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TOM GOODWIN: IL FUTURO DEL RETAIL È ESTREMO

Si sta diffondendo un cambiamento nel settore del retail, ma non si tratta di quello che i più potrebbero supporre. Noi magari pensiamo che internet stia cambiando lo shopping per sempre – e certamente è così – ma c’è un’altra dinamica di cui non si parla ma che è evidente ovunque: si tratta della cosiddetta “biforcazione del retail”.

Ogni azione ha una reazione: una nazione che si mangiucchia video di sei secondi, ha bisogno al contempo di abbuffarsi guardando ore di Tv. La consistenza perfetta di un McDonalds o di una Bud Light (una birra, ndr), crea la necessità che una birra artigianale o un festival sul cibo ci soddisfino pienamente. Anche lo shopping sembra mostrare questa divisione: si passa dallo shopping come “esperienza del brand” alla necessità di fare acquisti con il massimo desiderabile della facilità.

Lo shopping dilaga

Sono abbastanza sicuro che nessuna persona, nei tempi moderni, sia mai tanto annoiata come quella che va a comprare su Amazon.com: la spartana CMS, le brutte foto pubblicitarie, la tassonomia funzionale, tutto è stato creato per far sì che l’acquisto sia il più possibile facile e omogeneo… ma mai divertente.

Nella migliore delle ipotesi, quanto tutto fila liscio, lo shopping su Amazon non è un’esperienza, è un’assenza di esperienza. È l’esempio più lampante della “semplice” azione di rimuovere ogni possibile barriera, ogni possibile attrito. Per la maggior parte dei siti, oggi la vendita al dettaglio è un’infinità di “A-B test” per ridurre al massimo le possibilità che il cliente incontri ostacoli sulla strada.

Questo è il mondo del commercio: è come un’operazione chirurgica, progettata per essere automatica, è per le persone che sanno cosa vogliono e vogliono ottenerlo senza dover pensare. Sempre di più il mondo del retail sembra lavorare in questo modo. Abbiamo un sistema di recensioni dei prodotti a stelle per dare confidenza alle nostre decisioni in un linguaggio chiaro e comprensibile in pochi secondi; abbiamo “l’Amazon Dash Button” che ci consente di avere prodotti senza dover nemmeno fare la lista della spesa o pensare. Abbiamo Hotel Tonight che ci mostra un piccolo range di impeccabili hotels che puoi prenotare per quella data sera in un batter d’occhio.

casperAbbiamo limitato la scelta, riducendo il fardello cognitivo dell’offerta con un numero minore e più facile di scelte. Da Casper con il suo unico materasso, a Honest con la sua semplice offerta di prodotti per la Direct Tv Now composta da quattro livelli di offerta con nomi semplici come “Gotta Have It” o “Live a Little”. Anche Maple, un nuovo servizio di scelta sul cibo a New York, offre ogni giorno una manciata di piatti curati e poche opzioni a cui dover pensare.

Abbiamo addirittura costituito abbonamenti di acquisto. Cos’è più facile di comprare? Non comprare! Le cose arrivano magicamente mese dopo mese. Se il massimo del lusso è non dover pensare, allora Walmart, Target, Amazon, Dollar Shave Club e tanti altri offrono programmi di abbonamento e di risparmio.

La regola del gioco durante l’acquisto è renderlo semplice, il più semplice possibile. E poi ancora di più. Da PayPal, al salvataggio dei dettagli del pagamento per far sì che il checkout sia più semplice, alle audaci e ben delineate interfacce grafiche di Polypore, allo sfruttare l’Instant Messaging fino allo strisciare con disinvoltura per finalizzare l’acquisto grazie ad app come Blynk e Stylet.

Presto saremo sopraffatti dalla frenesia dell’acquisto: dall’ordinare una pizza via Voice nell’Amazon Echo fino al “predective retail” che previene i tuoi desideri prima che tu possa pensarli, lo shopping senza frizioni è la strada da percorrere.

E notate che questo non vale solo per l’acquisto online: dopo anni di supposizioni sul fatto che il retail moderno fosse solo una questione di schermi e complessità, Amazon Go ha recentemente stupito il mondo con uno store super moderno. Finiti i tempi dei coupon “iBeacon”, Amazon Go è solo un’esperienza essenziale dove le persone non fanno praticamente niente. Oppure ci sono dei concept store come “the store” in Giappone che vende semplicemente la versione migliore al mondo di 200 items: “I just want the best”, in questo caso, è la struttura della facilità di scelta.

Lo shopping diventa divertente

Nemmeno il più ardente fan di M&M’s pensa che i 25.000 piedi dell’M&M’s World a Time Square sia lì per soddisfare il desiderio di cioccolato dei newyorkesi alle 23:45 di notte. Come tutti i Flagship, M&M’s World è lì per trasmettere un’esperienza. Vuole proporre uno shopping che venga ricordato, un viaggio di scoperta, qualcosa di memorabile, fatto per prendersi del tempo e assaporare: l’opposto di “comprare”.

Spesso lo shopping viene proposto nel retail fisico perché è il modo più facile per avere a che fare con la vista e gli odori. Lo shopping è il mondo di “aggiungere esperienze”. È il laboratorio di profumi interattivi da Selfridges, le opportunità di scattare dei selfie da Harvey Nichols, l’ “Hardware Club Experiences” da Harrod’s o gli stravaganti laboratori di Le Labo. Anche i Coffee Shop sembrano aver imparato la lezione: sono l’ “innecessaria” lunga attesa, il rituale dell’infuso e il menù rilegato in pelle dell’Intelligentsia Coffee.

O altre prospettive diverse: gli accurati viaggi proposti e le raison d’être di uno store come Story a New York, con prodotti posizionati attorno a un moderno tavolo. Gli specchi “smart” e i body scanner dei grandi magazzini. Il drammatico design di macchine cucitrici apparentemente infinite da All-Saint, o concept interessanti come Bespoke a Westfiel a San Francisco che mixa uffici di startup con luoghi per fare acquisti. Il flagship della Nike con le piste da corsa e le attrezzature sportive o gli opuscoli di Lululemon che spiegano il motivo per cui li producono. I negozi di Uniqlo in Giappone dove puoi votare i tuoi nuovi prodotti preferiti utilizzando dei puntini bianchi. I mercati agricoli con le loro storie di provenienza, il negozio della fabbrica di olio di lavanda in Provenza, l’assurdamente costosa storia del vino di Vineyard.

Ma non è solo offline. C’è anche l’acquisto dell’abito su misura fatto da Suit Supply dove la consulenza è parte dell’esperienza. Ci sono siti come NetAPorter che prosperano di contenuti come veri e propri negozi, cataloghi commentati che conquistano i piani alti del mercato e pure aziende come Nike che crea TechBook, una mobile app tattile, in 3D e coinvolgente dove gli abiti prendono vita. Vediamo ogni giorno lo shopping online e offline unirsi insieme, ma il retail si muove verso ogni estremità.

Muoversi verso un estremo per vincere

La chiave del successo dei retailer moderni è comprendere la natura divergente del retail moderno, servendo le persone velocemente ed efficientemente.

Abbiamo visto come l’eCommerce abbia cambiato le abitudini di acquisto ma i negozi, oltre ad aggiungere iPad e casse automatiche, hanno cambiato poco. I moderni consumatori non comprano online o offline. Loro comprano nel mondo moderno. Un mondo dove l’aspettativa è cambiata, dove la pazienza è poca, dove servizio e delivery sono pretesi e dove ci si aspetta che le cose siano molto veloci e incredibilmente divertenti.

Ecco una domanda per te: per chi stai massimizzando i tuoi sforzi? Ikea è abbastanza divertente per farci shopping o veloce abbastanza da acquistare? Avere sette cappotti in taglia Media e nessuna in Large è un’esperienza carina? È “cool” avere 42 tipi di jeans e nessuna guida per una scelta?

Lo shopping sta diventando estremo, è tempo di ripensarlo interamente per massimizzarlo per il consumatore moderno. Ma, soprattutto, in un mondo che cambia continuamente, è arrivato il momento in cui è necessario che le aziende cambino con lui.

Tom Goodwin

Il lavoro di Tom è pensare, parlare, scrivere e far accadere possibili novità. Il suo focus è l’intersezione fra il marketing, la tecnologia e il business. Come le tecnologia cambia i comportamenti e quali minacce e quali opportunità ne derivino. E’ Executive Vice President e Head of Innovation presso Zenith Media a New York. Di sè dice: “Non conosco tutte le risposte, ma ho grandi domande e mi piace riunire insieme persone curiose, intelligenti ed esigenti per rendere il mondo migliore”.
Per maggiori informazioni, Tom è contattabile attraverso la sua pagina Linkedin o il suo profilo Twitter.

*Articolo originariamente pubblicato sulla pagina Linkedin dell’autore e tradotto su News & Customer Experience su sua gentile concessione a Italian Customer Intelligence.

Photo Credit: Clark Young – https://unsplash.com/@clark1

CUSTOMER EXPERIENCE & TRAVEL RETAIL

Il mondo è in continuo movimento. Sempre più persone viaggiano oggi, per diversi motivi e con diversi mezzi. Così, autostrade, stazioni e aeroporti si popolano ogni anno di passeggeri diretti vicino o lontano per lavoro o per piacere.

È facile immaginare che questi poli diventino per i viaggiatori dei “non luoghi” dove il tempo passa molto lentamente e dove l’esperienza vissuta nell’attesa di saltare sul treno, di prendere un aereo o di imboccare l’uscita di destinazione rischia di essere estremamente disagevole.

Un tempo il retail presente in questi non luoghi (negozi, bar, ristoranti) era considerato alla stregua di “quello che passa il convento” e i viaggiatori si adattavano facilmente ai brand e alla – spesso – povera esperienza che questi offrivano.

Ma oggi le cose stanno cambiando. I viaggiatori aumentano, aumentano gli aeroporti, le stazioni e aumentano anche le strade e le stazioni di servizio. I viaggiatori sono sempre più esigenti, e non solo dal punto di vista tecnologico: connessioni wi-fi, hotspot, app per ottenere informazioni di viaggio, modalità ticketless e quant’altro non sono più stratagemmi sufficienti per migliorare la Customer Experience di chi parte e chi arriva.

I brand che si trovano sul territorio di scalo hanno un ruolo fondamentale nella creazione degli ambienti e nell’influenza dell’esperienza che qui viene offerta a passeggeri sempre più di fretta e sempre più pretenziosi. È necessario pertanto che essi, insieme alle gestioni di stazioni, aeroporti e aree di servizio, si adoperino alla progettazione di una Customer Experience superiore alle attese di passeggeri sfiduciati e disinteressati a passare in aeroporto o in stazione più tempo dello stretto necessario.

Uno studio effettuato sull’esperienza dei milioni di passeggeri in transito nei moltissimi aeroporti statunitensi, per esempio, ha rivelato che un viaggiatore scontento della sua esperienza negli scali spende in media 14,12 dollari nei negozi presenti. Quelli soddisfatti, invece, spendono 20,55 dollari: ben il 45% in più!

TOUCHPOINT & BEAUTY RETAIL

Continua il viaggio di Italian Customer Intelligence alla scoperta dei touchpoint di diversi settori. Oggi analizzeremo le aspettative, le debolezze e le aree di opportunità che possono nascere all’interno del Beauty Retail, inteso come profumeria. Che si tratti di grandi catene, di singoli negozi, di corner o di flagship monobrand di aziende cosmetiche, ricordiamo sempre che il Cliente dell’Era del Cliente, sempre più informato sull’offerta disponibile, sempre più capace di reperire il prezzo e le condizioni di acquisto migliori, è anche sempre più desideroso di un rapporto diretto con il brand, al quale chiede di differenziarsi rispetto alla concorrenza attraverso la proposta di una Customer Experience davvero convincente.

La progettazione e l’offerta di un’esperienza in linea con quelle che sono le promesse del brand diventa quindi fondamentale per sfruttare al meglio le moltissime opportunità che nascono in ogni momento di relazione Cliente-brand. Opportunità che in pochissimo tempo possono invece diventare grosse aree di rischio di perdita di quel Cliente che si troverà a disagio o confuso rispetto alle aspettative che si è creato proprio in relazione alle promesse implicitamente o esplicitamente ricevute dal brand.

Anche in questo caso, sono moltissimi i touchpoint che il Cliente può incontrare nella diversità dei percorsi che può compiere scoprendo e valutando il brand, decidendo poi di compiere un acquisto che poi userà (non senza prima avervi in qualche modo acceduto), fino a necessitare di un intervento di assistenza. Di nuovo, quindi, ci limiteremo, in questa sede, a indicare quelli macroscopici, principali ed evidenti.

Ne risulterà un quadro chiaro, anche se semplificato, il cui punto fondamentale è che ognuna delle mancanze segnalate può causare la perdita di un Cliente (infondo, quante altre profumerie ci sono in città? Quanti altri luoghi – farmacie, supermercati, centri estetici – nei quali posso acquistare il prodotto che cerco?). Al contrario, essere all’altezza delle aspettative del Cliente o, meglio, essere sul pezzo di quelle che sono le opportunità per stupirlo lo trasformerà in un promoter della profumeria, in particolare, e del brand, in generale, pronto a raccontarne le meraviglie ad amici e colleghi.

Ricordiamo, inoltre, che la quantità di dispositivi digitali e la possibilità di una costante connessione a internet “estende” il retail offline al mondo online, aumentano notevolmente, da una parte, le possibilità di interazione che il “super consumatore” odierno ha a sua disposizione, e, dall’altra, gli strumenti con i quali il brand può creare e progettare la sua offerta di esperienza.

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Come anticipato, questo è un quadro abbastanza semplificato, ma il punto è: ognuno di questi punti di debolezza può far perdere al punto vendita (e quindi al brand!) il Cliente – con il rischio, oltretutto, che riporti la sua esperienza negativa sia ad amici e conoscenti offline, sia all’enorme pubblico di internauti online.

Lo scopo di un serio lavoro sull’individuazione dei touchpoint della propria azienda e, successivamente, sull’esperienza che in essi si propone ai clienti è quello di farli diventare promoter del brand: farli tornare (in negozio o sull’e-commerce), e far sì che il loro passaparola non solo non sia negativo, ma sia addirittura entusiasta.

Questo è tanto necessario nel retail diretto del brand, quanto nel Franchising dove l’offerta della Customer Experience deve più che mai essere allineata con i valori del brand in ogni punto vendita (approfondisci qui).

Ovviamente, non si tratta semplicemente di comprendere quali siano le aspettative del Cliente e intercettare i suoi desideri e i suoi bisogni intrinsechi, ma anche di stabilire i termini entro i quali si possa ri-definire la sua Customer Experience, con l’intento di sorprenderlo ed entusiasmarlo. In sostanza, non ci basta sapere che il Cliente vuole essere “trattato bene”, ma bisogna definire cosa questo significhi qualitativamente e quantitativamente.

Un lavoro che, evidentemente, non si accontenta di “statici” ed esemplificativi suggerimenti di opportunità, ma che necessita di un piano di azione specifico e approfondito per la propria realtà aziendale.

Inoltre, è indispensabile ricordare che il viaggio del Cliente nella sua relazione con un brand non si limita al solo negozio, offline od online che sia (fase di “acquisto”): sono diverse, infatti, le tappe toccate prima di raggiungere lo store e una volta usciti. I fondamentali momenti di “accesso” (approfondisci qui), “uso” e “assistenza” (approfondisci qui) successivi sono estremamente delicati e complessi, tanto da necessitare un’analisi a parte.

TRAVEL RETAIL: SE LO SHOPPING VA IN VACANZA..

dutyfreeC’è una nuova categoria di consumatori che considera lo shopping parte integrante della propria “Travel Experience”, della propria esperienza di viaggio. Si tratta di consumatori con significativo potere di acquisto, livelli di consumo oltre la media e abitudini di acquisto ben specifiche.

È quanto è emerso da una recente ricerca di JCDecaux che, intervistando 1.475 “Global Shoppers” (il viaggiatore internazionale che unisce viaggio e shopping) di diversi Stati (Usa, Brasile, Uk, Francia, Russia, Emirati Arabi, Cina e Hong Kong) ha scoperto che:

  • Il 96% degli intervistati ama fare shopping quando è in visita in una città straniera;
  • L’83% considera lo shopping una parte importante del viaggio;
  • Il 68% sceglie la propria metà a seconda delle opportunità di shopping e dei brand che può trovare in loco;
  • Il Duty Free negli aeroporti è il “punto vendita” preferito (il 75% degli intervistati fa shopping proprio in aeroporto, nel 78% dei casi durante il viaggio di ritorno).

Quest’ultimo dato, in particolare, è significativo alla luce di un’altra ricerca, effettuata da Verdict Retail e riportata dall’Economist, che rivela che le previsioni sulle vendite negli aeroporti sono fissate a 59,2 miliardi di dollari nel 2019 (con un aumento del 73% rispetto ai sei anni precedenti). Questo grazie alla crescita del numero dei viaggiatori di oltre il 37% e all’aumento del loro scontrino medio (da 7,78 a 11,37 dollari).

È già possibile vedere ora come il retail degli scali aeroportuali stia cambiando, per adattarsi e, soprattutto, per approfittare di un pubblico “intrappolato” per qualche ora tra i controlli di sicurezza e l’imbarco: non più semplici vie di passaggio organizzate intorno alla logistica degli aerei, non più solo souvenir, oggettistica varia, giornali e snack venduti in anonimi duty free, ma articoli di lusso e brand noti venduti in vere e proprie lussuose vie dello shopping che si affacciano ai gate cambiando significativamente l’ambiente dell’aeroporto e l’esperienza dei viaggiatori durante l’attesa (nell’immagine a fianco, l’Aeroporto Internazionale di Dubai).

Il settore del Travel Retail, indubbiamente, è in crescita e in espansione (nel 2015 i viaggiatori in tutto il mondo sono stati più di 1 miliardo e hanno speso 1 triliardo di dollari nell’intero processo di viaggio), ma c’è ancora molto da fare in termini di Customer Experience: se, da una parte, l’esperienza generale in aeroporto, così come nelle stazioni o nelle aree di servizio, ha positivamente risentito dei recenti cambiamenti, dall’altra il Global Shopper è sempre più esigente e di corsa tra una trasferimento e l’altro e, nonostante lo shopping sia il suo pensiero fisso, le sue aspettative rispetto alla specifica esperienza con il singolo brand sono sempre molto alte (approfondisci qui).

Come progettare una Customer Experience superiore che contribuisca all’esperienza che il passeggero vive in attesa di partire? Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

UNA CUSTOMER EXPERIENCE A METÀ È COME UN FILM SENZA STORIA

“Focalizzarsi solo su alcuni aspetti del proprio business e trascurare l’esperienza offerta al cliente nella sua interezza è come andare al cinema a vedere un film con una grande fotografia e bravissimi attori, ma senza storia”.

Scott McKain

Scott McKain è un esperto di customer experience nel mondo del retail e, nei suoi anni di studio e di esperienza nel settore, non ha potuto fare a meno di notare come i retailer stiano annaspando in un mercato dove il cliente è sempre più esigente e dove i confini tra online e offline si stanno sempre più assottigliando.

Per poter offrire quella che lui ha definito “ultimate customer experience”, la customer experience perfetta, i retailer (ma non solo!) devono connettersi con i loro clienti per tracciare la loro esperienza e le loro preferenze in ogni singolo touchpoint con l’azienda. I prezzi sono importanti, sicuramente. Ma lo sono anche gli addetti alla vendita, che oltre che cortesi devono anche essere competenti. Come lo sono il parcheggio, la vetrina, l’accoglienza quando si entra nel punto vendita, la disposizione dei prodotti, le luci, i camerini, i tempi di attesa alla cassa..

Una volta individuati tutti i punti di contatto che il cliente affronta nell’approccio con il retail e capita quale sia l’esperienza che si aspetta, è necessario identificare le azioni da compiere per poter soddisfare le sue esigenze. Sicuramente questo non è un lavoro semplice, in quanto spesso potrebbe richiedere di rivedere policies e procedure che “sono sempre state così” e, quindi, di ridistribuire le risorse, tanto economiche quanto umane.

Nel mercato dell’Era del Cliente, dove il consumatore non fatica ad “alzare i tacchi” se non si ritiene completamente soddisfatto (il 70% dei clienti insoddisfatti da un’azienda smette di rivolgersi a lei, optando – nel 64% dei casi – per un competitor), il suggerimento che McKain dà è di “creare ogni volta l’esperienza perfetta per ogni singolo cliente e per ogni singolo prospect”. Per ciascuno di loro, evidentemente, dal momento che alla base della soddisfazione c’è la personalizzazione (leggi qui).

Italian Customer Intelligence ti aiuta a individuare i touchpoint della tua azienda, a stabilire quelli più strategici per la relazione con il tuo cliente e a gettare le basi per un’offerta di una “ultimate customer experience”. Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

CUSTOMER EXPERIENCE PER CONTO PROPRIO..IN COMPAGNIA?

A chi non è capitato di spendere del tempo mandando email dal proprio laptop comodamente seduto al tavolino di un bar? Si tratta di un fenomeno che negli Stati Uniti hanno ribattezzato “Latte and Laptop”: l’ospite, il cliente o il viaggiatore che desidera e cerca un ambiente comune dove, paradossalmente, può svolgere attività personali.

Sono diversi i luoghi che si stanno adeguando a questa esigenza, sfruttando il “potere” di un’esperienza condivisa e il fatto che tale esperienza, essendo visibile da altri, porti sempre più persone a volervi partecipare.

Ristoranti, bar, fino alle palestre, tutti stanno attrezzandosi per rendere i propri spazi agevoli per questo tipo di “raggruppamento”.

Nel settore alberghiero, per esempio, David Rockwell, uno dei designer di hotel innovativi più famosi al mondo, commenta: “Sono in particolare i consumatori più giovani a volere spazi pubblici flessibili e layout aperti che gli consentano diverse opzioni di lavoro e socializzazione”.

umpqua bankAnche il banking retail si sta adeguando e un esempio arriva dalla Umpqua Bank, con filiali (da loro chiamate “store”) in tutta la costa pacifica degli Stati Uniti, fino alla California. I loro clienti, infatti, trovano lo spazio per effettuare le normali operazioni bancarie, ma anche per prendere un caffè o per mandare email.

Tutto per rimanere al passo con il consumatore sempre più esigente dell’Era del Cliente.

Per questo Italian Customer Intelligence propone un percorso per progettare e offrire una Customer Experience che superi le sue aspettative. Scopri di più:

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SEPHORA E IL CLIENTE AL CENTRO

Quando si tratta di mettere il cliente al centro, moltissime aziende alzano la mano, candidandosi come le migliori in questo senso. Purtroppo, in realtà, sono davvero poche quello che lo fanno davvero. Lo sa bene Bridget Dolan, Vice Presidente dell’Innovation Lab di Sephora, retailer del settore della cosmetica con più di 1.900 negozi in 29 Paesi, fondata in Francia da Dominique Mandonnaud nel 1970.

Il focus sul cliente a Sephora, infatti, non è una semplice questione di marketing, ma di cultura. “Ogni decisione che prendiamo ha al centro la nostra cliente. Ogni volta pensiamo: ‘Che impatto avrà questo su di lei? Qual è la cosa giusta per lei?’. Poi speriamo che quello che ne viene fuori sia anche il meglio per noi, ma anche quando non lo è lo facciamo lo stesso”.

sephoraPer questo Sephora si aiuta moltissimo con la tecnologia. Andando controcorrente rispetto a quei retailer che, da un parte, vedono la tecnologia come una trappola che scatena il fenomeno dello showrooming e, dall’altra, la utilizzano solo perché è “cool”, Sephora adotta un approccio anche in questo caso totalmente Outside In, portando il cliente al centro dell’azienda e del suo ecosistema (approfondisci l’approccio Outside In qui). Lo scopo della tecnologia e dell’omnicanalità, infatti, deve essere quello di rendere la vita del cliente più semplice. Solo così acquista un valore, ampiamente riconosciuto e apprezzato.

Oggi Sephora ha più di 6 milioni di fan su Facebook, quasi 2 milioni di follower su Twitter, più di 2 milioni di dowload delle sue app e un terzo del traffico al sito ufficiale proviene da dei dispositivi mobili.

Il segreto? Un profondo allineamento tra i valori del brand e la customer experience proposta in ogni touchpoint che la cliente attraversa. E una costante attenzione e ricerca su quali siano i bisogni e i desideri delle clienti che da Sephora si aspettano “un equo servizio da professionisti esperti, un ambiente di shopping interattivo e innovazione”.

beauty insiderCon un “loyalty program” estremamente efficiente ed efficace, Sephora è in grado di registrare l’intero viaggio della cliente: si tratta di Beauty Insider, lanciato nel lontano 2007 e costantemente rinnovato e aggiornato (nel 2009 parte la versione V.I.B. – Very Important Beauty Insider), con il quale Sephora ha reso coinvolgente e convincente per la cliente raccontare chi è in ogni touchpoint. “Siamo così in grado di seguire ogni suo comportamento e di agire di conseguenza” – spiega Bridget Dolan. Coinvolgente e convincente perché la cliente ottiene sempre qualcosa in cambio: “se ci dice che ha la pelle secca, allora il prodotto che riceverà come omaggio o le informazioni che avrà via email saranno per pelli secche” – continua Dolan.

A Sephora l’80% delle transazioni avvengono attraverso il programma fedeltà e il motivo è che la cliente stessa fornisce moltissime informazioni sapendo di ottenere in cambio una customer experience decisamente sorprendente.

Alcune chicche che le affezionate clienti di Sephora riconosceranno spaziano dall’esperienza omnichannel proposta con accesso wifi gratuito negli store per accedere allo store online e alla shopping list e per scansionare gli acquisti, a servizi e lezioni di makeup con acquisti minimi, fino a una social community che dà accesso a premi, prodotti in omaggio e chat gratuite con esperti professionisti, uno staff all’interno dello store sempre molto accogliente, disponibile e competente.

Insomma, Sephora è l’esempio perfetto di come conoscere il proprio cliente e mettere al centro del proprio lavoro l’esperienza che egli vive in ogni touchpoint sia estremamente conveniente.

La buona notizia è che i passi da compiere per andare nella stessa direzione “cliente centrica” di Sephora sono precisi e ben definiti e possono essere seguiti da tutti. Meno facile è trovare la strategia giusta che sia – oltretutto – in grado di allineare valori e identità del brand e aspettative e desideri del cliente. Italian Customer Intelligence ti aiuta proprio in questo! Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

QUANDO L’ACQUISTO (NON) SI FA IN CAMERINO – 2

Un cliente che entra in camerino per provarsi un capo sarà poi più propenso all’acquisto”, così titolavamo (clicca qui) a supporto dell’assunto di Marge Laney (CEO di Alert Tech) sui fattori che influenzano – nel retail – il tasso di conversione dell’acquisto.

D’altro canto, nelle varie tappe che il cliente affronta nel suo viaggio con il brand prescelto (clicca qui), la tappa nella quale si conosce meno il cliente e si hanno meno sue notizie “tracciabili” – specie nel settore moda/abbigliamento – è proprio quella relativa all’esperienza che il cliente vive quando utilizza, ovvero indossa, quello che ha comprato.

È molto difficile avere notizie su questa tappa del viaggio del cliente perché davvero “esce” dalla vista del brand e, solo raramente, vi rientra spontaneamente, attraverso i social, per raccontare la sua esperienza.

Un aiuto per una soluzione ai problemi relativi all’esperienza di “usa-indossa”, ovvero la “vestibilità” (che, infondo, è il terribile giudizio di amici e fidanzati: “ti sta male”, “ti sta bene”), ci viene proprio dal camerino.

Infatti, quando i capi vengono lasciati in camerino, quindi non vengono acquistati, non si tratta di una questione di “gusto”, perché, se arrivano fino a lì, di per sé, sono già stati “preferiti” e “scelti”. Quindi, se non hanno problemi di taglia, spesso hanno problemi di vestibilità.

Ecco perché i retailer più avveduti invitano i clienti a lasciare in camerino i capi che non intendono acquistare senza “scomodarsi” a restituirli al personale.

A fine settimana, facendo l’analisi del “lasciato in camerino” (ovvero del “preferito ma non scelto”) avrete osservazioni da fare assai interessanti…

QUANDO L’ACQUISTO SI FA IN CAMERINO

woman in dress room wear dress

Avete mai provato a pensare a quanti e quali touchpoint visibili ci sono all’interno di un negozio di abbigliamento?

Noi sì e l’elenco è davvero lunghissimo. Vi riportiamo solo alcuni di quelli che forse non vi verrebbero in mente subito ma che comunque è importante considerare per offrire una customer experience davvero superiore.

L’insegna, le luci e lo sfondo della vetrina, le colonne antitaccheggio, i cestini della pattumiera, le divise del personale, i loro badge, l’uomo della security, la musica, l’illuminazione, i cartelli indicanti promozioni o nuovi arrivi, eventuali monitor o schermi, gli specchi, il colore delle pareti, il banco cassa e tutto ciò che ne deriva come le indicazioni dei metodi di pagamento accettati, le istruzioni per il tax free o la segnalazione della fidelity card. Tutto ciò – e molto di più – va a sommarsi a quello che avete pensato “a caldo”.

Touchpoint strategico: il camerino

eeeePunto particolarmente strategico per il negozio di abbigliamento, spesso e volentieri trascurato e oggetto di incuria e poca considerazione, è il camerino. Quando un cliente entra in camerino, è più probabile che ne esca deciso a comprare quello che ha provato. Più l’esperienza nel camerino sarà soddisfacente, più il cliente vorrà sfruttare la possibilità di poter provare diversi capi. Il che, in fin dei conti, significa aumentare, da una parte, la possibilità di acquisto di più capi e, dall’altra, la fedeltà del cliente.

Marge Laney, CEO di Alert Tech, società di consulenza esperta di customer experience in ambito retail a Houston, Texas, ricorda che gli indicatori di performance di un negozio, oltre al totale delle vendite, sono il tasso di conversione dell’acquisto, il valore medio dell’acquisto individuale e il numero di referenze acquistate dal singolo cliente. Secondo Laney, i risultati sono determinati in larga parte dalla percentuale di ingressi nei camerini rispetto alla totalità di ingressi nel negozio e dal grado di coinvolgimento del personale di vendita nell’assistenza durante la prova.

È necessario quindi offrire ai propri clienti quella che negli Stati Uniti viene chiamata “total fitting room experience” che, ovviamente, deve essere in linea con l’interezza dell’esperienza che il brand offre.

Total fitting room experience

Una “fitting room experience totale” prevede due componenti fondamentali: una riguarda l’architettura e il design del camerino, e l’altra, appunto, il personale di vendita.

Nel primo caso, l’ambiente di prova deve essere coerente con l’ambiente di vendita. Deve essere pulito, luminoso, spazioso, deve avere dei begli specchi, tende o porte che assicurino una tranquilla privacy, appendini e punti di appoggio per i capi da provare e quelli che il cliente si toglie e, soprattutto, non deve implicare lunghe attese.

Nel secondo caso, il personale deve favorire e facilitare l’esperienza di prova. Se la probabilità di acquisto aumenta con la prova del capo, allora sono i commessi stessi che devono incoraggiare il cliente che si aggira fra gli scaffali a entrare nel camerino, rendendosi ovviamente disponibili e attenti a proporre una propria opinione, piuttosto che diverse taglie e colori dove ce ne fosse bisogno (un cliente che esce dal camerino per cercare un’altra taglia, sarà facile che tiri dritto verso l’uscita, per evitare la scomodità di dover affrontare una nuova coda o di doversi cambiare di nuovo).

Italian Customer Intelligence ti aiuta a progettare una customer experience superiore nei tuoi punti vendita, allineando tutti i touch point con i quali il cliente verrà in contatto. Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it.

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