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Colazione da Tiffany

TIFFANY EXPERIENCE: QUELL’IMMEDESIMAZIONE CHE CONQUISTA IL CLIENTE

“Se io trovassi un posto, in questo mondo, che mi facesse sentire come da Tiffany…”

Così raccontava una splendida Audrey Hepburn, nei panni di Holly Golithly nel celeberrimo film Colazione da Tiffany.

Audrey si recava nella storica gioielleria di New York (o, meglio, ne spiava le vetrine), ma (parte della) mission dell’azienda è che “ogni negozio – non importa dove si trovi – emani lo stile e l’energia della nostra iconica location di New York”. Stile ed energia racchiusi nella cosiddetta “Tiffany Experience”, la “perfetta unione della più alta qualità del prodotto e del servizio più esemplare sullo sfondo di un palcoscenico di lusso caratterizzato da calore, affabilità e attenta cura”.

Una Tiffany Experience veicolata dal personale della gioielleria, accuratamente selezionato e che corrisponde a questo profilo, come si legge sul sito web ufficiale del brand: “Una persona calda, coinvolgente, che abbia la passione per la perfezione e che sinceramente apprezzi l’arte di vendere e di celebrare i momenti più importanti nella vita dei nostri clienti per i quali una visita a Tiffany è un evento speciale, sia che abbiano deciso di viziarsi con una coccola indulgente, sia che stiano facendo acquisti per un’occasione memorabile. I nostri clienti ci portano i loro più grandi sogni – di stile, glamour e amore – ed è nostro dovere onorare questi sogni con grazia e accurata comprensione”.

Insomma, persone che diventino “creatori di sogni, permettendo che questi diventino realtà”, afferma Raffaella Banchero, Managing Director di Tiffany Italia e Spagna, in una lettera al Corriere della Sera.

È dunque l’immedesimazione la strategia di Tiffany per far breccia nel cuore (e nei sogni) dei suoi clienti. Una strategia sicuramente vincente e premiante nell’ottica di offrire quella perfetta Tiffany Experience. Non un semplice “orientamento” al cliente, non un generico e non meglio definito “cliente al centro”. Ma una capacità di lasciarsi influenzare da quelli che sono i desideri e i sogni dei clienti, facendoli propri, sentendoli sulla propria pelle.

Solo così, grazie a questa profondissima comprensione, il cliente si sente trascinato, vinto, conquistato. Solo così il cliente sente di appartenere al brand e sente che il brand gli appartiene.

Ecco allora che questa capacità di immedesimazione diventa elemento fondamentale e decisivo nei processi di selezione del personale, non solo per chi si occupa di Customer Experience o per ruoli di vendita o di servizio vicino al cliente, ma per tutti i protagonisti dell’ecosistema aziendale, compreso il back office, che deve agire con il criterio costante dell’immedesimazione con l’esperienza che poi vivrà il cliente nel “pezzettino” di customer journey al quale lavora.

Certamente questa capacità di immedesimarsi con il cliente dipende da molti fattori di esperienza, di educazione, di cultura, di personalità e temperamento. Ma moderne generazioni di test permettono con un’affidabilità davvero sorprendente di predire e misurare questa attitudine immedesimativa sempre più importante nelle nostre aziende.

Italian Customer Intelligence, in collaborazione con il neuroscienziato Professor Giovanni Sartori dell’Università di Padova e Demetrio Macheda, autore di “Il modello Skill View. Valutazione e sviluppo dei talenti” (edito da CUI nel 2014), propone un test per la valutazione della capacità immedesimativa e delle skills a essa correlate che, in forma ridotta e gratuita, sarà presto disponibile per i lettori di News & Customer Experience.

Photo Credit: Tiffany & CO.

SE IO TROVASSI UN POSTO IN QUESTO MONDO CHE MI FACESSE SENTIRE COME DA TIFFANY…

Io vado pazza per Tiffany. Specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie. Le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che… In questi casi mi resta solo una cosa da fare. Prendere un taxi e correre da Tiffany. È un posto che mi calma subito… Quel silenzio e quell’aria solenne… Lì non può accaderti niente di brutto! Se io trovassi un posto in questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany… Comprerei i mobili e darei al gatto un nome”.

Così scopriamo la passione che Holly Golightly, la deliziosa protagonista di “Colazione da Tiffany“, il film che ha incoronato Audrey Hepburn a icona glamour di stile, ha per il famoso gioielliere newyorkese.

Come è noto ai più, Holly è una ragazza arrivata a New York dalla remota campagna statunitense. Ribelle e indipendente, per tutta la durata del film – che è la trasposizione cinematografica (molto) poco fedele dell’altrettanto famoso romanzo di Truman Capote – ribadisce di non appartenere a nessuno e di non voler possedere niente, tanto da non sentirsi nemmeno in diritto di dare un nome al suo gatto né di comprare dei mobili per arredare la propria casa.

brakfastIn realtà, Holly intuisce perfettamente che quel senso di appartenenza che tanto rifiuta e quel desiderio di libertà che tanto cerca coincidono, collimano, combaciano in quel luogo meraviglioso che è Tiffany. “Se io trovassi un posto in questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany…”

È quell’esperienza che Holly fa da Tiffany, pur non essendo neanche mai stata cliente della gioielleria (non se la può permettere!), che la fa tornare lì tutte le mattine, dopo i suoi rocamboleschi appuntamenti serali, al riparo di quelle “paturnie”, luogo ideale per iniziare una nuova giornata che, si spera, porti qualcosa di nuovo e di più bello del giorno prima.

jewellerUn posto familiare, un posto dove niente di brutto le può accadere perché è così tanto corrispondente alla sua natura, al suo desiderio e al suo bisogno di pace, di tranquillità e di libertà. Un appuntamento fisso per fare colazione, un angolo di mondo dove ripararsi perché sa che non la tradirà mai, anche se non potrà mai esserne cliente in senso stretto. Tanto che da Tiffany riuscirà addirittura a farsi fare un’incisione su un anellino trovato dentro un sacchetto di noccioline: “Un oggetto, se, non erro, non acquistato da noi…” – riflette il cortese commesso. “Ammetto che è piuttosto insolito, signora, ma vedrà che la nostra casa è molto comprensiva”.

Allora Holly capirà che essere liberi, in realtà, è saper appartenere.

Questo è il senso della Customer Experience. Della Customer Experience che il brand deve essere in grado di proporre e della Customer Experience che il cliente si aspetta: un riconoscersi l’un l’altro, una corrispondenza, un appartenersi che lascia liberi.

“Se io trovassi un posto in questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany… Comprerei i mobili e darei al gatto un nome”.

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