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Maria Luisa Caldarola

Maria Luisa Caldarola has 3 articles published.

Classe 1995 e risiedente ad Andria, in Puglia, segue la propria vocazione artistica frequentando il liceo artistico di Corato (BA). Decide, più tardi, di continuare a dedicarsi all’arte per conto proprio e di inseguire all’università un’altra passione: quella per le lingue straniere. Infatti, qualche anno più tardi, si laurea in Comunicazione linguistica e interculturale presso l’Università di Bari, per poi spiccare il volo e continuare con la magistrale presso l’Università di Bologna, dove si laurea in Language, Society and Communication nel 2021. Nella bella Bologna, risiede presso il collegio di eccellenza Camplus Alma Mater, dove ha la possibilità di coltivare i propri interessi e stringere amicizie profonde. Lo studio delle lingue e l’indole cosmopolita la conducono in Germania, dove si trova attualmente per approfondire il tedesco e, tra un Brezel e l’altro, trovare la propria strada.

IL BOOM DEL VINTAGE IN GERMANIA (E NON SOLO)

Dietro una tendenza si nasconde molto di più

Esplorando un po’ le strade di Monaco di Baviera, mi sono ritrovata ad osservare la vetrina di un grazioso negozietto di abbigliamento di seconda mano. Super colorato, ma raffinato: a primo impatto non avrei pensato di trovarmi davanti ad un negozio dell’usato. È sufficiente, però, soffermarsi quel secondo in più per capire che si tratta di capi vintage, termine che negli ultimi tempi amiamo tanto utilizzare, una tendenza, ormai, da cui ci sentiamo spesso attratti.

Mi basta svoltare l’angolo e raggiungere la strada parallela per incontrare un altro negozio simile. Scatta la curiosità. Cellulare alla mano, una rapida ricerca “Secondhandshop” su Maps rivela che solo nel quartiere di Schwabing ci sono circa una ventina di boutique dell’usato. Prendendo in considerazione per la ricerca una zona più grande, faccio conoscenza di una nuova realtà: quella di una Monaco gremita di negozi dell’usato.

Un vero e proprio trend, a quanto pare, che, però, non riguarda solo Monaco e non solo l’abbigliamento. La Germania, infatti, sembra aver sposato la causa del vintage. Negozi e mercati di seconda meno si trovano ovunque nel paese e interessano i più svariati settori, tra questi l’abbigliamento, la tecnologia e l’arredamento. Un mercato così fiorente e in espansione, quello dell’usato, che anche alcune grandi catene hanno deciso di investirci. Tra queste, per esempio, C&A, che l’anno scorso ha avviato una collaborazione con Carou, azienda online per l’abbigliamento di seconda mano, aprendo a giugno un pop-up store Carou nella sua filiale di Amburgo-Altona: il vecchio accanto alle collezioni dell’ultima moda. Tantissime le iniziative come questa.

Cosa succede poi quando qualcosa diventa un trend? Succede che arriva anche online. In questo caso prospera online. Chi non ha la possibilità o la voglia di spulciare negozi o mercatini, può comodamente consultare il sito web di molti negozi di seconda mano e ricevere gli articoli direttamente a casa. Curioso come, in questo caso, la ricerca del gusto rétro avvenga attraverso gli strumenti dell’innovazione determinando un interessante ossimoro che mi piacerebbe chiamare “vintage à la page”, oppure, per non allontanarci dall’italiano, “vintage all’avanguardia”.

Ci sentiamo “chiamati” dal vintage?

Che si tratti di ricerca dell’usato online o nei negozi, tante sono le persone ad essere affascinate dal vintage, i giovani in particolare. L’usato può esercitare il suo fascino in diversi modi, rispondendo a molte esigenze. In primis, il risparmio. Tutto ciò che è di seconda mano diminuisce drasticamente di prezzo, per cui è possibile trovare anche capi firmati e come nuovi a prezzi stracciati, con conseguente entusiasmo di alcuni per essere riusciti a scovare un vero e proprio tesoro (“Ma questo è uno Chanel!”). In secondo luogo, l’usato sposa perfettamente gli ideali ambientalisti di riciclo e sostenibilità. Ultimo, ma non da meno, rétro fa stile. Siamo tutti capaci di seguire una moda, di comprare la stessa giacca indossata da un’attrice famosa alla première di un film, di farci piacere l’outfit consigliato dall’influencer di turno su Instagram. È facile e di tendenza. Ma non risultano forse più interessanti quelle persone che sanno indossare qualcosa che spicca? Non necessariamente perché questo qualcosa sia appariscente, ma perché diverso, originale e, soprattutto, personale. Ed è molto più probabile che l’articolo che stiamo cercando e che riflette quel tratto unico della nostra personalità si trovi tra gli scaffali di un negozio dell’usato che non tra quelli di un negozio di qualche grande catena.

Tutto qui. O forse no. Lo charme del vintage risiede solo nel risparmio, nel riciclo e nello stile o c’è qualcosa di più? Perché sono i giovani, per esempio, ad essere quelli che più subiscono questo fascino, pur non avendo, di fatto, vissuto gli anni da cui provengono la maggior parte degli oggetti e vestiti vintage? Da giovane, proverò a rispondere a questa domanda raccontando la mia esperienza.

Qualche mese fa ho visitato un mercatino delle pulci (un “Flohmarkt”, come dicono qui). Alla fine del mio giro, avevo comprato un anello (la cui pietra color rubino ed il taglio mi ricordavano tanto la pietra filosofale), due fumetti della Marvel e un libro di fiabe (tutti in tedesco, con ogni probabilità non li leggerò mai). Non avevo, obiettivamente, bisogno di quelle cose; tuttavia, mi sono sentita in qualche modo “chiamata” da questi oggetti, perché appartenevano proprio a me. E probabilmente risiede qui la differenza tra il comprare qualcosa di nuovo e qualcosa di usato. In questo periodo di grande incertezza che ci ritroviamo a vivere e conseguenti enormi dubbi riguardo il futuro, qualche sicurezza o, se vogliamo, un senso di conforto, può venire dal passato. Un oggetto vintage funziona come una vera e propria macchina del tempo, o, forse, come un’àncora. Ci sono tanti modi per cercare di afferrare il senso del passato (e di conseguenza del presente) e non andare alla deriva. I libri di storia, i film e i documentari sono tra questi; nutrono la nostra voglia di sapere e ci erudiscono, ma il filo che tessono tra noi e i tempi andati ci rimane in ogni caso invisibile, mentre cerchiamo di districarci tra quelle che sembrano infinite timelines. Appropriarsi di un oggetto proveniente dal passato può essere, invece, un modo concreto per cercare di afferrare il tempo, perché ora quel frammento di realtà è proprio tuo e ha parlato solo a te. Lo puoi vedere, toccare, annusare, gli puoi dare nuova vita. Facendo una piccola deviazione, non è forse questo il motivo per cui andiamo a vedere i musei? Che altro non sono che grandi collezioni di pezzi vintage, molto vintage nella maggior parte dei casi. Tutto risponde a quel bisogno di dare forma e concretezza a qualcosa di sfuggente come il tempo. Questo il desiderio che accomuna collezionisti, antiquari (sarebbe una lista lunghissima) e, infine, i fruitori del mercato vintage. Difficile che qualcosa di nuovo sappia raccontare altrettanto bene storie, la Storia – quella con la s maiuscola – no?

UNA FABBRICA DI CIOCCOLATO TUTTA ITALIANA

A tutti sarà capitato, prima o poi, di vedere La fabbrica di Cioccolato, il famosissimo film in cui Johnny Depp veste i panni di Willy Wonka, il proprietario della omonima Wonka Chocolate Factory, un laboratorio magico e coloratissimo al centro della città in cui vengono prodotti dolciumi. Nella storia, ad un certo punto, si sente il Sig. Wonka dire “Questi sono confetti senza confini”, riferendosi a una delle sue specialità. Bene, anche quella che sto per raccontarvi è la storia di alcuni confetti dalle possibilità illimitate.

“Questi sono confetti senza confini”

Un po’ come nel film, nel labirinto di stradine e viuzze che è il centro storico di Andria, città del nord- barese, si nasconde una vera e propria fabbrica del cioccolato: la confetteria e cioccolateria Giovanni Mucci. Sì, perchè, entrando nella sede storica della confetteria, l’impressione che si ha è proprio quella di aprire una porta per un’altra dimensione e mi è capitato spesso di paragonare quel magico negozietto alla fabbrica di cioccolato del film, o, per lo meno, le sensazioni, il “vibe“, come si suol dire oggi, è lo stesso: un tripudio di colori in decine di anfore di vetro piene di confetti di tutti i tipi, una piacevole fragranza di cioccolato (complice la piccola fontana posizionata all’ingresso in cui scorre, indovinate un po’, cioccolato), un soffitto affrescato con immagini del Castel del Monte e di una dea della fortuna che custodisce confetti nella sua cornucopia.

La sola visita del negozio-museo regala un piacere non indifferente per gli occhi e il naso. Ma aspettate di assaggiare le prelibatezze proposte. Non a caso, la dea della fortuna dell’affresco conserva confetti nel suo corno dell’abbondanza: questi sono, infatti, qualcosa di prezioso, una tradizione e un sapere che si tramandano dal 1894, l’anno in cui Nicola Mucci apre la prima fabbrica nel centro storico di Andria. Nella sua fabbrica, il Signor Mucci, proprio come il Signor Wonka, produce cioccolato, caramelle e confetti ed è proprio a partire da questi ultimi che negli anni 30 verrà inventato qualcosa di unico: il “Tenerello”, un confetto lavorato con Mandorle di Toritto (BA) e “Nocciole del Piemonte IGP”, ricoperte da cioccolato fondente, bianco e da un leggero strato di confettura colorata. Di generazione in generazione, i figli e i nipoti del Sig. Nicola hanno poi portato avanti la tradizione di famiglia fino ad affermarsi come leader del settore.

L’Easter Egg: cos’è che rende i famosi confetti così speciali?

Quanto all’alta qualità del prodotto nessuno ha ormai più dubbi. Gli ingredienti utilizzati per i dolciumi sono eccezionali (tra questi, il pistacchio verde di Bronte Dop, la “Mandorla Pizzuta” di Avola, la nocciola Piemonte IGP, la mandorla di Toritto, la fava di cacao) e l’inimitabilità del gusto è data da una lavorazione che prevede l’utilizzo solo di aromi e coloranti naturali, proprio per conservare quel sapore ricco che solo una preparazione curata artigianalmente può dare. Niente conservanti, glutine o ogm.

Anche la varietà è indubbiamente un secondo punto forte. Le anfore piene di confetti dai più svariati colori e forme e i tanti sacchettini posti sul bancone del negozio ci fanno già intuire che probabilmente gli unici problemi in cui potremmo incappare sono l’imbarazzo della scelta e un po’ di spaesamento dato da tutta questa abbondanza, come quando, dopo aver annusato troppi profumi, si rimane un pò storditi e non si sa più quale scegliere. Ma niente panico, i collaboratori sapranno consigliare ciò che fa per voi. Ci sono, infatti, confetti i cui colori e forme sono pensati e studiati per determinate occasioni, come matrimoni, lauree, battesimi e comunioni.

Ma veniamo al dunque: oltre all’indubbia alta qualità del prodotto e alla sua varietà, cosa fa di questi confetti qualcosa di così speciale?

Credo di aver perso il conto di tutte le occasioni in cui i Confetti siano stati presenti sulla tavola della mia famiglia. Non solo perché per ogni festa e occasione particolare esiste un apposito confetto dalla forma e dal colore ben definiti, o, al contrario, perché è possibile sfidare le tradizioni ed esprimere, piuttosto, se stessi, magari presentando per una laurea, al posto del tradizionale confetto rosso, uno giallo canarino. Entrambe le cose vanno bene e sicuramente l’estrema possibilità di personalizzazione è un terzo punto di forza. Oltre alle caratteristiche più note e apprezzate dei confetti c’è n’è un’altra, meno scontata, ma che racchiude la loro preziosità: i confetti Mucci sono l’easter egg presente in ogni occasione. Si, avete capito bene: i confetti sono un easter egg. Per chi non ha idea di cosa stia parlando, l’easter egg può essere un’immagine, un messaggio, un riferimento nascosto, una sorpresa per così dire, presente in un software, in un film, in un videogioco. Il film in questione è magari spettacolare, ma l’easter egg non sfugge all’occhio di un fan, che conosce bene quel particolare. Ecco, i confetti Mucci sono l’equivalente culinario degli easter egg: come in un film pieno di effetti speciali, durante una festa possono essere serviti diversi piatti, oppure, la tavola di Pasqua può essere ricca di tremila portate, ma eccoli lì. Che siano gialli, verdi, allungati o tondi, la presenza dei Confetti non sfugge all’occhio dell’cliente che, proprio come un vero fan, li riconosce immediatamente e magari spiegherà la loro origine a coloro che li vedono per la prima volta. Trovare i Confetti Mucci sulla tavola è per me trovare quel particolare noto che, in mezzo al tutto, ti riconduce a casa.

Qualità, eleganza e quella piacevole sensazione che ti pervade quando ti sembra di aver ritrovato un piccolo tesoro: questa è l’esperienza racchiusa in qualcosa di così piccolo come un confetto. Forse era questo che voleva fare il Sig. Nicola, Willie Wonka andriese, con la sua prima fabbrica: come le perle che possono impreziosire il collo di una signora in modo raffinato, arrivare a creare dei confetti che impreziosiscano elegantemente la tavola, in modo discreto, mai pacchiano, e che siano punto di riferimento, per ritrovarsi. In base ai gusti diversi, ogni confetto parla ad ognuno in maniera differente, ma, allo stesso modo, fa centro, probabilmente perché prima di arrivare allo stomaco passa dal cuore.

DIRNDL À L’AFRICAINE

Quando la tradizione bavarese incontra quella africana

Se vi siete avventurati in qualche pub o partecipato a qualche evento tradizionale in Baviera, Austria o Tirolo, vi sarà certo capitato, tra una birra e l’altra, di ritrovarvi ad ammirare i bellissimi costumi indossati dalla popolazione locale. Per bellezza e raffinatezza, spicca tra questi il Dirndlkleid, il tipico costume femminile composto da una gonna corredata di grembiule, un bustino e una camicetta. L’evento in cui è possibile osservare una grande varietà di Dirndlkleider è sicuramente l’Oktoberfest a Monaco di Baviera, festa che ha reso l’elegante vestito noto in tutto il mondo. Durante i festeggiamenti, la popolazione locale si aggira per le strade in costume, magari in direzione di qualche Biergarten, dove poter banchettare in compagnia. Da nuova abitante della città, ho avuto modo di vivere in prima persona l’atmosfera della festa e mi sono spesso fermata ad ammirare i bellissimi Dirndl indossati dalle ragazze, tanto da desiderarne uno anch’io.

Okstoberfest

Guardandosi un po’ intorno, però, è facile notare come non ci sia quasi nessun Dirndl che si faccia notare, in quanto questi sono tutti uguali e si differenziano per pochi particolari e soprattutto per il diverso colore a tinta unita. Questi abiti sono espressione dell’identità bavarese, e in quanto, appunto, “tradizione” risulta anche normale che ci sia uniformità nel modo di vestire. L’abito tipico, come una sorta di divisa, contribuisce a costruire l’identità ed è fattore di coesione. I giorni di festa sono il momento in cui tale identità viene ricostruita e rammentata, non solo a sé stessi, ma anche agli innumerevoli turisti che affollano la città. E qui sta il bizzarro paradosso. Sebbene indossare una divisa abbia come risultato quello di generare uniformità, i Dirndl (come anche i Lederhosen, l’abito tradizionale maschile) vengono indossati, con ogni probabilità, per il motivo opposto: farsi notare, facendosi manifestazione vivente di una cultura, davanti ai forestieri (che altro non aspettano che farsi immortalare in una foto insieme ai locali in costume) e agli altri concittadini, che magari hanno deciso, sì, di vivere la festa, ma senza vestirsi.

Risaltare nella folla: il nuovo Dirndlkleid “à l’Africaine”

Se uno degli obiettivi è, dunque, quello di farsi guardare, perché non farsi notare sul serio? In questo caso, indossando un capo che, pur rispettando la tradizione, è sicuramente qualcosa di mai visto prima. A portare un tocco di colore e di fantasia in più ci hanno pensato, infatti, le proprietarie del negozio Noh Nee di Monaco. Originarie del Camerun, Marie Darouiche e Rahmée Wetterich offrono ai clienti qualcosa di veramente speciale: il gusto tipicamente bavarese si unisce a pregiatissime e coloratissime stoffe provenienti dall’Africa in un nuovo e originale “Dirndl à l’Africaine”. Il costume tradizionale si veste di un dinamismo nuovo, quello dei colori sgargianti e delle fantasie degli abiti camerunesi, risultando, in questo modo, svecchiato e calato nella realtà odierna.

Grazie ai Dirndl di design, Noh Nee offre al cliente la possibilità di indossare un abito tradizionale, ma, allo stesso tempo, incredibilmente innovativo: entrando nel loro negozio e uscendone con uno dei loro abiti, non si è più una persona qualunque che indossa un abito tipico; si sfoggia, bensì, l’unione tra due culture sugellata con ago e filo, dimostrazione che le tradizioni possono essere ripensate, le barriere culturali abbattute e che non c’è limite a ciò che la fantasia può creare. Non un semplice Dirndl, ma uno che, oltre alla canonica storia delle sue origini, ha una in più da raccontare.

Le idee di Noh Nee sono così apprezzate dalla clientela, che nel 2013 le proprietarie hanno deciso di allargare la collezione. Per cui, è possibile arricchire il proprio guardaroba con cappotti, gonne, vestiti, camicie, pantaloni e altro ancora, tutti rispecchianti il concept ideato dalle artiste. Il risultato più prezioso di tale sperimentazione su stoffe e colori rimane, tuttavia, proprio il “Dirndl à l’Africaine”, capo d’abbigliamento che dà all’indossatore la possibilità di spiccare tra la folla con qualcosa di inimitabile. L’inimitabile sta nella possibilità, data al cliente, di far emergere la propria individualità e personalità nella massa, facendosi modello sulla grande passerella che è il mondo, dove ormai le culture, grazie alla globalizzazione, non sono più dei compartimenti stagni. Vestire un Dirndl Noh Nee non significa necessariamente rovesciare un paradigma. Infatti, la tradizione rimane e risulta semplicemente arricchita, dando, inoltre e per la prima volta, spazio al singolo.

Un abito che non è solo un abito, ma che diventa per il cliente possibilità. Quali? Quella di indossare la tradizione esprimendo, in primo luogo, se stessi, e, soprattutto, un messaggio di modernità: in un mondo in continua trasformazione, la compenetrazione di culture non è una minaccia; può essere, piuttosto, arricchimento. Tutto questo in un Dirndl, innovativa testimonianza e metafora di come le culture non siano mai così distanti.

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