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Kerry Bodine

AMAZON STYLE (O L’ALGORITMO IN CAMERINO)

Apre in California il primo fashion store fisico di Amazon: la sfida, l’entusiasmo e… l’algoritmo

Amazon Style, il primo negozio di abbigliamento, scarpe e accessori sia per donna che per uomo, aprirà entro l’anno presso The Americana at Brand, un centro lifestyle a Glendale, in California. Pensato per far vivere una esperienza di shopping high-tech, l’assortimento proverrà da centinaia di marchi, ovviamente scelti dai feedback forniti da milioni di clienti che acquistano su Amazon.com

 La maggior parte dei prodotti sarà fuori dalla vista del cliente e conservata nel retro del negozio perché solo un campione di ogni articolo verrà esposto sul piano di vendita: questo consentirà ad Amazon Style di proporre assai più del doppio del numero di articoli dai negozi di abbigliamento delle sue dimensioni.

Il cliente dovrà “per forza” scaricare e utilizzare l’app Amazon Shopping perché è l’unico modo – attraverso la scansione del codice QR dell’unico campione dell’articolo esposto – di conoscere taglie e colori disponibili, oltre che “la storia e le caratteristiche tecniche dell’articolo” e le immancabili valutazioni dei clienti che hanno già avuto esperienza dell’articolo in questione.

Un semplice click consentirà al cliente di trovare l’articolo scelto – nella taglia e nel colore selezionato – in camerino per la prova o direttamente in cassa (in realtà un banco ritiro appositamente predisposto).

L’esperienza di acquisto continuerà in camerino, grazie a un touch screen, attraverso il quale il cliente potrà provare ulteriori taglie o colori ma, soprattutto, apprezzare ciò che istantaneamente, a partire da ciascuna scelta, l’algoritmo di Amazon suggerisce come ulteriori opzioni in abbinamento o in alternativa.

Amazon Style si aggiunge agli altri store fisici di Amazon (Amazon Go, Whole Foods Market, Amazon Books, Amazon 4-star, Amazon Fresh e Amazon Pop Up stores) che rappresentano la scommessa, a detta di molti “impossibile”, di duplicare veramente l’esperienza di acquisto online in un negozio fisico.

Raggiante, Simoina Vasen, General Manager di Amazon Style, nella presentazione del nuovo store, parla di una finalmente perfetta integrazione che “combina il meglio dello shopping su Amazon.com con l’impareggiabile valore di toccare e provare gli articoli per mettere alla prova una perfetta vestibilità ”.

È forse questo un altro punto di non ritorno che sfiderà i retailer dell’abbigliamento globali a inseguire Amazon che crea delle abitudini di acquisto al cliente che poi egli “pretende” vedere in tutti gli altri brand che preferisce.

La piramide della Customer Experience, proposta da Bodine e Manning nel loro best seller Outside In, ricapitola in soli tre cluster le infinite sfumature con il quale i clienti valutano la loro esperienza con un brand: la pertinenza dell’offerta al bisogno o al desiderio del cliente, la facilità con la quale il cliente può interagire col brand nel suo customer journey e la piacevolezza. Se oggi, forse, Amazon è il re worldwide del cluster “facilità”, con questa iniziativa “fisica ”, lancia la sfida anche sulla piacevolezza proprio nel settore, quello della moda, dove l’aspettativa del cliente è altissima.

 

THE DOCTOR

L’imprevisto che immedesima

Esiste un film, non recentissimo, che è stato per me davvero molto formativo e che ci tengo a condividere coi nostri lettori. Si tratta di “The doctor” (italianizzato in “Un medico, un uomo”), degli anni ’90, tratto dal libro autobiografico “A taste of my own medicine” del medico internista e reumatologo Edward Rosenbaum.

La trama in sintesi: il dottor Jack Mackee, interpretato da William Hurt, è un medico chirurgo di successo, molto abile e sicuro di sè, il quale mostra poca empatia nel rapporto coi pazienti, che tratta con modi freddi e distaccati. Appare convinto dell’idea che, per svolgere il suo lavoro, vadano tenuti lontani i sentimenti ed i coinvolgimenti emotivi. Poi, un giorno, accade l’imprevisto. Allo spietato dottor Mackee viene diagnosticato un tumore. E così, all’improvviso, si trova catapultato nel ruolo di paziente, rimanendo vittima non solo di fastidiosi accertamenti medici, ma anche della supponenza e dell’arroganza di altri medici. Solo vivendo quest’esperienza in prima persona, si accorge dei disagi vissuti dai pazienti, sia in termini di disservizi e sia in termini di atteggiamenti da parte del personale. Finite le cure e ripresa la divisa da chirurgo, egli cambia completamente il suo approccio umano e professionale, e ai suoi specializzandi fa sperimentare la condizione di pazienti veri e propri, mettendo in scena il loro ricovero. Mackee insiste sul fatto che, se non ci si mette nei panni del paziente, sarà impossibile poterlo curare bene: “Potrei cercare di spiegarvelo fino a perdere la voce, ma so per esperienza che non capireste. Io di sicuro non l’avevo capito.

Questo film fornisce importanti spunti non solo nella sfera dei rapporti personali, ma anche nell’ambito delle strategie aziendali.

Ed infatti, il messaggio che trasmette è che, nella vita così come in un’azienda, solo quando ci si immedesima totalmente in una esperienza, ci si accorge di cosa funzioni e di cosa invece non funzioni nell’ambito della propria organizzazione.

Solo quando il grande chirurgo Mckee vive l’esperienza dei suoi pazienti si accorge – con gli occhi del paziente (cliente) – di quante cose non funzionino nel suo ospedale (l’azienda) e, di conseguenza, cambia completamente non solo il modo di trattare i pazienti (cambiamento di scelte aziendali), ma anche il modo di rapportarsi con i suoi allievi (colleghi di lavoro).

Nelle dinamiche aziendali, il ritenere di “sapere già” è l’atteggiamento che più mina alla radice lo spirito di miglioramento continuo che è così necessario per far fronte alle sfide esterne. E questo, il dottor McKee lo intuisce bene, tanto che, affinché i suoi specializzandi diventino buoni dottori, li obbliga a sperimentare una condizione che fino a quel momento non avevano mai sperimentato: quella del paziente malato.

Il messaggio che ci trasmette non può lasciare indifferenti: la conoscenza piena, nei rapporti umani così come in quelli aziendali, è acquisita solo attraverso un trasporto, un coinvolgimento ed una immedesimazione totali.

Ha proprio ragione Kerry Bodine, che con il suo mantra preferito afferma:

Ciò che pensate di sapere sul cliente è probabilmente sbagliato. PENSARE di sapere che cosa vuole il cliente è rischioso. SAPERE che cosa vuole il cliente permette di cambiare in meglio la sua Customer Experience”.

NETFLIX E IL POTERE DELL’ASCOLTO DELLA VOCE DEI CLIENTI

Netflix è una società statunitense nata nel 1997 che offre un servizio di noleggio di DVD e videogiochi via Internet e, dal 2008, anche un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un apposito abbonamento. Nel 2011, Netflix decide di separare i due business, creando strutture diverse, con benefit diversi, target e pubblicità diverse, siti web diversi. A causa di questo cambiamento, i clienti che vogliono mantenere attivati entrambi i servizi si vedono un inaccettabile aumento del costo dell’abbonamento del 60%.

Dopo questo cambiamento, ben un milione di clienti disdicono il loro abbonamento con Netflix che, oltretutto, subisce una perdita del suo valore azionario del 37% nel giro di una sola notte.

Neanche un mese dopo, Netflix fa un passo indietro, riaccorpando i due business sotto una sola insegna e creando una nuova programmazione a livello regionale che viene molto apprezzata dai clienti.

Successivamente a questa inversione di rotta, da una parte, Netflix diventa l’unica fonte di intrattenimento per un pubblico molto vasto fatto da giovani e famiglie con bambini, dall’altra, le sue quotazioni in borsa salgono alle stelle.

Imparando dai propri errori, oggi Netflix fa dell’analisi dei feedback e delle informazioni che arrivano da parte dei clienti il suo punto di forza, riuscendo così a proporre loro un’offerta personalizzatissima fruibile in modo facile e piacevole in ogni touchpoint.

Todd Yellin, Vide President of Product Innovation, afferma: “Abbiamo in mano la Netflix Customer Experience dei nostri clienti dal momento in cui sottoscrivono l’abbonamento, per tutto il tempo che sono con noi, attraverso la TV, lo smartphone o il computer.  Li conosciamo grazie ad algoritmi, numeri e un’enorme vastità di dati, scoprendo ciascuno di loro che cosa guarda, che cosa guarda prima, che cosa guarda dopo, che cosa sceglie ma poi lascia lì dopo poco tempo”.

In questo modo Netflix rende sempre più personale l’esperienza di ciascun utente, non obbligandolo a scegliere fra titoli che probabilmente non gli interessano, ma proponendogli contenuti che potrà apprezzare senza spendere troppo tempo nella ricerca.

Nel 2011 Netflix ha preso una decisione estremamente significativa senza considerare la prospettiva del cliente. Un’azione e il suo contrario hanno generato un enorme abbandono prima e un (ritrovato) grande amore poi: nel Gennaio 2016, varcando i confini americani, Netflix conta 74 milioni di clienti (44 milioni solo negli Stati Uniti).

Come sottolinea Kerry Bodine nel bestseller “Outside In”, “Ciò che pensate di sapere sul Cliente è probabilmente sbagliato. PENSARE di sapere cosa vuole il Cliente è rischioso. SAPERE cosa vuole permette di cambiare in meglio la sua Customer Experience”. E di avere dei significativi ritorni in termini economici.

 

SAPERE TUTTO E COMPRENDERE NULLA

“Allora a domani”, disse Roberto riattaccando la comunicazione.

“Era ora”, pensò. Da più di due mesi il suo conto corrente bancario si era più che decuplicato rispetto alla solita media, ma la sua banca non si era affatto premurata di contattarlo. “Almeno per chiedermi cosa è successo”, pensava Roberto.

Ma oggi, finalmente, l’avevano chiamato e gli avevano proposto di incontrarsi per “ragionare insieme su come investire questo cospicuo ammontare” – avevano detto.

Il giorno dopo, all’orario concordato, Roberto si sedette davanti alla zelante signora dello sportello “consulenza privati”, fiducioso di un’attenzione particolare. Il benvenuto, però, suonò subito stonato:

“Tutto bene?”, chiese la funzionaria con l’aria ammiccante di chi sa già la risposta: “certo che sì, lo so che ti va tutto bene con questo gruzzolo sul conto”..

“Beh…” – rispose lui – “non proprio, direi. Sono stato licenziato!”

“Vede” – continuò – “quella grossa somma che ha improvvisamente accresciuto il mio conto corrente? Ecco, quella è la buona-uscita!”

“Ah.. mi spiace” balbettò lei “ … e .. le manca tanto alla pensione?”


lehman-brothers2Non fu per l’orgoglio ferito del cinquantenne che Roberto se ne andò senza concludere nessun investimento presso la sua banca (“pensione?” pensò “ma sembro davvero così vecchio?”); non fu nemmeno perché la proposta non era economicamente interessante. Fu perché, nonostante tutti quegli anni di rapporto continuativo, fatto di accrediti mensili costanti e di conoscenza dettagliata dei comportamenti economici suoi e della sua famiglia, loro non erano stati in grado di cogliere la sua situazione e le sue esigenze del momento!  Da 23 anni ricevevano ogni mese il bonifico dello stipendio di Roberto, da 11 arrivava dalla stessa azienda. E anche quell’ultimo particolare accredito era arrivato proprio da lì. Eppure loro non avevano saputo neppure leggere la causale del bonifico! E allora come potevano pretendere di essere suoi consulenti di investimento?

Comprendere il cliente è il fondamento di tutte le iniziative di Customer Experience” -dice testualmente il best seller “Clienti al centro” scritto da Kerry Bodine (ex vice presidente di Forrester Research)- che a pagina 115 continua: “se volete mettere i clienti al centro del vostro business dovete iniziare chiarendovi le idee su chi sono e cosa vogliono”.

Un esercizio apparentemente facile nel caso della banca di Roberto: lo conoscono da più di vent’anni registrandone ogni entrata ed uscita di denaro e hanno tutti gli strumenti necessari a comprendere e addirittura prevedere i suoi comportamenti economici. Eppure, nel momento più importante della customer experience di Roberto verso la banca, loro se lo lasciano scappare!

Vale proprio la pena di capirla meglio questa pratica! E di studiarne a fondo le sei discipline che la governano.

Per saperne di più, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

BUY…BYE BYE!

Customer experience e shopping experience. La tentazione, per l’innata dote che tutti noi abbiamo nel trovar scorciatoie per giungere alla soluzione dei problemi quotidiani, è considerarle sinonimi, due modi di dire la stessa cosa.

Ma non è così! In realtà basterebbe soffermarsi un secondo sopra entrambe le parole per capire che si riferiscono a due tipi di esperienze profondamente diverse.

Shopping: è il momento in cui il cliente scopre il brand perché si imbatte in un punto vendita (nella via della città o nello store digitale), valuta l’offerta e acquista il prodotto/servizio.

Customer: il cliente, colui che, per restare in piedi, avere successo e prosperare nell’era del cliente, siamo tutti chiamati non solo a considerare, ma davvero a mettere al centro della nostra azienda, protagonista di ogni reparto, mansione e ruolo. La Customer Experience (con le iniziali maiuscole perché il successo è garantito solo a chi la offre “superiore”) è l’insieme delle percezioni che il cliente prova in ogni interazione con la nostra azienda. Vi siete mai svegliati dentro un negozio di un brand sconosciuto e iniziato immediatamente a visitarlo e fare acquisti? No, perché la relazione tra brand e cliente inizia ben prima e finisce ben dopo!

Oggi, la tendenza è quella di prestare molta attenzione alla shopping experience: quanti sforzi per farsi scoprire attraverso insegne scintillanti, vetrine impeccabili, banner nei social network e un posizionamento SEO da far invidia ai più grandi marchi mondiali! Quanti sforzi, quante ore di formazione per assicurarci che in tutti i nostri punti vendita il visual, esterno ed interno, sia impeccabile! Tutto corretto, anzi, correttissimo. Questi sono aspetti fondamentali per esistere, nell’era del cliente.

Ma il cliente non smette di pensare al brand con cui ha appena interagito un attimo dopo aver strisciato la carta di credito. No, il cliente pensa al brand anche molto dopo la conclusione della shopping experience. Per questo motivo vanno assolutamente pensate, progettate, misurate e controllate tutte le percezioni che il nostro protagonista, il cliente, potrà provare mentre accede al nostro prodotto, mentre lo usa e quando, prima o poi capiterà a tutti, chiederà assistenza.

bye byeProviamo a immaginare di essere in un’agenzia di viaggi e aver appena comprato, dopo un colloquio illuminante con un’operatrice davvero preparata, un pacchetto per un romantico viaggio per due persone da condividere con la nostra metà. Un viaggio nel Mar Rosso, magari nel periodo di Natale. Immaginiamo di tornare a casa e svelare il regalo alla fortunata o al fortunato cui abbiamo regalato il viaggio. Immaginiamo che questa persona, pur con imbarazzo, confessi di aver visitato il Mar Rosso almeno quattro volte negli ultimi dieci anni e, perché no, vorrebbe godersi un Natale a Parigi. Correremo fiato in gola all’agenzia di viaggi, per cambiare il pacchetto vacanza. Una volta arrivati, lo sgomento! L’agenzia non c’è più, al suo posto solo vetrine chiuse, saracinesche abbassate…

Questa è la sensazione che facciamo provare ai nostri clienti quando non offriamo una Customer Experience superiore, ma curiamo solo la shopping experience.

Come ha detto Kerry Bodine al meeting “Outside In Telligence” lo scorso 20 Novembre a Milano, molto spesso quello che le aziende fanno ai propri clienti si può tradurre in questa cinica sentenza: caro cliente… “BUY…BYE BYE!”.

BUY… BYE! BYE!

Customer experience and shopping experience. The temptation, due to the natural tendency of all human beings to adopt shortcomings in order to find solutions to everyday problems, is to consider those two terms as synonyms, two alternative ways to describe the same entity.

But it is not! Actually, it’s sufficient to stop just one second on those two words to understand that they refer to completely different types of experiences.

Shopping: it’s the moment in which the customer discovers the brand because he encounters a point of sale (close to the street where he lives or online), he evaluates the offer and she purchases the product or the service.

Customer: the client, the center of our company, the protagonist of all departments, jobs and roles. In the Age of the Customer we are all called to consider this human being the center of our business in order to survive and boost our performance. The Customer Experience (with capital letters since success is granted only to those entities that offer an “ultimate” experience) is the combination of perceptions that the client feels each time he relates to our company. Have you ever woken up in an unknown store and started to visit the facility and purchase something right after? No, since the relationship between brand and customer starts long time before the purchase and finishes later!

Today, the trend is to focus substantially on the shopping experience: how much effort to catch the attention of buyers with shining stores’ signs, impeccable shop windows, banners on social networks and SEO strategies that compete with the best brands in the world! How much effort, how many hours of training to be sure that internal and external visuals of our points of sale are smooth and flawless!  Everything is correct, very correct. In the Age of the Customer, those are important elements to survive on the market.

However, the customer does not stop to think about the brand he interacted with few seconds after he swiped the credit card. No, the client keeps on thinking about the brand even long time after he concludes his shopping experience. For this reason, it’s very important to consider, design, measure and control all perceptions that our protagonist, the client, might fell while he enters in contact with our product, while he uses it and when, sooner or later, he will ask for assistance.

Let’s pretend to be in a travel agency, we have just purchased, after an enlightening conversation with an experienced operator, a romantic tour for two people to share with our love. Specifically, a tour in the Red Sea during Christmas holidays. Let’s imagine to go back at home and reveal the surprise to our better half. Let’s imagine that this person confesses, with some embarrassment, that she has already visited the Red Sea four times in the last years and she would like to spend Christmas break in Paris. We would run back to the travel agency in order to change the tour. By the time you get there, you realize with consternation that the travel agency is not there anymore, everything is shut down.

This is the sensation our clients feel when we do not offer a superior Customer Experience but we take care of the shopping experience alone.

As Kerry Bodine stated during the meeting “Outside In Telligence” in Milan, what most companies do to their clients can be summarized with this cynic sentence: my dear customer… “BUY…BYE BYE!”.

QUANTO È “OUTSIDE IN” IL MIO LAVORO?

Definiamo “Outside In” qualsiasi attività che, nel nostro lavoro professionale, tiene davvero in conto l’esperienza concreta del cliente.

“Outside In”, pertanto, non è detto siano tutte quelle attività che sono rivolte al cliente, perché esse potrebbero – paradossalmente – non tenere in conto della sua reale esperienza o, addirittura, potrebbero peggiorarla. Quante volte, infatti, nel nome del generico “orientamento al cliente”, si deteriora la sua esperienza specifica e concreta: un po’ come quando vi sentite dire da qualcuno che ama “la ggente”, ma proprio non sopporta il vicino..

Ecco che, per esempio, in nome della giusta tutela della privacy del cliente, avvocati e addetti ai lavori preparano delle liberatorie per ottenere alla cassa la fidelity card che dà diritto a sconti e a informazioni sui prodotti che farebbero scappare i fan più entusiasti di qualsiasi brand.

Potrebbero invece essere davvero “Outside In” quelle attività di back office nominalmente lontane dal cliente ma che ne tengono in massimo conto l’esperienza concreta.

Può essere il caso, per esempio, di chi – occupandosi di logistica – prepara la sequenza degli articoli nei pacchi in funzione degli scaffali e dei tavoli dei punti vendita secondo un ordine testato positivamente dal cliente finale.

“Outside In”, dal “di fuori” al “di dentro”, è l’approccio di chi vuol guardare la propria azienda, il proprio reparto, la propria mansione esattamente come lo vede e lo vive il cliente.

Il primo “premio” che incassa chi inizia un lavoro serio per offrire una miglior Customer Experience al cliente finale è proprio il giudizio che darebbe un cliente, il qualche con grande facilità riconosce quali delle attività che svolgiamo in azienda portano reale valore e quali “zero valore”. Quante priorità ne risultano stravolte, quante attività “inutili” si rilevano!

Come fare per coinvolgere davvero tutto l’ecosistema aziendale nell’esperienza concreta del cliente?

Dopo il successo del primo meeting “Outside In Telligence” – nella foto in alto –  (clicca qui per approfondire), Italian Customer Intelligence, in collaborazione con Kerry Bodine, te lo illustra nel nuovo seminario “Outside In Telligence” del prossimo 10 luglio a Milano!

Per informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it o chiama lo 02/58307242

KERRY BODINE, PER CONTINUARE UN INCONTRO

Dopo la presentazione congiunta di Mario Sala (Praxis Management) e Kerry Bodine (già Vice Presidente della Forrester Research) del nuovo brand ITALIAN CUSTOMER INTELLIGENCE, quest’ultima annuncia l’accordo di collaborazione e partnership sui temi della customer experience a favore dei propri clienti italiani.

In particolare, l’accordo prevede contributi video di Kerry Bodine all’interno del seminario “Outside In Telligence” (in programmazione da marzo), la collaborazione al magazine News & Customer Experience, sia con articoli in esclusiva, sia per la concessione della traduzione di altri contributi con a tema la customer experience e le prospettive che questa apre.

L’accordo stabilisce anche altre forme di collaborazione e partnership per l’offerta di una customer experience superiore ai brand italiani, in particolar modo dopo il “disastroso” report del 2014 della Forrester sui brand che operano in Italia (leggi qui l’articolo).

KERRY BODINE SUGGERISCE I BUONI PROPOSITI PER IL 2015

In più occasioni, Kerry Bodine,  già Vice Presidente della Forrester Research, società di ricerca indipendente quotata al Nasdaq (Forr), e co-autrice del bestseller “Outside In”, ha ribadito che “la customer experience genera profitti se la si considera una disciplina di business”. D’altra parte, come ha ricordato anche in occasione del meeting “Outside In Telligence” organizzato da Italian Customer Intelligence dello scorso novembre, “happy customers lead to happy investors“. Ma la customer experience non è affatto un affare di poco conto: bisogna perderci tempo!

Anzi, in una “raccolta di idee per il 2015” (clicca qui per leggerla) che Kerry ha assemblato insieme a Lisa Linstrom, CEO della Doberman (www.doberman.se), “The 2015 Customer Experience Outlook“, viene sottolineato proprio che spesso gli sforzi effettuati in termini di miglioramento della customer experience sono vani a causa di una mentalità “a breve termine”.

Ecco quindi il buon proposito di Kerry per il 2015, e senz’altro un buon suggerimento per tutte le aziende che vogliono investire in modo intelligente nei loro “happy customers”:

It’s 2015: it’s time to start thinking long-term!“, è ora di pensare a lungo termine!

Chi è il GRANDE ASSENTE delle nostre riunioni?

Closeup of executive writing notes during business meetingUna importante e dinamicissima azienda del fast fashion ha iniziato un bel percorso “Outside In” e, per coinvolgere tutto il proprio ecosistema nella centralità del cliente finale, ha lanciato un basket per raccogliere idee e innovazioni dai dipendenti: il tutto per offrire una customer experience superiore. Fra le oltre 200 idee proposte, vi è anche quella di inserire, nel format in uso per i verbali delle riunioni, un “item” che chiede di specificare quali argomenti trattati e quali decisioni siano state prese in favore del miglioramento dell’esperienza del cliente. Sarà così “obbligatorio”, dalle riunioni del board a quelle più operative dell’IT, della logistica o dell’amministrazione, riflettere già nel corso della riunione se il cliente è al centro di quel meeting o altro prende il sopravvento.

IMG_0114Come ha riportato Kerry Bodine al kick-off di Italian Customer Intelligence, è stato stimato che, mediamente, il 95% del contenuto delle riunioni in azienda non riguarda il cliente ma problematiche orientate all’organizzazione dell’azienda stessa. Ancor più acutamente, però, è stato osservato che anche quando il cliente è assente da discussioni e soprattutto da decisioni aziendali, in realtà si ha ugualmente un impatto indiretto sul cliente: negativo! Insomma, il grande assente delle nostre riunioni è proprio il cliente, forse impegnato a cercare alternative alla nostra impresa.

In ogni ecosistema, e quello aziendale lo è, il cambiamento anche di un solo elemento porta all’adattamento di tutti gli altri con gioia, o dolore, per il cliente.

Occorre quindi essere ben consapevoli della relazione tra ciò che il cliente vive e vede e le parti “invisibili” dell’ecosistema aziendale che le generano. Ma se è normale che il cliente non “veda” tutto l’ecosistema aziendale, non è affatto normale il contrario!

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