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GUCCI VIRTUAL 25: QUANDO LE SNEAKERS SI SMATERIALIZZANO

Quali condizioni hanno spianato la strada per il lancio delle prime sneakers virtuali?

La scorsa settimana molti degli affezionati clienti Gucci, pensando probabilmente ad un attacco hacker sull’applicazione, si sono trovati, nell’APP del marchio, la possibilità di acquistare sneakers al dir poco concorrenziale prezzo di 12$. Sicuramente incuriositi da questo inaspettato affare, cliccando sul modello si saranno resi conto che invece non c’era stato alcun breach nell’app… semplicemente le sneakers erano in vendita solo in “virtuale”. In che senso mi chiederete? Nel senso che per la modica cifra di 12$ i clienti Gucci hanno, da oggi in avanti, la possibilità di acquistare un paio di sneakers virtuali (Gucci Virtual 25) utilizzabili per:

  • personalizzare il proprio avatar in alcune piattaforme di gaming online
  • oppure utilizzare le sneaker come se fossero un filtro e condividere le proprie calzature sui social
Il diavolo veste Prada, 2006 regia di David Frankel

Stupiti? Personalmente abbastanza… se questa campagna sarà di successo, oppure solo un’abile mossa per innescare il WOM attorno al brand, solo il tempo ce lo dirà. Tuttavia, il fatto che una maison del lusso, sicuramente nota per la sua innovatività, abbia deciso di cimentarsi in una ambiziosa trovata come questa, ci lascia spazio per fare alcune considerazioni su quali ragioni abbiano spinto Gucci a lanciare un così insolito prodotto.

Riflettendoci su, ho identificate tre precondizioni che hanno preparato il campo a questo lancio:

  1. La fisicità è stata messa in discussione come elemento indispensabile per un’esperienza. La pandemia ha accentuato un processo per cui, quelle che erano considerate esperienze prettamente fisiche, come appunto indossare un paio di scarpe nuove, sono state virtualizzate e quello che all’inizio poteva sembrare un ripiego provocato dall’emergenza, si è fatto largo piano piano come un’esperienza a sé. Perciò, se prima della pandemia molte cose in virtuale erano percepite come una proxy dell’esperienza fisica, iniziative come quelle di Gucci, ci dicono che oggi le esperienze virtuali hanno assunto una dignità a sé stante un’autonomia rispetto alle originali esperienze che si proponevano di sostituire.
  2. Applicazione delle logiche dell’In-App purchase ad altri settori. La possibilità di acquistare contenuti all’interno di una app, per poi utilizzarli all’interno dell’APP stessa, è una logica tipica del gaming su smartphone. Tuttavia, tale tendenza dell’era digitale, ha apparentemente contaminato addirittura una delle più blasonate maison fiorentine. Per molti lettori il gaming potrebbe essere un territorio totalmente sconosciuto e inesplorato, tuttavia, la possibilità di poter acquistare beni all’interno di un gioco, o di app in generale, è stato uno dei driver che hanno reso alcuni giochi delle vere e proprie miniere d’oro (e.g. Fortnite). Tuttavia, se per i millennial e le generazioni precedenti acquistare beni per poterli utilizzare in un’App o nel mondo digitale può sembrare qualcosa a dir poco inusuale, per i giovanissimi questa tendenza assume molto di più i contorni della normalità. E Gucci su questo deve aver fiutato il cambio di rotta.
  3. La realtà aumentata. Questa tecnologia oltre ad essere il fattore abilitante del prodotto in sé, sta diventando una potente arma per una grande varietà di brand. Dal successo planetario di Pokemon Go di alcuni anni fa, le applicazioni che si basano su questa tecnologia si sono moltiplicate, abituando giovani e meno giovani a vedere tramite la fotocamera del proprio smartphone, mondi nuovi, stanze arredate, indicazioni stradali e …. un paio di scarpe nuove ai propri piedi. Una generale diffusione di questa tecnologia è stata a mio parere la terza e ultima precondizione che ha permesso il lancio delle prime sneakers virtuali di Gucci.
The Matrix, 1999 regia di Andy e Larry Wachowski

Detto ciò, è ancora presto per dire se questa innovativa mossa da parte di Gucci aprirà un intero nuovo mercato per la moda e il lusso, oppure se sarà solamente un fuoco di paglia destinato a spegnersi in breve tempo. Per ora, quindi, non ci resta che congratularci con Gucci per l’audace iniziativa e vedere come evolverà il fenomeno.  

#see #you #soon

Cosimo Locatelli

PARTECIPA AL SONDAGGIO: LIDL SI’ grazie o NO grazie?!

Compri le sneakers della Lidl?

Nell’articolo troverai un confronto acceso, quali sono le ragioni del sì e quali le ragioni del no.

SNEAKERS LIDL

PERCHE’ SI’

  1. Sì: Pop Culture

In ciascuno di noi vive un Andy Warhol! Le sneakers Lidl ci fanno rivivere lo spirito della cultura pop. Siamo stufi della ricercatezza. Mentre prima eravamo tutti orientati a distinguerci in una massa fluttuante nel mondo, oggi desideriamo unirci, creare un movimento che riallacci la distanza sociale che intercorre tra ciascuno di noi. Come? Omologandoci… e chi lo dice che l’omologazione sia per forza negativa? Poi, se invece volessimo criticare i colori? Ma alla fine sono così Pop, tanto che persino gli artisti si sono lasciati ispirare.

 
Antonio Natale, 2020, Minotaur, acrilico su 12 banconote originali provenienti da varie parti del Mondo, mm.395×290

2. Sì: Lidl, azione Robin Hood

Il Lidl è un supermercato che promette la migliore qualità al miglior prezzo… solitamente, le persone benestanti non badano a spese, la willingness to pay elevata non pone il miglior prezzo come driver. Anzi, il prezzo è indice di uno status symbol, più è alto, più è desiderabile l’oggetto. Un ragionamento poco comune alle persone “normali”… Fatico, infatti, ad immaginare i super-ricchi recarsi al supermercato per andare a comprare le scarpe, me li immagino piuttosto in via Montenapoleone, in via Condotti… dove il Lidl si osserva con il binocolo. Allora beati coloro che, anche ingenuamente, abbiano deciso di acquistare le scarpe a poco più di 10 euro. Ora i ricchi le vorranno a tutti i costi (perchè costano tanto e sono in edizione limitata… si tratta di vere e proprie fashion victim) e verranno a comprarle sul mercato secondario a prezzi stellari dalla mamma con 5 figli, dal papà in cassa integrazione, dallo studente universitario con le finanze risicate e da chiunque in questo periodo sia in difficoltà. Lidl ha regalato qualcosa di meravigliosamente straordinario mettendo in scena un’azione alla Robin Hood.

3. Sì: operazione marketing zero spese

Le operazioni di marketing costano e spesso è complesso calcolare il ritorno effettivo, monetizzare il risultato della comunicazione. Ma si sa, l’immagine, il brand… per essere il numero uno, deve essere sulla bocca di tutti. Allora, ecco lo straordinario…! Nessuna modella da cachet stellari, nessun effetto speciale, nessuna campagna ridondante in televisione. Sono bastate un paio di scarpe, una concretezza che ci raggiunge, in un mondo ormai ossessionato dal digital. Grazie Lidl, perché ci hai ricordato che la realtà, nonostante tutto, esiste e non vediamo l’ora di poterla tornare a calpestare camminando, muovendoci… è un presentimento di libertà quello che lasciano trasparire queste scarpe… Probabilmente, quando tutto sarà passato e dovremo ripartire non più correndo, ma volando, aspetteremo di poter comprare le “ali” di Lidl a meno di 15 euro.

Anche se a metterci le Ali… ci aveva già pensato RedBull… ma per così poco! Forse conviene provarle…

Andrea Telesca


PERCHE’ NO

  1. No: Fedez, non mi inganni

Creare un prodotto di design e venderlo ad un prezzo low-cost, ma in tiratura limitata: sembra un’operazione di marketing vicina alle persone, quasi democratica, ma l’apparenza è quanto mai lontana dalla sostanza e, di fatto, non c’è nulla di più snob – nella sua accezione peggiore, quella finto-naïf – di una scarpa Lidl.

L’apparente diffusa accessibilità si scontra con la difficoltà, di fatto, di avere il prodotto. E l’utilizzo di influencer come Fedez ne aumenta il valore percepito. Ecco il meccanismo diabolico, per quanto efficace: sbilanciare il rapporto tra il costo e il valore, come se si trattasse di un’opera d’arte.

2. No: non cado nella trappola del “diversamente ricco”

Le code che abbiamo visto di fronte ai supermercati di tutta Italia non erano di persone incantate dalla straordinaria bellezza delle scarpe, né di sportivi convinti che quelle sneakers miglioreranno le loro prestazioni. Del resto, esclusi i contenuti social di qualche instagrammer, ne avete mai visto in giro un paio? Le persone che hanno acquistato queste scarpe, per la stragrande maggioranza, l’hanno fatto col pensiero di potersi arricchire con una becera operazione di reselling: acquisto oggi un prodotto che andrà rapidamente esaurito e lo rivendo domani, online, a un prezzo 10, 50 o 100 volte superiore.

E a chi lo venderanno? Non certo ai ricchi. I ricchi non fanno code e non fanno aste online per un paio di scarpe Lidl. Le venderanno agli influenzati dagli influencer: ragazzini e ragazzine, che supplicheranno i loro genitori di spendere una follia per farli sentire dalla parte giusta.

 3. No: Oggi è di moda, ma in futuro?

Possiamo dire che le scarpe Lidl sono talmente brutte da sembrare belle? È un po’ così: queste scarpe hanno un discutibile abbinamento di colori, sono ostentatamente cheap e, per quanto Lidl possa permettersi di vendere sottocosto, non hanno senso d’esistere a livello tecnico.

Oggi indossarle può essere di moda e sicuramente possono essere ritenute divertenti. Ma in un futuro prossimo, quale sarà il destino di queste scarpe? Probabilmente resteranno per un po’ sulla breccia, salvo poi cadere nel dimenticatoio e far apparire chi le ha acquistate a prezzi insensati, più citrulli che fashion victim. E allora moriranno sugli scaffali degli – oggi – fortunati acquirenti, che probabilmente le guarderanno riluttanti e penseranno: “ma che cosa mi è mai passato per la testa?”.

Chi vivrà, vedrà.

Francesca Caputo

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