’è bisogno di attardarsi (anche io – ve lo volevo proprio notificare – non ho molto tempo…). 

Per gli imprenditori e per chiunque abbia una concezione intraprendente del proprio lavoro

Dedico quindi questi flash agli imprenditori: li amo!  

Sono sempre rimasto affascinato dagli imprenditori, da quelli conosciuti in tutto il pianeta, fino al fruttivendolo sotto casa.  

L’ “imprenditore” è un po’ controcorrente rispetto all’aria che tira oggi nella nostra società: non può cedere al risentimento, non può attardarsi in analisi infinite su di chi sia la colpa delle cose che non vanno perché, se intanto non le mette a posto, fallisce. Nei “casini” deve trovare sempre il lato costruibile sul quale ricominciare, sotto sotto (anche se non lo vuol dare a vedere e si lamenta anche lui) pensa sempre che ce la farà, nonostante veda il numero grande di errori che compie, anche gravi. Ha spesso un indomabile spirito costruttivo e, appena raggiunge un risultato, guarda ancora più in là e, davanti a fallimenti formidabili, è più forte di lui: ci riprova, magari da qualche altra parte!

Sono stati scritti fiumi di inchiostro su “chi glielo faccia fare”…

Secondo me, l’imprenditore vuole un po’ imitare Dio, facendosi come Lui creatore. E credo che Dio lo guardi come un padre guarda un bambino di un anno e mezzo che, imparato a mala pena a camminare, già tenta di tirar su la gambetta per salire sul divano più alto di lui! Il padre lo guarda e sorride pieno d’orgoglio nonostante l’evidente inadeguatezza rispetto all’impresa da compiere. Anzi è proprio quella sproporzione e inadeguatezza che lo commuove.  

Ma il traguardo è troppo attraente e fa scordare al bambino i propri limiti. Così non si resiste alla tentazione di mettere la mano sotto il piedino del piccolo per dargli un punto di appoggio e fargli credere così che da solo ha compiuto l’impresa!

Così, anche Dio, secondo me, “crolla” di commozione quando vede i nostri tentativi di imitarlo e, forse, sorride anche quando ci vede impettiti, raggiunto un risultato, a pensare di avercela fatta da soli e senza appoggio.  

Oggi gli imprenditori sono chiamati a salire su un divano molto ma molto più alto di loro: devono, in questa epoca così difficile, destare entusiasmo (e non semplice “soddisfazione”) nei propri clienti. È la cosa più difficile e indispensabile che ci sia perché le imprese crescono oggi SOLO per l’entusiasmo dei loro clienti, se no… (metteteci voi il flash che avete in testa ora).

Da dove partire, quindi? Da questo libretto a flash, prossimo a essere pubblicato su questo canale.

SUL PODIO PER LA RIPARTENZA

News and Customer Experience sceglie i 3 migliori aforismi per la “ripresa”

Ecco gli aforismi vincitori sul tema della “ripartenza”. Li abbiamo ascoltati, in ordine alfabetico, in ASA San Marino, in Prénatal Retail Group e in Teddy.

A voi, cari lettori di News and Customer Experience, indovinare gli abbinamenti e scoprire chi ha vinto la medaglia d’oro, quella d’argento e quella di bronzo!

Medaglia d’oro:

  • Preparati al meglio: viene all’improvviso

Medaglia d’argento:

  • In ogni meeting c’è sempre un “noi-voi” da abbattere

Medaglia di bronzo:

  • Non chiedermi che cosa devi fare, dimmi che cosa hai intenzione di fare tu!

E QUINDI!?

Della differenza fra manager e imprenditore e altro…

Certamente esistono degli imprenditori-manager, ovvero degli imprenditori con capacità gestionali e anche dei manager-imprenditori, ovvero manager con spirito imprenditoriale.
Quindi tra imprenditori “puri” e manager “puri” esistono una infinità di gradazioni intermedie. Certamente nelle nostre imprese, a seconda della circostanza che ciascuno di noi si trova ad affrontare, è opportuno “attivare“ la dimensione più pertinente ad essa.
Amo in modo particolare il mindset del Genio Collettivo, ovvero la modalità di ragionare che Linda Hill e i suoi ricercatori hanno rinvenuto nelle imprese che hanno dimostrato, negli ultimi dieci anni, di saper innovare in continuazione (clicca qui).

La ragione per cui sono appassionato dei tre modi di ragionare indicati per innovare (partire dai dati, non dar niente per scontato, avere una visione d’insieme) sta nel fatto che essi dimostrano che sono necessarie, nella stessa persona (o almeno all’interno di un gruppo) entrambe le dimensioni: quella manageriale (partire dai dati e la conseguente capacità di analisi e interpretazione) e quella imprenditoriale (avere una visione d’insieme che tenga conto di tutti i fattori, sapendo cogliere quelli che indicano l’azione innovativa o risolutiva). Il “non dar niente per scontato” è la condizione stessa sia dell’analisi tipica del manager, sia dell’azione propositiva tipica dell’imprenditore.

L’analisi, la corretta definizione di quale sia “IL” problema (clicca qui) è una condizione necessaria ma non sufficiente: c’è da rispondere alla domanda – avverte Alessandro Bracci, CEO di Teddy, il colosso italiano del fast fashion – “e quindi!?”, ovvero che cosa il problema (cioè l‘ostacolo verso l’obiettivo) indica come soluzione innovativa.

E quindi !?“, Alessandro Bracci, CEO Teddy

Come a dire che, per l‘imprenditore, la definizione del problema non è corretta e non è davvero completata finché esso non mostra il lato costruibile, il punto su cui poggiare per partire verso “L’” azione che lo risolve, avvicinando “L’” obiettivo. Insomma c‘è un modo di DEFINIRE i problemi (e le opportunità) da manager e un modo di AFFRONTARLI da imprenditori: occorrono entrambi! (ed è proprio questo che “IL GENIO COLLETTIVO” assicura).

La domanda “e quindi?!” (così semplice e così “tremenda“, magari fatta dopo mesi di studio) è proprio il trait d’union fra le due dimensioni, o meglio: è la domanda dell’imprenditore che chiama all’azione costruttiva.
Per l’imprenditore un problema che non mostri il suo lato costruibile , che non chiami a una azione “geniale” non è più un problema, è un dato di fatto!
L’imprenditore ama i problemi (ci sguazza dentro, si sente sempre parte in causa, sa che sono gli ostacoli da rimuovere per raggiungere traguardi, trova in essi opportunità di progresso) e odia i dati di fatto, ovvero quel modo di definire i problemi che non lasciano via di uscita verso l’azione risolutiva e innovativa.
Ha ragione l’imprenditore: riusciamo a trattare una situazione come problema proprio perché ne presupponiamo la soluzione. Se non la presupponiamo allora, appunto, non si tratta di problema ma di un dato di fatto!

FAST FASHION: LA COMPETIZIONE SI GIOCA SU RELAZIONE, IMMEDESIMAZIONE E FATTORE UMANO

AAA PERSONE INFLUENZABILI CERCASI: LA CUSTOMER EXPERIENCE E’ UNA QUESTIONE DI METODO E IMMEDESIMAZIONE. LA RISPOSTA DI TEDDY500, LA SCUOLE D’IMPRESA DEL GRUPPO TEDDY, LEADER DEL SETTORE FAST FASHION, ALL’ARTICOLO DI MARIO SALA.


teddyA margine del Consumer & Retail Summit, tenutosi a Milano il 4 ottobre presso la sede de Il Sole 24Ore, la riflessione continua.

Abbiamo partecipato come relatori della tavola rotonda con a tema le nuove frontiere del Fast Fashion, durante la quale si è discusso approfonditamente di e-commerce e di omnicanalità, una sfida che tocca da vicino i player del nostro settore (e non solo!). Continuando a riflettere dopo il proficuo scambio avvenuto con gli atri partecipanti, ci siamo resi conto che c’è anche un’altra frontiera, almeno per noi, sui cui lavorare tanto per i prossimi anni e che sentiamo urgente, soprattutto pensando alla nostra cultura aziendale: si tratta della frontiera della relazione, dell’immedesimazione e del fattore umano.

nyt_1989_fastfashion-1Ma che cosa c’entrano, esattamente, questi temi nel mercato del Fast Fashion, termine usato per la prima volta dal New York Magazine in occasione dell’apertura di un negozio Zara a New York (vedi foto a lato)?

C’entrano perché oggi il mercato si deve confrontare con clienti sempre più esigenti e infedeli: l’effetto sorpresa di marchi che propongono un buon prodotto a un prezzo conveniente è ormai svanito e non è più l’elemento distintivo vincente. La sfida di oggi, invece, è avere successo rispondendo alle esigenze del consumatore, trovando il modo di fare la differenza in un mondo dove la competizione è globale.

Se dovessimo dare una definizione a questo momento potremmo chiamarlo l’Era della Relazione.

Cercando un elemento fondante e di forte unicità che accomuni i brand del Gruppo Teddy (Rinascimento, Calliope, Terranova e MissMiss), la risposta cade proprio nella parola “relazione”, intesa come capacità di immedesimazione, di coesione e di comprensione. La relazione è alla base (e caratterizza profondamente) il dna della nostra azienda.

È grazie alla relazione che teniamo compatta una filiera fatta di imprenditori a ogni latitudine del pianeta, dagli affiliati sauditi ai fornitori di prodotto cinesi, dallo store manager russo al rappresentante spagnolo.

È grazie alla relazione che cerchiamo sempre di più di far sentire i nostri clienti accompagnati, mai soli, compresi, ascoltati, soddisfatti. Ogni brand, evidentemente, ha poi il proprio stile, ma sono tutti accomunati dall’obiettivo finale di creare un’affezione, un rapporto, una relazione, appunto.

Alcuni esempi pratici di relazione strategica:

– Abbiamo stretto una partnership con gli affiliati per l’e-commerce affinché fosse un’impresa condivisa con un grande scopo comune: servire sempre al meglio il nostro cliente.

– Abbiamo tre sistemi di loyalty con più di 2 milioni di clienti attivi e profilati.

– Una strategia di comunicazione che punta a fare una quotidiana compagnia a chi ha deciso di stare con noi sui vari social, piuttosto che grandi azioni di advertising.

In questa Era della Relazione che stiamo vivendo, dunque, la leva strategica di competizione, il fattore distintivo, deve essere la relazione basata sulla capacità di immedesimazione, innanzitutto con il cliente.

Questa caratteristica è tipica degli imprenditori: Teddy è un’azienda che fa della tensione imprenditoriale delle persone, innanzitutto dei suoi collaboratori, l’unico reale valore aggiunto, l’unico elemento in grado di fare la differenza sul mercato. Tra di noi, chiamiamo questo concetto “essere imprenditori di se stessi” e su di esso lavoriamo costantemente e assiduamente: la nostra scuola di formazione manageriale interna (con 200 manager-studenti) punta tutto sullo sviluppo di questa capacità proattiva di cambiamento, di fiducia nelle proprie intuizioni, di desiderio di capire le esigenze di chi si incontra, a partire dal cliente. Siamo convinti, infatti, che questo atteggiamento, questa capacità di relazione li renderà felici e fedeli nel tempo.

Questa per noi è l’altra grande frontiera del nostro fast fashion.

Per rileggere l’articolo AAA Persone influenzabili cercasi, clicca qui.

Se volete sapere di più su di noi e il Gruppo Teddy potete cliccare qui, o seguirci su Twitter Linkedin.

SE ANCHE IL COMMERCIALISTA DICE CHE L’INFLUENZA FA BENE…

AAA PERSONE INFLUENZABILI CERCASI: LA CUSTOMER EXPERIENCE E’ UNA QUESTIONE DI METODO E IMMEDESIMAZIONE. LA RISPOSTA DI LUCA CASTAGNETTI, COMMERCIALISTA E ADVISOR DI INIZIATIVE IMPRENDITORIALI, ALL’ARTICOLO DI MARIO SALA .


Lasciarsi influenzare, lasciarsi impressionare, farsi contaminare… Che cosa hanno in comune queste affermazioni? Che impressione fanno nella generalità delle persone? Spesso vengono accomunate ad una immagine di debolezza di sé, di inconsistenza, di scarsa personalità. È proprio così?

Per tentare una risposta, domandiamoci quali imprese si sono sviluppate in questi anni di intensi e profondi cambiamenti e di conseguenti profonde crisi.

Non certo quelle che, chiuse nelle loro certezze, hanno continuato a lavorare come se nulla fosse accaduto.

O quelle che, ad esempio, non si sono poste la domanda di come la realtà digitale avrebbe potuto “interferire” con il loro prodotto e mercato (quanti pensavano che il loro prodotto non sarebbe mai stato venduto su internet e sono stati smentiti dalla realtà!).

Non certo le imprese che, vivendo al di fuori di contesti relazionali significativi, non hanno avuto occasioni di un confronto e di un paragone che, provocandole, facesse loro comprendere come erano inadeguate e “vecchie”…

Potremo continuare con esempi che testimoniamo come i profondi cambiamenti accadono sempre, nella vita e nel lavoro, per qualcosa di “nuovo” che ci accade intorno e per la conseguente nostra decisione di non resistergli ma invece di “lasciarsi contaminare”.

In questo modo il “farsi contaminare”, il lasciarsi influenzare dal Cliente diventa un’esperienza di immedesimazione che accelera la relazione con lui e la rende produttiva per entrambi. Il Cliente diventa paradossalmente il nostro primo collaboratore perché è colui che, più di ogni altro, ci dice cosa gli serve, ci ricorda continuamente di che cosa ha bisogno, ci chiede di seguirlo nel suo progetto.

Questa dinamica con il Cliente vale per tutti? Chi come me fa il commercialista o gli altri professionisti di diverse discipline vivono la stessa esperienza?

Spesso gli imprenditori miei clienti mi chiedono un giudizio professionale “asettico” oppure vogliono un parere sulla bontà del loro progetto e chiedono che io giudichi in modo imparziale il loro operato a prescindere dal loro entusiasmo e dalla loro carica imprenditoriale. Compito impossibile! Ho imparato a diffidare di chi si dichiara imparziale: o è in mala fede (e ce ne sono) o non conosce adeguatamente la realtà che si appresta a giudicare. Per conoscere davvero ci si deve immedesimare, fare nostro il progetto del Cliente, lasciarsi influenzare, sentire su di sé la responsabilità di sostenere il suo tentativo. Solo in questo modo saremo persuasivi se saremo costretti a dirgli: “Amico, fermati!”. Ma se la conoscenza acquisita in questa relazione ci persuadesse della bontà del suo progetto, il nostro apporto diventerebbe insostituibile generando una Customer Experience superiore. L’immedesimazione con il Cliente ci trasforma anche nei suoi ambasciatori all’interno delle nostre aziende e studi generando, anche in chi non lo frequenta assiduamente, la stessa conoscenza e quindi la stessa attenzione al suo progetto.

E la competenza professionale, la conoscenza degli strumenti e dei sistemi giuridici, fiscali e finanziari così faticosamente ottenuta con studio, lavoro e personale dedizione cosa a produce sul Cliente? 

Tutto! Non ho mai conosciuto un grande chef che cucinasse per sé…

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