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PREPARARSI AL MEGLIO

Il meglio arriva all’improvviso… 3 consigli! 

 

Il meglio arriva all’improvviso: non dobbiamo farci cogliere impreparati! Il “meglio”, infatti, potrebbe avvenire in fretta: quando anche solo la percezione del “finimondo” lascerà il posto a un inizio di azzurro, ci sarà voglia (e possibilità!) di riprendere a vivere, sorridere, incontrare, viaggiare e… spendere! (secondo i dati Abi le giacenze dei conti correnti degli italiani sono aumentate nell’ultimo anno, come reazione alla paura delle conseguenze della pandemia, di 200 miliardi, raggiungendo i 1746 miliardi di euro).

Tutto questo processo avverrà molto rapidamente: come prepararsi al meglio? 

 

 

1. THE NEW BLACK IS: ANDARE OLTRE…

Il nero va con tutto… e tutti, ora, vogliamo andare… oltre! Di certo vogliamo andare oltre la pandemia, ma non solo. Vogliono andare oltre innanzitutto i nostri clienti, che danno per scontato tutto quello che abbiamo fino ad ora costruito per loro e cercano qualcosa che vada oltre, qualcosa di speciale, di davvero entusiasmante e, forse, proprio di nuovo!

Abbiamo sempre più l’impressione che fare il massimo… non sia abbastanza! I dati che i clienti hanno sempre lasciato, nel loro customer journey all’interno della nostra impresa, non spiegano adeguatamente gli occhiali nuovi con i quali essi ora ci guardano e ci valutano; e del resto, comprendiamo bene che non possiamo guardare al passato come totalmente istruttivo per il futuro che, con trepidazione e speranza, stiamo preparando.

Una volta, a fronte di grandi cambiamenti, le imprese grandi e piccole si fermavano un poco per rinnovare la propria mission e precisare la propria identità rispondendo alla – mai definita una volta per tutte – domanda chi siamo e dove vogliamo arrivare: ora, perfino questo metodo ci sembra “vecchio”, c’è sempre un oltre che il nostro cliente cerca! 

Abbiamo scritto nostro in corsivetto perché, se abbiamo ben compreso che il futuro ha a che fare con la dimensione della sostenibilità e delle tecnologie digitali, come dicono tutti gli studi più autorevoli, nessuno di essi parla del futuro e dei desideri dei nostri clienti: questo dobbiamo comprenderlo noi da soli, non esistono i clienti o i consumatori, esistono i nostri clienti, i nostri consumatori… che chiedono sempre più un oltre. Qual è l’oltre? In questa risposta, che è unica e originale per ciascuna delle nostre imprese, si trova la nostra opportunità.

 

 

2. IL (nostro) LIMITE È LA PROSSIMITÀ DELL’OLTRE CHE CERCHIAMO   

Non c’è nulla di più vicino all’oltre che cerca il nostro cliente (e che cerchiamo noi stessi perché esso coincide con l’opportunità) del nostro limite. Il limite del nostro prodotto, quello del nostro servizio, quello del nostro processo operativo, quello del nostro marketing… quello del nostro team di lavoro fino al limite personale di ciascuno di noi: nulla è più vicino, più prossimo, all’oltre che cerchiamo, del nostro limite! 

Bisogna saper definire bene questi nostri limiti e bisogna imparare a guardarli con… amicizia, da leader vincenti: a partire da alcuni di essi si troverà l’oltre che (ri)conquista il nostro cliente! Di solito, siamo tutti quanti abituati a non affrontare i nostri limiti, preferendo darli per ineluttabili e inevitabili, e cercando di “aggirarli” con scaltrezza, ma raramente proviamo a superarli e ad andar oltre.

Soprattutto, il vero problema è che siamo abituati a guardare i limiti della nostra impresa coi nostri occhi e con i nostri “mal di pancia”, e non invece con quelli del cliente! Occorre che i nostri limiti emergano in tutta la loro “ruvidezza” e senza sconti: la ricerca dei nostri limiti deve essere una festa, e non un funerale, perché il limite è la cosa più vicina all’oltre che cerchiamo, quindi… frequentiamo gioiosi il nostro limite per superarlo.

 

 

3. UNA VERA COMUNITA’ “MISTA” COI NOSTRI CLIENTI

C’è un limite che ci riguarda (quasi) tutti, c’è un confine da superare per tutti: è il limite che segna la separazione fra la nostra azienda e i nostri clienti. In realtà, questo limite non è mai un confine chiuso, lo tengono aperto coloro che, nelle nostre imprese, si occupano di vendere. Ma lo tengono aperto con chi fra i clienti (nel b2b) e quanto oltre la vendita (nel b2c)?

Abbiamo solo l’illusione di avere i confini davvero aperti, mentre in realtà abbiamo barriere potentissime. Ma i clienti fanno parte delle nostre comunità aziendali? I nostri collaboratori “vivono”, frequentano, conoscono nel day-by-day i clienti per cui lavorano? La risposta, duole darla, è: No! Questo è il primo limite da abbattere! Occorre costruire una community con clienti e dipendenti insieme, perché se non vivi insieme al tuo cliente non comprenderai davvero i suoi bisogni e i suoi desideri mentre essi si formano in presa diretta, e questa convivenza è necessario che sia diretta ed estesa a tutta l’azienda, perché ogni parte di essa possa coglierne l’oltre da offrire al cliente o il limite che gli fa vivere! 

Non è un caso che inizi ad emergere una figura, quella del community manager, che spesso viene dedicata esclusivamente alla facilitazione di queste comunità clienti e dipendenti!

I noi dell’azienda e i voi clienti non funziona per chi ha la necessità di immedesimarsi col cliente, vivere la sua vita, cogliere con tempestività l’emergere di nuove declinazioni di bisogni e desideri per reagire prontamente e non rincorrere. Ecco allora il desiderio di creare una comunità o una “community” dipendenti–clienti tutti insieme: anche per permettere ad ogni parte dell’azienda di comprendere “in diretta” il proprio possibile contributo all’innovazione. E’ qui che la modalità social ci trae in inganno!

Le “community” sui social hanno la logica “leader-follower”, o se preferite, “influencer-follower”: attorno ad una personalità si radunano spesso migliaia di follower dando l’illusione di aver costruito una vera e propria comunità. Questo però non è vero! Tali gruppi sono spesso evanescenti alla prova delle conversioni, quando si chiede l’adesione ad un prodotto piuttosto che ad un evento. Le vere comunità miste fra clienti e collaboratori sono uno dei nuovi, apprezzati e produttivi, oltre.

Davvero the new black is: andare oltre, quasi un life-style per i protagonisti delle nostre imprese.

THE DOCTOR

L’imprevisto che immedesima

Esiste un film, non recentissimo, che è stato per me davvero molto formativo e che ci tengo a condividere coi nostri lettori. Si tratta di “The doctor” (italianizzato in “Un medico, un uomo”), degli anni ’90, tratto dal libro autobiografico “A taste of my own medicine” del medico internista e reumatologo Edward Rosenbaum.

La trama in sintesi: il dottor Jack Mackee, interpretato da William Hurt, è un medico chirurgo di successo, molto abile e sicuro di sè, il quale mostra poca empatia nel rapporto coi pazienti, che tratta con modi freddi e distaccati. Appare convinto dell’idea che, per svolgere il suo lavoro, vadano tenuti lontani i sentimenti ed i coinvolgimenti emotivi. Poi, un giorno, accade l’imprevisto. Allo spietato dottor Mackee viene diagnosticato un tumore. E così, all’improvviso, si trova catapultato nel ruolo di paziente, rimanendo vittima non solo di fastidiosi accertamenti medici, ma anche della supponenza e dell’arroganza di altri medici. Solo vivendo quest’esperienza in prima persona, si accorge dei disagi vissuti dai pazienti, sia in termini di disservizi e sia in termini di atteggiamenti da parte del personale. Finite le cure e ripresa la divisa da chirurgo, egli cambia completamente il suo approccio umano e professionale, e ai suoi specializzandi fa sperimentare la condizione di pazienti veri e propri, mettendo in scena il loro ricovero. Mackee insiste sul fatto che, se non ci si mette nei panni del paziente, sarà impossibile poterlo curare bene: “Potrei cercare di spiegarvelo fino a perdere la voce, ma so per esperienza che non capireste. Io di sicuro non l’avevo capito.

Questo film fornisce importanti spunti non solo nella sfera dei rapporti personali, ma anche nell’ambito delle strategie aziendali.

Ed infatti, il messaggio che trasmette è che, nella vita così come in un’azienda, solo quando ci si immedesima totalmente in una esperienza, ci si accorge di cosa funzioni e di cosa invece non funzioni nell’ambito della propria organizzazione.

Solo quando il grande chirurgo Mckee vive l’esperienza dei suoi pazienti si accorge – con gli occhi del paziente (cliente) – di quante cose non funzionino nel suo ospedale (l’azienda) e, di conseguenza, cambia completamente non solo il modo di trattare i pazienti (cambiamento di scelte aziendali), ma anche il modo di rapportarsi con i suoi allievi (colleghi di lavoro).

Nelle dinamiche aziendali, il ritenere di “sapere già” è l’atteggiamento che più mina alla radice lo spirito di miglioramento continuo che è così necessario per far fronte alle sfide esterne. E questo, il dottor McKee lo intuisce bene, tanto che, affinché i suoi specializzandi diventino buoni dottori, li obbliga a sperimentare una condizione che fino a quel momento non avevano mai sperimentato: quella del paziente malato.

Il messaggio che ci trasmette non può lasciare indifferenti: la conoscenza piena, nei rapporti umani così come in quelli aziendali, è acquisita solo attraverso un trasporto, un coinvolgimento ed una immedesimazione totali.

Ha proprio ragione Kerry Bodine, che con il suo mantra preferito afferma:

Ciò che pensate di sapere sul cliente è probabilmente sbagliato. PENSARE di sapere che cosa vuole il cliente è rischioso. SAPERE che cosa vuole il cliente permette di cambiare in meglio la sua Customer Experience”.

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