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VIAGGIO NELLA GDO: L’ESPERIENZA CARREFOUR GOURMET

carrefour experienceTutti viviamo esperienze d’acquisto nei supermercati, da quelli di quartiere alle grandi superfici. Gli attori di questo mercato sono fra i più attenti conoscitori dei clienti, quelli che più di altri mettono in pratica e attuano in modo rigoroso le tecniche di indagine su gusti e comportamenti, per rendere un processo d’acquisto ripetitivo, e quindi privo di grandi emozioni, il più coinvolgente possibile.

Il effetti, se guardiamo il viaggio del cliente nella sua relazione con la spesa alimentare, vediamo che i touchpoint nei quali si imbatte sono davvero molti. Prendiamo ad esempio il modello di vendita di Carrefour. Questa importante insegna segmenta il proprio mercato, come peraltro fanno tutti gli operatori della GDO, in base alla dimensione del punto vendita. Ma, da poco più di un anno, ha inaugurato un nuovo modello di vendita, per ora limitato a poche città, nel quale sperimentare a fondo le tecniche di costruzione di una Customer Experience superiore. Si tratta dei cosiddetti Carrefour Gourmet.

Il viaggio inizia con due tappe classiche: l’orario di apertura prolungato (dalle 8 alle 22) e il posteggio coperto riservato ai clienti. Non un anonimo scantinato, bensì un locale pulito e luminoso, con posti riservati a mamme e famiglie, rastrelliera per bici e moto, una hall con piante e fiori e servizi igienici in vista e facilmente accessibili. Per far capire subito che non si tratta di punti vendita tradizionali e impersonali, già all’ingresso si viene accolti da cartelli che recitano: “Goditi una nuova esperienza di spesa”. Per rendere reale e non semplicemente slogan l’affermazione, un altro cartello, realizzato graficamente con molta cura, porge il benvenuto da parte del direttore, riportandone il nominativo. E alle parole seguono i fatti: connessione wifi gratuita, consegna della merce a domicilio, servizio Indabox, per ritirare presso di loro eventuali consegne effettuate da corriere: l’orario di apertura si presta molto bene per questo tipo di servizio.

fiori carrefourIl viaggio prosegue poi all’interno del punto vendita, totalmente diverso rispetto a quelli che si è abituati a vedere normalmente: ingresso dominato dal reparto fiori, in vendita, per abbellimento generale e al box accoglienza; grande cura nell’esposizione di frutta e verdura biologica posta all’ingresso, conservata all’interno di tradizionali cassette di legno; prodotti esposti non unicamente per merceologia, ma con la proposta di abbinamenti: ad esempio il bancone dei formaggi, alternato con etichette di vino consigliate per quel tipo di cibo, insieme alla frutta che solitamente si consuma a fine pasto, come i formaggi, appunto. I diversi reparti – gastronomia, rosticceria, macelleria, pescheria, etc. – identificati con cartelli e foto di chef e testimonial, sempre firmati con la frase “Vivi di gusto”. E poi l’atmosfera serena e rilassata, per acquisti normali che diventano un po’ speciali.

Questi punti vendita vogliono, poi, in qualche modo compenetrare lo sviluppo del digitale, rendendolo fruibile per il cliente finale. I social media sono parte di questo percorso: il cliente oggi è, di fatto, sempre connesso, per questo la relazione che si instaura non è più alternativamente fisica o virtuale, ma è costantemente multicanale. L’ecosistema reso possibile dal digitale deve quindi favorire la realizzazione di negozi che siano reali punti di incontro fra le persone, relazioni rese più facili anche grazie alle connessioni digitali.

cassa carrefourAltro touchpoint, croce e delizia del mondo degli acquisti, è il pagamento in cassa: tanto per iniziare, non la solita barriera di casse da superare, come se fossimo a una fermata della metropolitana, bensì posizionate in sequenza, divise fra casse con pagamentro tradizionale e casse con self scan. Per ottimizzare il flusso delle casse tradizionali la coda è unica, così da evitare inutili discussioni o sentirsi penalizzati perchè accodati nella fila più lenta. E, ancora, per facilitare il pagamento e ridurre i tempi, anche dei cassieri, vi è la possibilità di scaricare un’app attraverso la quale è il cliente stesso che legge il codice a barre tramite il proprio smartphone durante la fase d’acquisto, evitando così la perdita di tempo tipica delle operazioni di pagamento.

Questo è ciò che vede il cliente. Ma dietro c’è molto altro ancora, molto metodo e molta ingegnerizzazione: logistica, studio dei lay out, formazione del personale, servizi web per restare sempre connessi, indagini sui gusti e sulle aspettative d’acquisto. L’obiettivo è far sentire i clienti a proprio agio fino a rendere realmente piacevole l’esperianza vissuta, come dimostra la piramide della Customer Experience (appronfondisci qui).

Il punto d’arrivo è rendere le persone felici all’interno del punto vendita. Qui si vince la sfida della fedeltà.

ACCESS EXPERIENCE, QUESTA SCONOSCIUTA…

Tempo fa avevamo voluto soffermarci a chiarire la differenza tra Customer Experience e Shopping Experience (leggi qui). L’esigenza nasceva dal fatto che, spesso e volentieri, la prima viene “ridotta” alla seconda che, per quanto possa essere progettata in maniera impeccabile e per quanto possa essere davvero entusiasmante, risulta comunque solo una parte di un viaggio molto più lungo e articolato che il cliente intraprende nell’interazione e nella relazione con un’azienda o con un brand (vedi immagine).

Il Viaggio del Cliente - Forrester Research
Il Viaggio del Cliente – Forrester Research

Un viaggio che ha inizio ben prima dell’effettivo acquisto del prodotto o del servizio, quando il cliente “scopre” e poi “valuta” il brand, fino a prendere la decisione di acquistare un suo prodotto, alla fine della fase, appunto, dell’acquisto. Un viaggio che continua anche dopo l’acquisto, perché il cliente dovrà effettivamente “entrare in possesso” di quanto acquistato per poi utilizzarlo. Dovrà anche tornare a relazionarsi con il brand se durante una delle tappe precedenti qualcosa è andato storto.

È proprio di questa fase di “accesso” del viaggio del cliente che vogliamo parlare oggi. Quella fase estremamente complessa e misteriosa nella quale il cliente, finalmente, entra in possesso del suo acquisto.

Abbiamo recentemente accennato anche alla “Opening Experience” (leggi qui), sottolineando come il packaging di un prodotto, interponendosi in qualche modo tra il cliente e il suo acquisto, ne influenzi l’esperienza creando delle aspettative. Si tratta di uno dei tanti touchpoint che il cliente affronta nella fase di acquisto: il prodotto potrebbe essere un profumo “chiuso” dentro una bella scatolina che veicola la “prima impressione” sulle promesse del brand. Nell’acquisto di un profumo, infatti, spesso non è solo l’esperienza olfattiva che vince, ma anche quella visiva: quante volte vi è capitato, quanto meno, di soffermarvi su un profumo la cui boccetta o la cui scatola vi hanno fatto sognare ancor prima di annusarlo?

Ma il packaging influenza anche la fase successiva del viaggio del cliente, quella, appunto, dell’accesso. Pensate di vedervi arrivare a casa il vostro nuovo prodotto Apple acquistato online. Addirittura, in questo caso, è la prima volta che toccate il “vostro” Iphone. Certo, ne avete visti molti negli AppleStore, o nelle mani dei vostri amici. Ma quello che sta arrivando è il vostro. Anche qui, il packaging è una grossa parte dell’esperienza. Apple lo sa tanto bene da avere un’intera parte dell’azienda dedicata proprio alla sua progettazione.

Ci sono certi prodotti e servizi, soprattutto quelli che hanno a che fare specificatamente con l’identità della persona, come profumi, vestiti e accessori, oggetti di arredamento, un taglio dal parrucchiere, che, dopo la fase di acquisto, rendono la fase di acceso una sorta di riconferma dell’acquisto stesso.

A chi non è mai capitato, dopo l’acquisto di un bel paio di scarpe, di continuare sulla via dello shopping e imbattersi in altre vetrine di negozi di calzature e ammirare altri tipi di scarpe? Oppure di tornare a casa e cercare su internet se ci fosse lo stesso modello a un prezzo più basso? Anche dopo che il paio di scarpe è stato acquistato, è soggetto a una riverifica e a una riconferma della scelta effettuata.

Oppure un bel taglio nuovo: sotto le luci luminose e gli specchi perfetti del parrucchiere, dopo che le sue esperte mani hanno accorciato e colorato qua e là, ci sembra di essere veramente perfetti. Ma quando poi torniamo a casa e ci guardiamo al “nostro” specchio, quello che tutte le mattine sembra non fare altro che ingigantire ogni nostra più piccola imperfezione, siamo ancora così convinti?

Così come per un bel vestito comprato quasi “d’impulso”, attratti dalla perfetta esperienza provata nel negozio. Quando si torna a casa e si riprova il capo, è quello il momento in cui davvero si entra in suo possesso. È quello il momento in cui davvero decidiamo, noi soli davanti allo specchio, lontani da occhi indiscreti, se quel vestito è quello giusto, se davvero ci sta bene, se davvero l’esperienza provata nel camerino è reale.

Questa fase di “passaggio” tra la tappa “acquisto” del viaggio del cliente e la tappa “uso” è la prova del nove che conferma definitivamente che l’acquisto è quello giusto e non deve essere restituito.

È una tappa, come si è detto, estremamente misteriosa, perché l’azienda e il brand molto difficilmente riescono a tracciare e a identificare l’esperienza che il cliente effettivamente prova.

La soluzione? Sicuramente cercare, per quanto possibile, di “rizzare le antenne” in tutti quei touchpoint che in qualche modo sono coinvolti nella tappa: il personale del negozio o del customer service, il packaging, le istruzioni di settaggio di device tecnologici o di montaggio di mobili o oggetti di arredamento, la logistica. Sono tutti piccoli tasselli che possono contribuire a ricavare qualche informazione su come sia davvero andato l’acquisto effettuato nel nostro retail, online o offline che sia.

PATIENT EXPERIENCE E CUSTOMER EXPERIENCE

LA CLEVELAND CLINIC, UNA STRUTTURA MEDICA DI ECCELLENZA NEGLI STATI UNITI

CLEVELAND3La Clinica di Cleveland viene fondata a Cleveland, Ohio, nel 1921. In poco tempo si è affermata in tutti gli Stati Uniti come centro medico accademico multi specializzato non profit che integra la cura clinico-sanitaria alla ricerca e alla formazione, aprendo la strada a innovative procedure mediche (come l’isolamento della serotonina, operazioni di bypass a cuore aperto o di trapianto facciale) e facendo importantissime scoperte in ambito scientifico (come l’identificazione dei geni responsabili di degenerazioni maculari giovanili o di cardiopatie coronariche).

La sede principale ha la possibilità di ospitare fino a 1.440 pazienti, ma la clinica ha diverse sedi affiliate e ambulatori in tutto l’Ohio, in Florida, a Las Vegas, ma anche in Canada (Toronto), Abu Dhabi e Arabia Saudita. Si tratta di una rete che mette a disposizione dei pazienti ben 4.450 letti. Nel 2012, 43 mila dipendenti della Cleveland Clinic hanno curato 1 milione e 300 mila persone, di cui 50 mila solo nel campus principale di Cleveland.

Recentemente, la rivista U.S. News & World Report ha inserito la Cleveland Clinic nella classifica “top four” degli ospedali migliori degli Stati Uniti (classifica 2014-2015). Ma non è sempre stato così e, per arrivare a questo risultato, la strada è stata lunga e travagliata.

QUANDO L’ECCELLENZA MEDICO-SANITARIA NON BASTA PIÙ

Come la maggior parte dei più prestigiosi ospedali, nel tempo, l’attenzione della clinica si è concentrata, grazie anche al suo team di medici “superstar”, soprattutto sul risultato medico, tralasciando il fondamentale aspetto della cura dell’intera esperienza dei suoi pazienti. CMSNel non troppo lontano 2009, consultando i dati di performance tracciati dal Center for Medicare & Medicaid Services (CMS), l’istituto federale che negli Stati Uniti controlla il sistema delle assicurazioni sanitarie, il Ceo della Clinica, Dr. Cosgrove, si rese conto, infatti, che i pazienti si affidavano alla sua struttura per l’eccellenza delle sue cure, ma in realtà non erano per niente soddisfatti di come venivano trattati. Oltretutto, dai dati forniti dal CMS era ben chiaro che, nella scelta dell’ospedale, la maggior parte delle persone iniziava a privilegiare sempre più proprio la “patient experience” rispetto all’eccellenza sanitaria, la qual cosa metteva in serio pericolo l’affluenza alla Clinica di nuovi pazienti. Cosgrove decise allora che era il momento di rendere la customer experience dei suoi clienti, i pazienti appunto, una priorità per tutta la sua azienda, la Clinica.

La sfida di Crosgrove era quella di far capire all’intero staff del suo ospedale (non solo medico, evidentemente) che ciascuno di loro giocava un ruolo importante nella cura di ciascun paziente, e che questo ruolo non doveva inficiare gli alti standard di qualità e sicurezza che erano il fiore all’occhiello della Clinica.

IL PATIENT EXPERIENCE OFFICE PER CREARE UNA PATIENT EXPERIENCE SUPERIORE

In questo Crosgrove trovò l’importante e competente appoggio del Dottor Merlino, un famoso chirurgo che stava già lavorando a rendere la struttura dell’Istituto dei disturbi digestivi della Clinica un’organizzazione “paziente-centrica”. Crosgrove gli affidò il difficile compito di dirigere il “Patient Experience Office” e, come primo passo nel suo nuovo ruolo, Merlino formalizzò una definizione di “Patient Experience” in modo che tutti alla Clinica potessero capire il ruolo che dovevano avere nella cura del paziente: si trattava infatti della “relazione con ogni persona e ogni cosa che il paziente incontra dal momento in cui decide di andare alla clinica, fino al momento della dimissione”. E questa relazione, per rendere soddisfatti i pazienti, doveva essere davvero superiore, in ogni sua componente.

Merlino rese poi pubblici i dati del CMS, sia a livello generale, sia per ogni singola unità, cosa che sensibilizzò lo staff sull’importanza di offrire un buon servizio e una cura attenta, oltre che a fredde – anche se perfette – prestazioni mediche.

IL PAZIENTE AL CENTRO DELL’ECOSISTEMA DELL’AZIENDA OSPEDALIERA

Per capire quali fossero le esigenze dei pazienti il nuovo Patient Experience Chief Officer seguì lo stesso credibile e quantificabile schema di interviste del CMS. Le domande rivolte direttamente ai pazienti dimessi spaziavano dalla comunicazione che essi avevano potuto avere con medici e infermiere, alla cortesia e rispetto dello staff nei loro confronti, alla velocità di risposta al bottone di chiamata, fino alla pulizia della stanza e del bagno, la qualità dei pasti e così via, per arrivare a dare un giudizio complessivo sull’ospedale e a valutare un’eventuale raccomandazione ad amici e colleghi. Merlino scoprì così alcuni dati ed informazioni interessanti: i pazienti dell’ospedale volevano essere sicuri che chi si prendeva cura di loro capisse a fondo cosa significasse essere un paziente, volevano che ci fosse una comunicazione migliore fra medici e infermieri a riguardo delle loro condizioni e volevano potersi relazionare con uno staff che non facesse loro pesare il malumore della giornata.

Attraverso queste interviste, Merlino poté rendersi conto che ogni singolo paziente, durante la sua permanenza in clinica, si relazionava in modo molto articolato con l’ecosistema aziendale:  in media, infatti, il paziente si interfacciava con otto dottori, sessanta infermieri, e moltissimi altri tra addetti alla pulizia, guardiani, trasportatori, cameriere e operatori della cucina, senza contare lo staff non direttamente relazionato all’area sanitaria, come l’amministrazione, il marketing, o altri servizi come il parcheggio..

Tutto personale che, anche se non “in vista”, poteva in qualche modo influenzare il soggiorno del ricoverato. Ogni singola persona che lavorava in ospedale, secondo Merlino, dove prendersi la responsabilità della cura di ciascun paziente, secondo una logica, “paziente-centrica”. Se anche uno solo di loro avesse mancato al suo compito, questo si sarebbe poi riflettuto sull’intera esperienza del paziente presso la Clinica.

Senza non poco sforzo, Merlino riuscì ad istituire un programma che coinvolgesse tutti gli impiegati dell’ospedale a qualsiasi livello durante il quale ciascuno avrebbe raccontato storie di cosa avevano fatto (e come avrebbero potuto migliorare) per fornire le proprie cure ai pazienti dell’ospedale. Oltre al fatto di sensibilizzare ciascun “reparto” rispetto al lavoro, alle difficoltà e alle esigenze degli altri, fu anche l’occasione per creare un elenco delle “best practice” che potevano essere messe in pratica nella quotidianità.

Merlino si occupava costantemente di fare interviste ai pazienti analizzandone le risposte e interpretandone le lamentele (assecondarli era giusto o andava contro il loro stesso interesse?), seguiva i programmi di formazione dello staff medico e non e lavorava con loro per identificare e risolvere i problemi.

LA CUSTOMER EXPERIENCE PORTA RISULTATI IN TERMINI DI PROFITTI

Il primo grosso risultato evidente di questa operazione, iniziata nel 2010, fu quella di creare una linea telefonica per prendere appuntamenti immediati per visite più o meno importanti e urgenti. Il servizio permise di aumentare il numero di nuovi clienti/pazienti del 20% solo nel primo anno.

Si scoprì inoltre che le unità che fornivano ai pazienti visite da parte delle infermiere a cadenza oraria erano quelle che performavano meglio. Ottenere buoni risultati in termini di customer experience, permise alla Clinica di risalire nella classifica del gradimento degli ospedali degli Stati Uniti stilata dal CMS: da un elenco di 4.600 ospedali, nel 2008, solo il 55% dei pazienti intervistati dal Center for Medicare & Medicaid Services riteneva buono il servizio ottenuto dalla Cleveland Clinic, mentre nel 2012 si raggiunse addirittura il 92%. Oltretutto, per incentivare gli ospedali a curare l’aspetto del servizio delle loro strutture, nel 2013 il CSM stabilì che 1 miliardo di dollari dei pagamenti agli ospedali sarebbe dipeso dalle loro performance in termini di servizio.

 

IL VIAGGIO DI SUCCESSO DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Nonostante i progressi notevoli, tutti alla clinica sono consapevoli che la strada verso una customer experience superiore è lunga. Da una parte, i pazienti cambiano e con loro possono cambiare le loro esigenze e loro necessità, dall’altra è necessario tenere tutto l’ecosistema ospedaliero (tutti coloro che si relazionano a diverso titolo e in diverso modo con il paziente, da quando decide di andare in ospedale a quando viene dimesso) costantemente concentrato sull’importanza di fornire il miglior servizio e la più grande attenzione. Nel lungo viaggio per offrire una customer experience superiore, quindi, sono necessarie una costante e approfondita conoscenza del proprio cliente e un’accurata progettazione della customer experience in ogni relazione che egli ha con l’azienda.

TOUCHPOINT: ISTRUZIONI PER CAMBIARE ROTTA E SPICCARE IL VOLO

                   “Ogni volta che un Cliente entra in contatto con qualsiasi aspetto, anche remoto, di un business è un’opportunità per lasciare il segno.”

Così Jan Carlzon, Presidente di SAS Group (Scandivian Airlines System) dal 1981 al 1994, definiva quelli che oggi chiamiamo touchpoint. Lui li chiamava “moment of truth”, il “momento della verità”.

Viaggio del Cliente - Forrester Research
Viaggio del Cliente – Forrester Research

Si tratta, appunto, di tutte quelle interazioni, di tutti quei momenti in cui il Cliente si interfaccia con l’azienda all’interno di un vero e proprio viaggio suddiviso in tappe, da quando la scopre (cercando attraverso un motore di ricerca, grazie al consiglio di un amico o scontrandosi con un’insegna per strada), a quando valuta il prodotto o il servizio, a quando lo acquista, lo utilizza, a quando, eventualmente, ha bisogno di assistenza (vedi foto). Sono veri e propri “momenti della verità” perché in ognuno di essi il Cliente cerca una corrispondenza tra quello che è il suo bisogno, il suo desiderio, e ciò che sperimenta. Anzi, di più: come ogni persona, anche il Cliente chiarisce a se stesso quelli che sono, appunto, i suoi bisogni e i suoi desideri proprio provando, facendo esperienza di qualcosa.

Ogni touchpoint, quindi, è l’occasione – da una parte – per il Cliente di raggiungere una consapevolezza in termini di corrispondenza con quello di cui ha bisogno o che desidera e – dall’altra – per l’azienda o il brand di favorire questa presa di coscienza. Da qui l’importanza – per ogni business – di conoscere e ri-conoscere i touchpoint che il Cliente attraversa per potergli così offrire – in ciascuno di essi – un’esperienza che faccia emergere al cliente stesso la chiarezza del suo bisogno/desiderio: una chiarezza che deve entusiasmarlo totalmente!

Dal momento che ogni parte, ogni dettaglio è fondamentale sia per la creazione e la costituzione di un tutto più grande, sia per svelarne la natura vera e intera, un solo momento, una sola di queste interazioni, se non permette al Cliente di riconoscere una corrispondenza o, peggio, se gli fa individuare una “non-corrispondenza”, comporta il rischio che lo stesso Cliente trovi dissonante l’interezza di quello che sta sperimentando.

Durante il suo viaggio, il Cliente ha l’opportunità di vivere tante e ripetute esperienze quante sono le possibilità di touchpoint che gli capitano. In questo senso, quindi, ciascun touchpoint è fondamentale per far sì che il Cliente chiarisca sempre più a se stesso quella corrispondenza con i propri bisogni e desideri e che quindi decida di continuare il suo viaggio, fino a portarlo a termine.

Quando Jan Carlzon diventa Presidente di SAS, il gruppo sta perdendo 17 milioni di dollari all’anno e ha la reputazione di essere una delle compagnie aeree più in ritardo d’Europa (quattordicesima su 17 compagnie aeree). Carlzon intraprende un vero e proprio cambio di rotta: “Finora abbiamo fatto volare aerei, e lo abbiamo fatto molto bene. Ora dobbiamo imparare la difficile lezione di come far volare le persone”.

Ogni touchpoint deve essere l’occasione per l’azienda di “far volare” il suo Cliente verso i suoi bisogni e desideri, ed è un’occasione che deve essere assolutamente sfruttata come unico mezzo per offrire una Customer Experience che lo entusiasmi. Il risultato? Il Cliente tornerà, spenderà anche di più (come è stato rigorosamente documentato) e suggerirà azienda o brand ad amici e colleghi.

Nelle prossime settimane Italian Customer Intelligence intraprenderà un viaggio attraverso i principali “moment of truth” di diversi settori: qual è l’esperienza che il Cliente cerca in ciascuno di essi? Quali sono le possibili mancanze nell’offerta? Quali sono le opportunità di miglioramento per “farlo volare”?

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ASSICURAZIONI: I PROFITTI DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Il World Insurance Report 2015, arrivato ormai alla sua ottava edizione, non porta proprio buone notizie sul livello di soddisfazione degli assicurati nel mondo. Il risultato più rilevante riportato dall’indagine “Voice of Customer” segnala, tra gli altri dati, che i più insoddisfatti sono i giovani dai 18 ai 34 anni, la ormai nota Generazione Y.

Nati e cresciuti nell’era digitale, questi clienti richiedono sempre più servizi web-based. Le assicurazioni, nonostante gli sforzi, non riescono ancora a soddisfare questa esigenza, provocando un crollo della valutazione della customer experience del settore in tutto il mondo. Soltanto il 28,9% degli intervistati, infatti, si è dichiarato soddisfatto della propria esperienza in relazione ai servizi offerti dalle assicurazioni, anche in quei paesi più sviluppati tecnologicamente, come l’America e l’Asia Pacifica.

L’abbandono del cliente e, come conseguenza, una perdita di profitti sono i rischi che corrono le assicurazioni, come conseguente di un così drammatico livello di insoddisfazione.

Che fare quindi? Bisogna cambiare approccio e passare ad una strategia customer-centric.

Il messaggio che lancia il World Insurance Report 2015 è proprio questo: bisogna conoscere il cliente, soprattutto colui che appartiene alla Generazione Y. È necessario proporre una esperienza che risponda alle reali esigenze del cliente e che sia al contempo facile e piacevole, secondo un approccio outside in (leggi qui).

Il cliente della Generazione Y sceglie il ristorante sulla base delle opinioni scritte su Tripadvisor, legge i libri con Kindle, acquista su Amazon: tutte azioni ordinarie, ma che per il mondo delle assicurazioni rappresentano ancora il futuro.

Gli assicuratori infatti non sono digitalmente maturi e pertanto la loro sfida sarà proprio quella di coinvolgere maggiormente i propri clienti, focalizzando l’attenzione sui canali più importanti per il cliente digitalizzato, quali i social media, canali online e mobile, trasponendo la tradizionalità tipica della relazione che si crea tra agente e cliente, nel mondo digitale (per esempio, grazie ai social media, si può sviluppare un rapporto individuale con ogni cliente).

Ma non solo. Le assicurazioni dovranno anche strutturare una vera e propria integrazione tra i canali offline e online, per permettere al cliente di passare da uno all’altro, semplificando la gestione delle varie interfacce e dei punti di contatto.

In conclusione, oggi più che mai, nell’Era del Cliente, i profitti delle compagnie assicurative sono legati al miglioramento della Customer Experience (leggi qui). Solo questo approccio, permetterà loro di aumentare profitti, erodere punti di market share ai competitors e diventare leader di mercato.

Chi ha orecchie per intendere…

Italian Customer Intelligence propone un percorso volto a importare in azienda le best practice per progettare e offrire ai propri clienti una Customer Experience superiore

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(Articolo precedentemente pubblicato il 4 Marzo 2015)

 

L’EMAIL DI AMAZON E LA BORSA DELLA SPESA

Il cliente compie un viaggio con il nostro brand/prodotto/servizio composto da diverse tappe. Sappiamo che la percezione che il cliente ricava dall’esperienza che vive in ogni touchpoint in ogni tappa del viaggio è la Customer Experience.

Il 2014 è stato l’anno in cui la Customer Experience è approdata sulle scrivanie dei dirigenti e dei professionisti di moltissime aziende (l’Italia è ancora purtroppo in ritardo). Molti studi confermano che nel 2015 molte aziende si sono concentrate sempre più nel perfezionare un’offerta di Customer Experience superiore.

Oggi scriveremo però di un’azienda che cura la Customer Experience da sempre: Amazon.

Lo spunto ci viene offerto non dall’introduzione dei droni per le consegne o da altre innovazioni tecnologiche, ma da una mail, una semplicissima mail che ci è stata segnalata.

Amazon Logo

Il lettore che ce l’ha inoltrata aveva ordinato sul famoso store online un gadget elettronico da regalare a una persona cara: come al solito l’esperienza d’acquisto online si era rivelata veloce e semplice; sottolineando sopratutto la velocità con cui è possibile modificare l’indirizzo di consegna del pacchetto (non poteva farsi arrivare a casa il regalo facendosi scoprire!). La data di consegna prevista da Amazon era fissata per Mercoledì 17.

Ma Lunedì 15 riceve questa mail:

“Gentile Cliente,

Siamo spiacenti di informarti che, a causa di un inaspettato ritardo, il tuo ordine “171……” o parte di esso potrebbe essere consegnato con un ritardo di 1-2 giorni lavorativi rispetto alla data prevista.
Per maggiori informazioni su come tracciare il tuo ordine, guarda il nostro video: https://www.amazon.it/traccia_il_tuo_ordine_video
Siamo consapevoli che attendevi tale articolo per la data di consegna prevista, pertanto, potresti voler richiedere un reso dovuto al ritardo. Se desideri effettuare un reso del tuo ordine, ti chiediamo di visitare il nostro Centro resi online per conoscerne le modalità: https://www.amazon.it/resi
Per maggiori informazioni sulle nostre politiche dei resi, consulta la nostra pagina d’aiuto: https://www.amazon.it/politica-resi
Siamo spiacenti per i disagi arrecati.
Servizio Clienti
Amazon.it

Dopo averla letta, il suo stupore è stato davvero grande. Infatti, non stava assolutamente pensando all’acquisto fatto qualche giorno prima…ed essere avvertiti in anticipo di un possibile ritardo (1 o 2 giorni lavorativi) non capita davvero tutti i giorni!

In questo caso Amazon sta “gestendo” bene una tappa fondamentale, e spessissimo oscura del viaggio del cliente: il momento in cui accede, ovvero tutto ciò che accade tra l’acquisto e l’utilizzo del prodotto. Le percezioni che il cliente vive in questi momenti sono decisive per la sua valutazione e, nell’era del cliente, per farlo restare con noi per acquisti futuri e convincerlo ad essere uno dei nostri Promoter.

Avete mai riflettuto su cosa accade nella mente e nella pancia del nostro cliente dopo che ha comprato il prodotto, ma prima che lo utilizzi? Provate a pensare a quanti avvenimenti influenzano la nostra esperienza al ristorante nei momenti tra l’ordine e l’arrivo delle pietanze. Quanti pensieri ci passano per la testa tra l’acquisto di un biglietto aereo online e la fine del volo acquistato con l’uscita dall’aeroporto? Quante borse abbiamo maneggiato prima di indossare finalmente la maglietta o le scarpe comprate da poco? Le borse erano comode? Erano troppo appariscenti? Etc.

Il primo passo da compiere per non tralasciare questa importantissima tappa del viaggio che il nostro cliente compie è sicuramente identificare tutti i vari punti (touchpoint) che la compongono, dopodichè si potrà pensare a come migliorare l’esperienza vissuta dal cliente in quei momenti.

Sembra banale, ma tantissime opportunità si aprono davanti ai nostri occhi non appena li volgiamo verso ciò che prima semplicemente stavamo ignorando.

LA CUSTOMER EXPERIENCE È UN VIAGGIO, NON UNA DESTINAZIONE

Annette Franz si occupa di customer experience da venti anni e attualmente, oltre alla gestione del suo blog (www.cx-journey.com), nato dal desiderio di condividere le esperienze e le riflessioni maturate in questi anni, è vicepresidente di Touchpoint Dashboard. Ciò che la appassiona di più, nel suo lavoro, è aiutare le aziende a capire l’importanza dell’esperienza e del coinvolgimento dei dipendenti per offrire una customer experience superiore. Secondo Annette le aziende dovrebbero assicurarsi che il cliente sia al centro di ogni discussione.

Questa una delle sue celebri frasi che campeggia in ogni pagina del suo blog:

You know the quote, Success is a journey, not a destination.

Well, the customer experience is a journey, too. It’s a never-ending journey. You must always strive to deliver that ultimate customer experience, not only at a single touchpoint but also – especially – along the entire journey. Have you taken the first step?

(Annette Franz)

Per Annette offrire un’ottima customer experience significa intraprendere un viaggio senza fine, perché il successo risiede nel viaggio, non nella destinazione. Ciò implica una conoscenza approfondita e una progettazione accurata della customer experience in ogni tappa del viaggio del cliente.

In apparente contraddizione con sé stessa, Annette fa poi riferimento ad una seconda citazione:

“Knowing where you’re going is the first step to get there.”

(Ken Blanchard)

La contraddizione è solo apparente perché la citazione di Ken Blanchard è la “conditio sine qua non” per intraprendere “il viaggio” di cui parla Annette. Come potremmo imbarcarci in un programma volto al miglioramento dell’offerta di customer experience senza avere bene in mente i valori del nostro brand, o senza conoscere il cliente e le tappe del suo viaggio?

Intraprendere un viaggio “di successo” non significa certo partire “allo sbaraglio”, ma stabilire una meta, il percorso e i mezzi per raggiungerla!

Per informazioni: info@italiancustomerintelligence.it

ERA DEL CLIENTE, PAROLA D’ORDINE: TRASPARENZA

Nell’Era del Cliente, il consumatore è sempre più abituato alla facilità con cui riesce a reperire, attraverso diversi canali, le informazioni che lo aiutano lungo tutto il viaggio che compie nella sua relazione con un brand. Da quando ha necessità di compiere una scelta in merito a un acquisto che deve fare, a quando effettivamente acquista il prodotto o servizio, a quando accede al suo acquisto entrandone in possesso per poi usarlo, fino a quando, eventualmente deve chiedere assistenza per qualunque problematica.

Ora, la fase “accede” del viaggio del cliente è quella che separa il momento dell’acquisto del prodotto o servizio a quando, effettivamente, quest’ultimo possa essere utilizzato.

Viaggio del Cliente - Forrester Research
Viaggio del Cliente – Forrester Research

Pensate al biglietto di un aereo. Da quando si acquista  –  online, prevalentemente –  a quando effettivamente “si vola”, si deve passare – tra le altre cose –  per la stampa della boarding card, per il check in, il controllo in dogana, il gate di partenza fino a, finalmente, salire sull’aereo.

La fase di accesso avviene anche, per esempio, nel periodo e nei touchpoint che intercorrono tra l’acquisto di un nuovo modello tecnologico, il suo settaggio e l’utilizzo finale. In questo caso, il successo della customer experience si verifica nel momento in cui le istruzioni di impostazione sono chiare e semplici (soprattutto per chi non è particolarmente esperto!). Oppure, molto semplicemente, avviene nel tempo che passa tra quando si acquista un abito e lo si indossa (ne abbiamo parlato qui proprio qualche giorno fa) o tra quando si attiva un nuovo abbonamento telefonico e si inizia a usufruire del nuovo piano tariffario.

Sicuramente, la fase di accesso è molto significativa quando si tratta di acquisti online. È significativa perché totalmente fuori dalla nostra “giurisdizione”: abbiamo acquistato su internet o attraverso una app un gioiello, un libro, un paio di scarpe, abbiamo ordinato una pizza o prenotato un taxi. Ma da quando abbiamo confermato e – eventualmente – pagato l’ordine a quando lo riceviamo, cosa succede? Come posso sapere dov’è esattamente il mio acquisto? Tra quanto arriva? A che ora? Spesso e volentieri questa attesa è snervante, perché non vediamo l’ora di avere tra le mani quanto acquistato o abbiamo molta fame o molta fretta di arrivare all’appuntamento per cui abbiamo prenotato il taxi..

Tracking numberÈ per questo che, in questa Era del Cliente, dove il consumatore è così abituato ad avere la situazione “sotto controllo”, diventa indispensabile fornirgli anche questo tipo di informazione. E fornirgliela in modo facile e piacevole. Quando Amazon introdusse il sistema di tracciamento dell’ordine, inviando al cliente il Tracking Number per seguire passo per passo il percorso della spedizione, fu una rivoluzione vera a propria. E da questo ormai non si può più tornare indietro, tanto che, oggi, chi vende online e non è attrezzato in questo senso, abbassa notevolmente la customer experience dei propri clienti. Ma non solo, non è più sufficiente semplicemente dare qualche vaga indicazione di tracciabilità, ma è necessario che le informazioni siano precise, puntuali e che permettano di seguire l’ordine minuto per minuto. La trasparenza, dunque, diventa la parola d’ordine perché la customer experience in questa fase del viaggio del cliente (e del pacco!) sia davvero soddisfacente!

Un ottimo esempio di customer experience superiore

Abbiamo ordinato un libro presso una casa editrice americana. In Italia non era reperibile. L’alternativa era Amazon, ma, avendo fretta di leggere il libro, la casa editrice ci garantiva una spedizione più rapida con un costo oltretutto inferiore. Ora, l’acquisto è stato effettuato il 19 giugno. Il giorno seguente riceviamo dalla casa editrice un’email con i riferimenti per tracciare il pacco del nostro libro che ci sarebbe stato spedito tramite il corriere UPS.

Qui sotto il processo di spedizione che ha seguito il nostro libro, a partire dal 20 giugno alle ore 12.12, quando il pacco era pronto per la consegna al corriere.

upsI passi successivi sono stati aggiornati davvero in tempo reale, con tanto di segnalazione di ingresso e uscita dalle diverse agenzie UPS di passaggio. La cosa straordinaria è stata che, il giorno 23 giugno, UPS ci segnala che il libro si trova a Louisville, nel Kentucky e che entro la sera del giorno dopo ci sarebbe stato consegnato a Milano. Per curiosità (e non certo per mancanza di fiducia) siamo andati a controllare la distanza tra Louisville e Milano: possibile che il giorno dopo avremmo avuto in mano il libro? La distanza non era poca, e con questa promessa le nostre aspettative si sono incredibilmente alzate. Quando il nostro libro, infine, ci è stato consegnato alle ore 16.14 del giorno stabilito, in anticipo sulla scadenza ultima, abbiamo senz’altro potuto dire che UPS (e quindi la casa editrice che di UPS si è servita per la spedizione) ci ha offerto una customer experience davvero superiore!

Nota a margine: il giorno dopo la consegna UPS ci chiede di compilare un questionario per valutare la nostra intera esperienza, con domande che spaziavano dalla facilità di navigazione sul loro sito, alla piacevolezza del layout visivo, all’efficacia e completezza delle operazioni possibili, fino a chiederci “In una scala da 0 a 10, quanto saresti disposto a raccomandare a qualcun altro UPS?”. La nostra risposta è facile da immaginare!

L’IMPORTANZA DELLA MAPPA DEI TOUCHPOINT

“Every contact we have with a customer influences whether or not they’ll come back. We have to be great every time or we’ll lose them.”

Kevin Stirtz

È fondamentale tracciare una mappa di tutti i punti nei quali il cliente interagisce con l’azienda, perchè in ciascuno di essi si crea un giudizio che lo porterà alla scelta di continuare o abbandonare la sua relazione con il brand.

I cosiddetti touchpoint sono numerosissimi e spesso sottovalutati o addirittura sconosciuti dalla stessa azienda, ma in ciascuno di essi è necessario offrire una customer experience che invogli il cliente ad andare avanti nel suo percorso.

La convergenza dei canali online e offline, oltretutto, ha reso il viaggio del cliente attraverso ogni touch point ancora più complesso e articolato.

Leggi qui per approfondire.

Nel nuovo seminario Outside In Telligence che Italian Customer Intelligence propone in collaborazione con Kerry Bodine, una parte significativa è dedicata proprio al “da farsi” per individuare e mappare i touch point che il cliente tocca nel suo viaggio con un’azienda o un brand.

Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it per maggiori informazioni.

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