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I PENSIERI CHE ABBIAMO ALLA MATTINA QUANDO ANDIAMO AL LAVORO

Si cresce (solo) per entusiasmo dei nostri clienti

Se il pensiero che avete alla mattina, quando andate al lavoro è diverso da quello di entusiasmare il cliente, avete un problema nella vostra azienda: figuriamoci se siete in tanti a entrare al lavoro con la testa affollata di pensieri (evidentemente tutti “giusti e inevitabili”) che non centrano con l’entusiasmo del cliente!

Occorre che le persone che invece questo entusiasmo, per dono o per merito, lo hanno (e ce ne sono sicuramente nella vostra impresa), facciano cultura, cioè determinino l’aria che si respira nella vostra impresa.

THE DOCTOR

L’imprevisto che immedesima

Esiste un film, non recentissimo, che è stato per me davvero molto formativo e che ci tengo a condividere coi nostri lettori. Si tratta di “The doctor” (italianizzato in “Un medico, un uomo”), degli anni ’90, tratto dal libro autobiografico “A taste of my own medicine” del medico internista e reumatologo Edward Rosenbaum.

La trama in sintesi: il dottor Jack Mackee, interpretato da William Hurt, è un medico chirurgo di successo, molto abile e sicuro di sè, il quale mostra poca empatia nel rapporto coi pazienti, che tratta con modi freddi e distaccati. Appare convinto dell’idea che, per svolgere il suo lavoro, vadano tenuti lontani i sentimenti ed i coinvolgimenti emotivi. Poi, un giorno, accade l’imprevisto. Allo spietato dottor Mackee viene diagnosticato un tumore. E così, all’improvviso, si trova catapultato nel ruolo di paziente, rimanendo vittima non solo di fastidiosi accertamenti medici, ma anche della supponenza e dell’arroganza di altri medici. Solo vivendo quest’esperienza in prima persona, si accorge dei disagi vissuti dai pazienti, sia in termini di disservizi e sia in termini di atteggiamenti da parte del personale. Finite le cure e ripresa la divisa da chirurgo, egli cambia completamente il suo approccio umano e professionale, e ai suoi specializzandi fa sperimentare la condizione di pazienti veri e propri, mettendo in scena il loro ricovero. Mackee insiste sul fatto che, se non ci si mette nei panni del paziente, sarà impossibile poterlo curare bene: “Potrei cercare di spiegarvelo fino a perdere la voce, ma so per esperienza che non capireste. Io di sicuro non l’avevo capito.

Questo film fornisce importanti spunti non solo nella sfera dei rapporti personali, ma anche nell’ambito delle strategie aziendali.

Ed infatti, il messaggio che trasmette è che, nella vita così come in un’azienda, solo quando ci si immedesima totalmente in una esperienza, ci si accorge di cosa funzioni e di cosa invece non funzioni nell’ambito della propria organizzazione.

Solo quando il grande chirurgo Mckee vive l’esperienza dei suoi pazienti si accorge – con gli occhi del paziente (cliente) – di quante cose non funzionino nel suo ospedale (l’azienda) e, di conseguenza, cambia completamente non solo il modo di trattare i pazienti (cambiamento di scelte aziendali), ma anche il modo di rapportarsi con i suoi allievi (colleghi di lavoro).

Nelle dinamiche aziendali, il ritenere di “sapere già” è l’atteggiamento che più mina alla radice lo spirito di miglioramento continuo che è così necessario per far fronte alle sfide esterne. E questo, il dottor McKee lo intuisce bene, tanto che, affinché i suoi specializzandi diventino buoni dottori, li obbliga a sperimentare una condizione che fino a quel momento non avevano mai sperimentato: quella del paziente malato.

Il messaggio che ci trasmette non può lasciare indifferenti: la conoscenza piena, nei rapporti umani così come in quelli aziendali, è acquisita solo attraverso un trasporto, un coinvolgimento ed una immedesimazione totali.

Ha proprio ragione Kerry Bodine, che con il suo mantra preferito afferma:

Ciò che pensate di sapere sul cliente è probabilmente sbagliato. PENSARE di sapere che cosa vuole il cliente è rischioso. SAPERE che cosa vuole il cliente permette di cambiare in meglio la sua Customer Experience”.

IL VERBO TO ENGAGE E L’ARGENT DI PEGUY!

Ogni azienda è, in fondo, un ecosistema. E come tutti gli ecosistemi aperti si regge su un equilibrio dinamico. Il grado di apertura dell’ecosistema (e un’azienda è per sua natura un sistema aperto al mercato) influisce sulla dinamicità dell’equilibrio necessario alla sua stessa esistenza.

Divertitevi ad andare in un negozio e a segnare su un foglio tutto quello che il cliente può vedere, toccare, ascoltare, sentire…

In breve supererete le 150 cose. Ogni cosa che, quindi, il cliente vede, tocca, ascolta, sente è generata, fatta, prodotta da un numero di persone che spessissimo il cliente non vede (e viceversa!). Per ogni cosa potete ricostruire l’ecosistema aziendale che, a volte assai inconsapevolmente, la produce e la sovraintende (si trattasse di un profumo nell’aria del negozio, di una T-shirt, di uno sconto, di un display, di uno specchio, di una vetrina, della dicitura della privacy per ottenere il consenso a mandare mail…bè…arrivate a 150!)

Quanto più riuscirete a dar visibilità all’esperienza del cliente presso l’ecosistema aziendale che la influenza, tanto più potrete aprire al cliente il vostro ecosistema aziendale, coinvolgendolo in un approccio davvero outside in.

Strisce

L’operazione non è sempre semplice per vari motivi:

a) I commerciali spesso si ritengono gli unici depositari dell’esperienza e della voce del cliente e vogliono essere loro a comandare l’ecosistema e non lasciarlo fare al cliente, ritenendo spesso di capire meglio del cliente che cosa “davvero” desideri.

b) Non si ha chiarezza sui touchpoint del cliente con l’azienda in tutte le tappe del suo viaggio: quando il cliente scopre il brand, quando valuta qualcosa, quando acquista, quando utilizza quello che ha comprato e quando chiede assistenza. Ciascuna “tappa” ha decine e decine di touchpoint spesso trascurati e influenzati più o meno consapevolmente da reconditi pezzi di ecosistema aziendale.

c) Non è facile coinvolgere le persone nell’esperienza del cliente. Spesso i “capi” chiedono attenzione verso se stessi piuttosto che verso ciò a cui loro dovrebbero soprattutto guardare e pensare: al cliente.

Questo “problema” del coinvolgimento delle persone è molto sentito: addirittura esiste un’associazione “Engage For Success” parecchio seguita. E il verbo to engage è diventato di moda nella parlata dei manager. Come se occorresse “farla tanto lunga” per coinvolgere, chiedere impegno, energia, forza, creatività, si…in una parola …per lavorare!

Già Peguy, nel 1914 si lamentava con se stesso di farla troppo lunga, nel bellissimo pezzo della sedia tratto da “L’ Argent” (http://praxismanagement.it/praxis-management-likes/). Ma è questo lo spirito che tanti sanno vivere e suscitare ancor oggi.

BUY…BYE BYE!

Customer experience e shopping experience. La tentazione, per l’innata dote che tutti noi abbiamo nel trovar scorciatoie per giungere alla soluzione dei problemi quotidiani, è considerarle sinonimi, due modi di dire la stessa cosa.

Ma non è così! In realtà basterebbe soffermarsi un secondo sopra entrambe le parole per capire che si riferiscono a due tipi di esperienze profondamente diverse.

Shopping: è il momento in cui il cliente scopre il brand perché si imbatte in un punto vendita (nella via della città o nello store digitale), valuta l’offerta e acquista il prodotto/servizio.

Customer: il cliente, colui che, per restare in piedi, avere successo e prosperare nell’era del cliente, siamo tutti chiamati non solo a considerare, ma davvero a mettere al centro della nostra azienda, protagonista di ogni reparto, mansione e ruolo. La Customer Experience (con le iniziali maiuscole perché il successo è garantito solo a chi la offre “superiore”) è l’insieme delle percezioni che il cliente prova in ogni interazione con la nostra azienda. Vi siete mai svegliati dentro un negozio di un brand sconosciuto e iniziato immediatamente a visitarlo e fare acquisti? No, perché la relazione tra brand e cliente inizia ben prima e finisce ben dopo!

Oggi, la tendenza è quella di prestare molta attenzione alla shopping experience: quanti sforzi per farsi scoprire attraverso insegne scintillanti, vetrine impeccabili, banner nei social network e un posizionamento SEO da far invidia ai più grandi marchi mondiali! Quanti sforzi, quante ore di formazione per assicurarci che in tutti i nostri punti vendita il visual, esterno ed interno, sia impeccabile! Tutto corretto, anzi, correttissimo. Questi sono aspetti fondamentali per esistere, nell’era del cliente.

Ma il cliente non smette di pensare al brand con cui ha appena interagito un attimo dopo aver strisciato la carta di credito. No, il cliente pensa al brand anche molto dopo la conclusione della shopping experience. Per questo motivo vanno assolutamente pensate, progettate, misurate e controllate tutte le percezioni che il nostro protagonista, il cliente, potrà provare mentre accede al nostro prodotto, mentre lo usa e quando, prima o poi capiterà a tutti, chiederà assistenza.

bye byeProviamo a immaginare di essere in un’agenzia di viaggi e aver appena comprato, dopo un colloquio illuminante con un’operatrice davvero preparata, un pacchetto per un romantico viaggio per due persone da condividere con la nostra metà. Un viaggio nel Mar Rosso, magari nel periodo di Natale. Immaginiamo di tornare a casa e svelare il regalo alla fortunata o al fortunato cui abbiamo regalato il viaggio. Immaginiamo che questa persona, pur con imbarazzo, confessi di aver visitato il Mar Rosso almeno quattro volte negli ultimi dieci anni e, perché no, vorrebbe godersi un Natale a Parigi. Correremo fiato in gola all’agenzia di viaggi, per cambiare il pacchetto vacanza. Una volta arrivati, lo sgomento! L’agenzia non c’è più, al suo posto solo vetrine chiuse, saracinesche abbassate…

Questa è la sensazione che facciamo provare ai nostri clienti quando non offriamo una Customer Experience superiore, ma curiamo solo la shopping experience.

Come ha detto Kerry Bodine al meeting “Outside In Telligence” lo scorso 20 Novembre a Milano, molto spesso quello che le aziende fanno ai propri clienti si può tradurre in questa cinica sentenza: caro cliente… “BUY…BYE BYE!”.

Great Customer Experiences are stress free

Great Customer Experiences are stress free.

Istintivamente evitiamo le situazioni stressanti. La Customer Experience che elimina la confusione, l’incertezza e l’ansia viene premiata dal cliente, genera un vantaggio competitivo, fidelizzazione e una brand image senza uguali.

Matt Watkinson

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