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Distretti Italiani

L’INNOVAZIONE DI OGGI È LA TRADIZIONE DI DOMANI

Gli Stati Uniti (ri)scoprono di Distretti italiani.

La Harvard Business Review ha chiesto a due studiosi, Gary Pisano, professore ad Harvard con all’attivo il libro “Producing Prosperity: Why America needs a manufacturing Renaissance”, e Giulio Buciuni, ricercatore della Ca’Foscari di Venezia in partenza per Toronto, di indagare la realtà complessa e virtuosa dei Distretti Industriali italiani (vedi qui).

L’ultimo studio in merito da Oltreoceano risale al lontano 1984.

Oggetto specifico dello studio è il Nord Est italiano, “laboratorio ideale per la ricerca e l’osservazione di aziende, istituzioni e infrastrutture”, secondo le parole di Buciuni. E, soprattutto, palcoscenico di un profondo paradosso che vede aziende prosperare accanto ad altre che invece hanno performance decisamente inferiori.

Lo studio riporta casi esemplari di diversi comparti del Triveneto. Da una parte le calzature: il distretto di Montebelluna (Treviso), specializzato da oltre un secolo in calzature sportive e scarponi da sci, e il distretto della Riviera del Brenta, che nello stesso arco di tempo si è dedicato alle calzature da donna di lusso. Aziende manifatturiere con una lunghissima e solidissima tradizione artigianale degna del vero Made in Italy che, però, hanno subito (e stanno subendo) un destino diverso. I primi diventano i produttori, tra gli altri, di Nike, Lotto e Nordica, che, dopo grandi successi sul territorio italiano, iniziano a delocalizzare, lasciando l’occupazione precipitare rovinosamente. I secondi, invece, hanno attratto – e continuano a farlo – aziende come Armani, Prada, Louis Vuitton e Dior.

Stessa situazione per il settore arredamento. Da una parte Manzano (Udine), centro nevralgico della produzione mondiale di sedie in legno, che oggi, però, rimane vivo grazie soltanto a un’unica significativa azienda, Calligaris. Dall’altra Livenza (tra Treviso e Pordenone), fornitore principale di Ikea che, se da una parte continua a delocalizzare, dall’altra qui si affida per lo sviluppo dei propri progetti. Entrambi con origini radicate nell’800, questi due distretti vedono il loro apice tra gli anni 60 e 90 del secolo scorso per poi prendere direzioni quasi opposte.

Ci illuderemmo se pensassimo che se siamo bravi a fare una cosa da cent’anni, continueremo a esserlo anche in futuro. È la strada sicura verso il fallimento”, commenta Buciuni. Che vede come unica soluzione un costante aggiornamento e un’innovazione che siano davvero diffusi attraverso tutto il Distretto, con le aziende leader a fare da “catalizzatori”, prima, e da “diffusori”, poi (“knowledge integrator” – integratori di conoscenza – li definisce lo studio).

Specializzazione produttiva, capacità di trovare soluzioni innovative, innovazione tecnica e la creazione di una nuova classe manageriale in grado di trascinare questo “knowledge integrator” sono la risposta che le aziende dei Distretti Italiani dovrebbero dare a gran voce all’intorpidimento che li coinvolge.

Una soluzione che Italian Customer Intelligence ha adottato fin dalla sua nascita, un anno fa: l’innovazione di oggi è la tradizione di domani. E l’innovazione di oggi ci viene suggerita dal periodo economico nel quale siamo appena entrati: l’Era del Cliente (approfondisci qui). Un periodo nel quale a gran voce il Cliente chiede un rapporto più diretto con il brand o l’azienda. Un periodo nel quale è necessario che il brand e l’azienda prendano in considerazione lui e l’esperienza che lui vive in modo più intelligente e approfondito. Un periodo nel quale la vera innovazione è quella in favore del Cliente, quella PER lui. Tante sono le opportunità che nascono per le imprese produttrici che ripartono dal Cliente. Che, casualmente (oppure no?), coincidono proprio con quelle soluzioni che il professor Buciuni auspica: di nuovo, specializzazione produttiva, soluzioni innovative, innovazione tecnica e la crescita di una nuova classe manageriale.

Italian Customer Intelligence ha iniziato quest’anno un lavoro in questo senso insieme al Consorzio della Moda di Verona, gettando le basi per un percorso volto a portare in azienda una più chiara e diffusa cultura del Cliente (vedi qui e qui). Un percorso che continuerà a partire dal prossimo gennaio secondo una formula che metterà le aziende in grado di entrare a pieno titolo nell’Era del Cliente e a portare al proprio interno le pratiche necessarie a quel riavvicinamento tra produzione e Cliente che veicola l’entusiasmo di tante imprese del Made in Italy che tanto hanno attirato le attenzioni degli Americani (e non solo!)

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LE GIOIE D’ITALIA: il successo dell’arte orafa

A dire Made in Italy spesso e volentieri le prime suggestioni che ci vengono in mente riguardano l’abbigliamento, il tessile, le calzature, l’arredamento e la cucina. Quello che magari non ci aspetteremmo subito, nonostante ogni giorno ci confrontiamo con il gusto estremamente raffinato ed esigente della cliente italiana, esperta e attenta in materia di bellezza, qualità ed eccellenza, è la gioielleria. E facciamo male!

 jewellerL’arte tutta artigianale di creare gioielli, modellando i materiali più preziosi, è insita nel DNA italiano, da secoli. Da millenni addirittura. Una tradizione che risale fino agli Etruschi, prima, e ai Longobardi, poi, passando per i regni di Federico II di Svevia e di Carlo II d’Angiò, sotto il quale, alla fine del XIII secolo sembra sia stata costituita la prima corporazione di orefici (la “Nobile Arte degli Orefici”). Un’artigianalità che ha docilmente assecondato gli sviluppi dell’era industriale, innovandosi e rinnovandosi, ma mantenendo sempre quel forte legame con la sua tradizione che l’ha resa – e la rende tuttora – famosa in tutto il mondo.

In Italia sono quattro i principali distretti orafi, che si estendono lungo tutto lo Stivale: Livenza, Vicenza, Arezzo e Napoli. E sono ben 11 le edizioni annuali italiane di fiere del settore orafo-argentiero-gioielliero che, di fatto, rappresenta un vero pilastro del manifatturiero-moda italiano. Un settore che detiene una posizione di primo piano sia nella lavorazione artigianale dell’oro (terzo posto nel mondo) sia nelle esportazioni (quinto posto).

ici_8Non è un caso che il recente studio “Esportare la Dolce Vita” di Confindustria abbia rilevato che nel 2019 l’export italiano di prodotti “Belli e Ben Fatti” (BBF) del Made in Italy raggiungerà una domanda di un valore di 16,6 miliardi di euro, tre dei quali solo di prodotti di oreficeria e gioielleria. Insomma, le opportunità per il Made in Italy tutto sono decisamente positive, e ancor di più lo sono per le nostre “gioie”.

La chiave di volta è l’innovazione, quell’innovazione che i nostri “mastri orafi” hanno già saputo integrare perfettamente nelle loro botteghe, fin dalla seconda metà del secolo scorso e che ha permesso loro uno sviluppo industriale risultato in una differenziazione di imprese imprenditoriali altamente specializzate.

Uno dei valori portanti di Italian Customer Intelligence è proprio il ritenere che “l’innovazione di oggi è la tradizione di domani”: quando bene amalgamate l’una con l’altra, innovazione e tradizione possono rinnovare quello slancio necessario al “Bello e Ben Fatto” italiano per conquistare la cliente italiana, prima, e tutto il mondo, poi.

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