Nelle vetrine di Dolce e Gabbana ho trovato la sedia di Peguy
Sabato scorso, in una Milano che sta lentamente tornando alla normalità, percorrevo Via Montenapoleone quando la mia attenzione si è soffermata sulle due vetrine del negozio di Dolce e Gabbana.
Dietro ai manichini donna, vestiti con abiti ricercatamente eleganti nell’ormai consolidato stile barocco di questo brand, compaiono due grandi pannelli dentro ai quali sono visibili immagini mobili su un display. Viene graficamente rappresentato uno spaccato dell’attività che si svolge negli uffici dello showroom: si vedono addetti che lavorano alla scrivania, misurano e provano i capi ai clienti, trasportano la merce da un locale ad un altro, stirano, sistemano i tavoli e mettono ordine sugli stand. In una stanza sono raffigurati anche un gatto e un cane scodinzolante, presenze ormai frequenti anche nei luoghi di lavoro.
L’impatto sul passante coglie nel segno: si resta catturati dalle immagini che scorrono, raffiguranti il lavoro che si svolge nei diversi uffici, e ci si sente testimoni dell’intensa attività che ruota intorno ai capi che poi vengono esposti in vetrina sui manichini. Ognuno di essi, infatti, è frutto di un lavoro enorme, al quale contribuiscono tantissime persone, e i pannelli esposti in queste vetrine rendono perfettamente l’idea.
Questa splendida scenografia, costituita da persone dedite a realizzare con impegno il proprio lavoro, mi ha riportato alla mente un brano di Charles Peguy: «Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali» (L’argent, 1913).
Il poeta e scrittore francese rimpiangeva i tempi in cui il lavoro era fonte di felicità, gli anni in cui lavorare non solo non era un peso, ma bensì dava gioia e speranza. Oggi più che mai, le sue parole ci richiamano alla necessità di tornare alle radici, perché solo una seria rivalorizzazione del lavoro può aiutarci ad uscire dalla crisi. In tal senso, le immagini nelle vetrine di Dolce e Gabbana mi sono apparse proprio come uno stimolo a rimettersi a lavorare, a festeggiare il lavoro, ad applaudire chi è impegnato nella propria attività, a tornare a sperare in un futuro positivo.
E’ lo stesso Peguy che ci aiuta a guardare con fiducia al futuro, lasciandoci, nella conclusione della sua opera, un atto di speranza per l’umanità: “Essa la spunterà ugualmente. Nonostante tutto. Andando oltre”. Perché c’è nello scorrere della vita qualcosa di misterioso che riesce a ricreare nell’umanità “soprattutto il buon umore, generale, costante, quel clima di buon umore, e quella felicità, quel clima di felicità”.