IL BOOM DEL VINTAGE IN GERMANIA (E NON SOLO)
Dietro una tendenza si nasconde molto di più
Esplorando un po’ le strade di Monaco di Baviera, mi sono ritrovata ad osservare la vetrina di un grazioso negozietto di abbigliamento di seconda mano. Super colorato, ma raffinato: a primo impatto non avrei pensato di trovarmi davanti ad un negozio dell’usato. È sufficiente, però, soffermarsi quel secondo in più per capire che si tratta di capi vintage, termine che negli ultimi tempi amiamo tanto utilizzare, una tendenza, ormai, da cui ci sentiamo spesso attratti.
Mi basta svoltare l’angolo e raggiungere la strada parallela per incontrare un altro negozio simile. Scatta la curiosità. Cellulare alla mano, una rapida ricerca “Secondhandshop” su Maps rivela che solo nel quartiere di Schwabing ci sono circa una ventina di boutique dell’usato. Prendendo in considerazione per la ricerca una zona più grande, faccio conoscenza di una nuova realtà: quella di una Monaco gremita di negozi dell’usato.
Un vero e proprio trend, a quanto pare, che, però, non riguarda solo Monaco e non solo l’abbigliamento. La Germania, infatti, sembra aver sposato la causa del vintage. Negozi e mercati di seconda meno si trovano ovunque nel paese e interessano i più svariati settori, tra questi l’abbigliamento, la tecnologia e l’arredamento. Un mercato così fiorente e in espansione, quello dell’usato, che anche alcune grandi catene hanno deciso di investirci. Tra queste, per esempio, C&A, che l’anno scorso ha avviato una collaborazione con Carou, azienda online per l’abbigliamento di seconda mano, aprendo a giugno un pop-up store Carou nella sua filiale di Amburgo-Altona: il vecchio accanto alle collezioni dell’ultima moda. Tantissime le iniziative come questa.
Cosa succede poi quando qualcosa diventa un trend? Succede che arriva anche online. In questo caso prospera online. Chi non ha la possibilità o la voglia di spulciare negozi o mercatini, può comodamente consultare il sito web di molti negozi di seconda mano e ricevere gli articoli direttamente a casa. Curioso come, in questo caso, la ricerca del gusto rétro avvenga attraverso gli strumenti dell’innovazione determinando un interessante ossimoro che mi piacerebbe chiamare “vintage à la page”, oppure, per non allontanarci dall’italiano, “vintage all’avanguardia”.
Ci sentiamo “chiamati” dal vintage?
Che si tratti di ricerca dell’usato online o nei negozi, tante sono le persone ad essere affascinate dal vintage, i giovani in particolare. L’usato può esercitare il suo fascino in diversi modi, rispondendo a molte esigenze. In primis, il risparmio. Tutto ciò che è di seconda mano diminuisce drasticamente di prezzo, per cui è possibile trovare anche capi firmati e come nuovi a prezzi stracciati, con conseguente entusiasmo di alcuni per essere riusciti a scovare un vero e proprio tesoro (“Ma questo è uno Chanel!”). In secondo luogo, l’usato sposa perfettamente gli ideali ambientalisti di riciclo e sostenibilità. Ultimo, ma non da meno, rétro fa stile. Siamo tutti capaci di seguire una moda, di comprare la stessa giacca indossata da un’attrice famosa alla première di un film, di farci piacere l’outfit consigliato dall’influencer di turno su Instagram. È facile e di tendenza. Ma non risultano forse più interessanti quelle persone che sanno indossare qualcosa che spicca? Non necessariamente perché questo qualcosa sia appariscente, ma perché diverso, originale e, soprattutto, personale. Ed è molto più probabile che l’articolo che stiamo cercando e che riflette quel tratto unico della nostra personalità si trovi tra gli scaffali di un negozio dell’usato che non tra quelli di un negozio di qualche grande catena.
Tutto qui. O forse no. Lo charme del vintage risiede solo nel risparmio, nel riciclo e nello stile o c’è qualcosa di più? Perché sono i giovani, per esempio, ad essere quelli che più subiscono questo fascino, pur non avendo, di fatto, vissuto gli anni da cui provengono la maggior parte degli oggetti e vestiti vintage? Da giovane, proverò a rispondere a questa domanda raccontando la mia esperienza.
Qualche mese fa ho visitato un mercatino delle pulci (un “Flohmarkt”, come dicono qui). Alla fine del mio giro, avevo comprato un anello (la cui pietra color rubino ed il taglio mi ricordavano tanto la pietra filosofale), due fumetti della Marvel e un libro di fiabe (tutti in tedesco, con ogni probabilità non li leggerò mai). Non avevo, obiettivamente, bisogno di quelle cose; tuttavia, mi sono sentita in qualche modo “chiamata” da questi oggetti, perché appartenevano proprio a me. E probabilmente risiede qui la differenza tra il comprare qualcosa di nuovo e qualcosa di usato. In questo periodo di grande incertezza che ci ritroviamo a vivere e conseguenti enormi dubbi riguardo il futuro, qualche sicurezza o, se vogliamo, un senso di conforto, può venire dal passato. Un oggetto vintage funziona come una vera e propria macchina del tempo, o, forse, come un’àncora. Ci sono tanti modi per cercare di afferrare il senso del passato (e di conseguenza del presente) e non andare alla deriva. I libri di storia, i film e i documentari sono tra questi; nutrono la nostra voglia di sapere e ci erudiscono, ma il filo che tessono tra noi e i tempi andati ci rimane in ogni caso invisibile, mentre cerchiamo di districarci tra quelle che sembrano infinite timelines. Appropriarsi di un oggetto proveniente dal passato può essere, invece, un modo concreto per cercare di afferrare il tempo, perché ora quel frammento di realtà è proprio tuo e ha parlato solo a te. Lo puoi vedere, toccare, annusare, gli puoi dare nuova vita. Facendo una piccola deviazione, non è forse questo il motivo per cui andiamo a vedere i musei? Che altro non sono che grandi collezioni di pezzi vintage, molto vintage nella maggior parte dei casi. Tutto risponde a quel bisogno di dare forma e concretezza a qualcosa di sfuggente come il tempo. Questo il desiderio che accomuna collezionisti, antiquari (sarebbe una lista lunghissima) e, infine, i fruitori del mercato vintage. Difficile che qualcosa di nuovo sappia raccontare altrettanto bene storie, la Storia – quella con la s maiuscola – no?