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MOODART: LA FASHION SCHOOL CHE ISPIRA LA SVOLTA DEI SUOI STUDENTI

Elisa e MarikaLa storia di Moodart inizia qualche anno fa, in un ascensore dell’Università di Trento. E da uno sguardo incuriosito che due ragazze si sono scambiate quando ancora non si conoscevano. Elisa e Marika ne hanno fatta di strada da allora: dai progetti insieme in università, a esperienze separate ma sempre vicine (“anche se questo significava puntare la sveglia all’alba per fare chiamate Skype da sotto il piumone” – dicono), sempre con una cartina del mondo sottomano, fino alla decisione di fare qualcosa insieme.

Da una parte il desiderio di creare e costruire qualcosa di “davvero” suo (Elisa), dall’altra quello di libertà e indipendenza (Marika).

Da una parte la moda (Elisa), dall’altra la danza e l’arte (Marika). Nasce Moodart, la moda e l’arte, in “un ufficetto 2 metri per 2”, mica in un garage “come per le più famose band musicali” – continuano.

Oggi Moodart è una scuola con una location “very moodart” di 800 metri quadrati e forma studenti che aumentano ogni anno. Ragazzi e ragazze che vogliono lavorare nella moda: visual merchandising e store design, fashion event, fashion photography, fashion styling, fashion make up, image consulting, wedding planning… Ogni anno si aggiungono nuovi corsi (nella formula “Master”, “Post Diploma” o “Corsi Brevi”), in linea con le esigenze dei ragazzi e quelle del mercato: allo studio, per esempio, un corso per formare “professional” in Fashion Customer Experience.

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I ragazzi scelgono Moodart perché permette loro non solo di aggiornarsi sui temi che hanno a cuore, ma anche di fare pratica sul campo attraverso stage e workshop nelle migliori aziende del settore italiane e internazionali. Le aziende, d’altro canto, scelgono i ragazzi di Moodart perché si presentano con una marcia in più grazie al connubio tra formazione in classe ed esperienza di scenari globali che fa loro scoprire nuovi punti di vista, culture diverse e differenti realtà del mondo che ruota attorno al Fashion System. Ma quello che lega tutto sono proprio loro, la moda e l’arte, Elisa e Marika. Loro, che con la loro energia contagiano tutti: aziende, studenti, collaboratori, professionisti, partner e docenti. Loro, che hanno “partorito” la fashion school per dare una svolta alla loro vita e che promettono ai loro studenti di ispirarli perché anche loro trovino la loro svolta utilizzando proprio le occasioni offerte da Moodart. Loro, che il successo più grande è quello di riuscire nel sogno di stimolare la crescita professionale e umana dei loro ragazzi, aiutandoli a costruire qualcosa di proprio, all’insegna della libertà e dell’indipendenza. Esattamente come è stato per loro stesse.

FLYER UFFICIALE MOODART AND THE CITY-2A ottobre inizia il nuovo anno scolastico e Moodart lancia per la prima volta “Moodart & the City”, una “Temporary Fashion School in the heart of Verona”. Si tratta di una settimana ricca di mini corsi gratuiti, workshop, seminari, presentazioni, consulenze d’orientamento tenuti dai docenti di Moodart e da professionisti e personaggi illustri del settore all’interno di uno spazio nel centro storico della città di Romeo e Giulietta.

È l’occasione per studenti interessati, candidati potenziali ma anche solo curiosi di aggiornarsi sulle ultime novità in materia di professionalità nel mondo della moda, assaporando il gusto e il profumo di una scuola che ha un sapore internazionale: il sapore della svolta.

Per sapere di più sul programma della Temporary Fashion School, clicca sulla pagina Facebook dell’evento qui.

NORDSTROM, IL DIAMANTE PERDUTO E LA PROMESSA DEL MIGLIOR SERVIZIO POSSIBILE

nordstromLa storia di Nordstrom inizia nel lontano 1887, quando il sedicenne John W. Nordstrom lascia la sua casa in Svezia con il sogno di far fortuna negli Stati Uniti. La sua meta è New York, che raggiunge con 5 dollari in tasca e nessuna conoscenza della lingua inglese. Le cose sono difficili, e John gira diversi angoli degli Stati Uniti compiendo ogni tipo di lavoretto, fino alla decisione di recarsi in Alaska alla ricerca dell’oro. Lo trova e ne ricava ben 13.000 dollari che investe a Seattle dove, con un amico calzolaio, apre un negozio di scarpe, il Wallin & Nordstrom. Fin dall’inizio, l’approccio di John è quello di garantire ai suoi clienti selezione, qualità e valore con un servizio eccellente.

Negli anni successivi, i figli di John rilevano le quote della società, aprendo nuovi store e allargando il business all’intera gamma di abbigliamento. Nel 1970 l’azienda, che fattura 100 milioni di dollari di allora, assume il nome odierno. Oggi, la quarta generazione della famiglia Nordstrom conduce un’azienda che è diventata una catena di grande distribuzione di fashion (scarpe, abbigliamento e accessori) di respiro internazionale. Nel 2015 Nordstrom ha superato i 14 miliardi di fatturato.

nordstromQual è il segreto? Sta tutto nella promessa che Nordstrom fa ai suoi clienti e che si impegna quotidianamente a mantenere e realizzare. Fedeli al “sogno” del trisnonno, i suoi discendenti hanno così formalizzato il loro “committiment”, il loro impegno:

In store o online, ovunque ce ne sia l’opportunità, Nordstrom lavora senza sosta per offrire ai suoi clienti la shopping experience più convincente possibile. Unica costante? La filosofia fondatrice di John W. Nordstrom: offrire al cliente il miglior servizio, la migliore selezione, la migliore qualità e valore possibile”.

Una promessa davvero importante, ma che rimarrebbe tale se Nordstrom non facesse di tutto, “in store o online”, per mantenerla costantemente. La letteratura è piena di casi che dimostrano e ribadiscono l’instancabile lavoro che ogni dipendente dell’azienda compie in questa direzione, tanto che addirittura è stato redatto un manuale per il perfetto Customer Service sulla base del modus operandi di Nordstrom: “The Nordstrom Way to Customer Service Excellence”.

Vogliamo riportarvene uno in particolare, rimbalzato agli onori della cronaca come “La storia del diamante perduto”.

the nordstrom wayLa signora Shaw, dopo un giro di shopping, torna a casa accorgendosi di aver perso il diamante del suo anello di matrimonio. Preoccupata, torna nello store dove ripercorre gli angoli che aveva visitato, piegandosi sul pavimento alla ricerca del gioiello. Erik, Loss Prevention Manager dello store, vedendola, capito l’accaduto e constatato insieme a lei che l’anello sembrava scomparso, le promette che si occuperà personalmente della ricerca. Informato lo Store Manager, Erik chiede l’aiuto di due addetti alle pulizie che decidono di aprire i sacchi delle loro aspirapolveri per cercare il diamante che…salta fuori! Per la signora Shaw recuperare il gingillo al quale era tanto affezionata è stata la fine di un incubo. Ecco il suo commento all’accaduto:

“Non si è trattato di un semplice ‘Oh grazie Mrs Shaw per aver fatto shopping da Nordstrom’, ma di un ‘Ho fatto questo perché questo è quello che sono in quanto impiegato alla Nordstrom e valorizzo lei in quanto cliente di Nordstrom’. A Nordstrom ogni dipendente, non importa quale ruolo ricopra, lavora per fare la differenza nell’esperienza dei propri clienti, ciascuno dà il meglio di sé. Sempre”.

Insomma, fare una promessa ai propri clienti, avere un obiettivo, una mission o un committment verso di loro è importante per stabilire le aspettative con le quali loro si approcceranno all’azienda. E, sulla base di quelle, decideranno se l’esperienza che hanno vissuto è stata soddisfacente o meno. Come si può convincerli? Facendo in modo che tutti i propri dipendenti siano a conoscenza delle promesse di cui sono portatori, che le condividano e che lavorino in modo coerente tra loro e con quelle stesse promesse.

Più facile a dirsi che a farsi… Ma un modo c’è e Italian Customer Intelligence ti aiuta proprio in questo!

ABERCROMBIE & FITCH E IL CLIENTE AL CENTRO

abercrombie logoAbercrombie & Fitch è un marchio di abbigliamento americano. Fondato a New York nel 1892, nel 1988 viene ceduto alla Limited, altro marchio di abbigliamento, ma il successo non arriva prima del 1992. Nel 1996 arriva la quotazione in borsa e nei successivi quindici anni passa da 125 a più di 930 negozi in tutto il mondo (l’80% negli Stati Uniti). Abercrombie è famoso per i suoi vestiti attillati e le taglie piccole, i vistosi loghi, l’illuminazione molto particolare e il profumo travolgente dei suoi negozi e i suoi bellissimi commessi che accolgono e intrattengono i clienti con seducenti sorrisi.

Nel primo decennio del 2000 Abercrombie ha molto successo e le campagne pubblicitarie entrano irruenti nella vita degli adolescenti di tutto il mondo che arrivano a fare file lunghe ore per poter accedere allo store del loro marchio preferito.

Il tempo passa e Abercrombie, forse a causa della crisi, forse perché ormai è passata di moda, si vede costretta a chiudere oltre 340 negozi in sei anni.

Negli ultimi mesi, però, Abercrombie ha deciso di prendere la situazione di petto e la soluzione per rivitalizzare e guadagnare fedeltà al Brand da parte dei suoi clienti è una nuova “cliente-centricità”.

Jonathan Ramsde, Chief Operating Officer dell’azienda, commentando i primi risultati incoraggianti dell’ultimo quarto del 2015 dal 2012, spiega: “Cliente-centricità per noi significa mettere il cliente al centro di tutto quello che facciamo”.

Ma che cosa significa, esattamente, essere cliente-centrici per Abercrombie? Lo stesso Ramsde spiega:

abercrombie interior“Durante il 2015 abbiamo apportato diversi cambiamenti per migliorare la shopping experience in termini di facilità, velocità e gradevolezza. Abbiamo rivisto la formazione degli Store Manager e dato loro più autonomia perché possano essere più preparati e veloci nel rispondere alle esigenze del cliente. Abbiamo migliorato la nostra illuminazione e il sistema di coda in cassa. (…) Dal lato digitale, abbiamo investito molto sull’omincanalità per rendere l’esperienza dei nostri clienti più coerente. Abbiamo migliorato il nostro sito web e le nostre app, tanto che il 60% del traffico online ci arriva dal mobile e i nostri tassi di conversione stanno crescendo. Stiamo anche rivedendo le nostre policy ecommerce, consentendo l’ordine online e il ritiro in negozio e ottimizzando le possibilità e le procedure di reso”.

Gli fa eco Joanne Crevoiserat, Executive Vice President: “Abbiamo fatto l’enorme sforzo di mappare e sintetizzare i valori e l’identità dei nostri brand. Ora stiamo lavorando sulle strategie di comunicazione legate al posizionamento di ciascuno. Ci aspettiamo di poter fare questo lavoro anche per tutti i nostri prodotti, l’esperienza in negozio, online e attraverso tutto il nostro marketing. C’è ancora molto lavoro da fare e siamo sicuri che la situazione rimarrà molto impegnativa, ma, andando avanti, questo focus sul cliente rimane centrale per la nostra strategia. Ci stiamo rialzando, ma stiamo ancora imparando e la strada è lunga”.

Come ci piace ripetere spesso, la Customer Experience è un viaggio, non una destinazione!

IL MADE IN ITALY (RI)TORNA IN AMERICA

Gli Stati Uniti sono in ripresa e tornano ad essere uno dei primi mercati di interesse per l’export Made in Italy. Gli ultimi dati sono decisamente incoraggianti e il momento favorevole del cambio euro/dollaro stimola ulteriormente l’interesse per il mercato a stelle e strisce.

Bruno Montesano, CEO di Nuove Sales (www.nuovesales.com), società di business development che da anni guida e accompagna le aziende italiane che vogliono entrare in USA, partner di Italian Customer Intelligence (www.italiancustomerintelligence.it), spiega che gli argomenti convincenti del prodotto Made in Italy sono la sua indiscussa e sempre molto apprezzata eccellenza qualitativa e la propensione tutta italiana alla customizzazione.

Gli Stati Uniti sono un mercato estremamente maturo, anche se la produzione “bella e ben fatta” dello Stivale è sempre molto appetitosa. Alcuni numeri: il settore moda (abbigliamento e pelle) l’anno scorso ha registrato 3 miliardi di euro di export, con un aumento dei valori del 10% soltanto in Dicembre; stesso importo per le esportazioni alimentari e di vino (equivalente al 10% del valore dell’export del settore), con un aumento a Dicembre dell’11,6%; 680 milioni di euro in mobili made in Italy sono arrivati nel 2014 in Usa (quasi l’8% dell’export totale del settore); il settore della meccanica a componentistica vede l’8,5% delle sue esportazioni dirette a Washington ed è quello che più si presta ad acquisizioni da parte di aziende americane; il calo dell’euro è significativo soprattutto per il settore dell’automotive che destina il 14% della sua produzione in uscita proprio agli Usa. Inoltre, il valore dell’Italian Sounding sul mercato statunitense è arrivato a 24 miliardi di euro nel solo 2014 (clicca qui per saperne di più).

Insomma, gli americani ci apprezzano, e questa non è una novità (leggi qui). Quello che c’è di nuovo è che è il momento giusto per l’Italia di rinnovare il suo interesse vero il mercato degli Stati Uniti, seguendo però un percorso che deve essere fatto con oculatezza, quasi a step graduali, sia dal punto di vista dell’impegno operativo che da quello economico, perché di difficoltà che si possono incontrare sul proprio percorso ce ne sono, a partire dal gap culturale che c’è tra il modello di business in Italia e in America, fino all’alta aspettativa sul servizio postvendita propria di un Paese che considera il cliente un vero e proprio ente giuridico con il quale “stipula un contratto” ad ogni occasione di vendita.

bruno montesanoClicca qui per vedere un’anteprima dell’intervento di Bruno Montesano al convegno “Progetto Speciale USA” di Federlegno Arredo: consigli e dritte su come affrontare un piano di marketing e come impostare la penetrazione commerciale della propria azienda per valutare seriamente la sua entrata nel mercato americano.

Voi state pensando di imbarcarvi in un viaggio, un’avventura e un’impresa che è importante non solo perché può incidere in modo positivo e significativo sul fatturato della vostra azienda nei prossimi anni, ma anche perché, se è impostata e gestita in modo incorretto, può essere fonte di gravi frustrazioni, insuccessi o addirittura perdite significative che sono ancora molto più gravi della mancanza di acquisizione di nuovi fatturati. Prima di partire per un viaggio e imbarcarsi in un’avventura bisogna sapere dove si va, capire come si fa ad arrivare dove si vuole andare e bisogna attrezzarsi per superare le difficoltà che inevitabilmente si incontreranno”.

B.Montesano

Per vedere il video integrale scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

LA DIGITAL BOUTIQUE: IL FUTURO È GIÀ QUI

Quando moda e tecnologia si incontrano, non può che nascere un prodotto innovativo e rivoluzionario.

DS Group, società di consulenza italiana specializzata nel creare e sviluppare progetti e soluzioni altamente tecnologiche al servizio del retail ha lanciato la Digital Boutique, il suo fiore all’occhiello, nata dalla collaborazione della società con partner strategici come Samsung, Microsoft, Intel e Sap.

Che cos’è la Digital Boutique?

La Digital Boutique è un luogo fisico in cui alta moda, tecnologia e Ddsign convivono per proporre ai clienti un percorso fisico ed emozionale all’interno dello store.

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Ma partiamo dalle origini: l’idea nasce dalla semplice, ma non banale domanda: quanti retailer utilizzano device come tablet o altro per assistere i propri clienti nella scelta di un capo di abbigliamento?
Romeo Quartiero, CEO e fondatore di DS Group si è posto una domanda le cui fondamenta consistono proprio nell’ABC della customer experience, ossia: Cosa sto offrendo al cliente? Cosa si aspetta il cliente da me? Come sto rispondendo alle sue esigenze?

Poiché dagli studi e dalle analisi da lui effettuate è giunto alla conclusione che la vendita negli store è sì assistita ma poco supportata dalla tecnologia, ecco allora che Quartiero pone la base della sua strategia: portare all’interno dei negozi il digitale, inteso come tutte le tecnologie dedicate al fashion, che possano aiutare sensibilmente il cliente nell’acquisto e di conseguenza trasformare l’esperienza d’acquisto.

Che fare quindi? “I prodotti hanno una storia che deve essere raccontata nello store (clicca qui per approfondire) ed è necessario ricreare il grande cerimoniale della vendita, portando il cliente al centro di un percorso che va dalla digital signage, al pagamento elettronico, alla musica”. Quartiero ricrea il negozio ideale sia per il cliente che viene messo al centro di tutto il processo di acquisto e a cui viene garantita una customer experience davvero superiore, sia per il brand che può così conoscere finalmente il consumatore e creare una relazione diretta con lui.

Digital Boutique e touchpoint

La Digital Boutique coinvolge il cliente durante tutti i touchpoint all’interno dello store

  • Store Analytics and Virtual Check-In”: attraverso l’utilizzo di videocamere, beacons e altre tecniche di rilevazione si riesce a mappare gli ingressi del cliente e la durata di permanenza dello stesso all’interno dello store, sia a misurare il numero dei passanti davanti alla vetrina durante tutta la giornata
  • Interactive Digital Signage”: grazie alla prima rilevazione, vengono trasmessi tramite un grande schermo dei contenuti personalizzati, proponendo a esempio outfit diversi a seconda del sesso ed dell’età del cliente
  • Smart Dressing Room”: un camerino ipertecnologico che effettua la rilevazione dei capi da provare tramite il cartellino, consentendo al brand di effettuare statistiche tra ciò che viene provato dal cliente e ciò che viene acquistato, potendo così non solo profilare le sue preferenze, ma grazie a uno specchio touch screen, può raccogliere un suo feedback diretto sugli abiti e proporre eventualmente altri capi o un outfit diverso.
  • Mobile payment”: dispositivi mobile che permettono il pagamento tramite Mobile Pos, eliminando la cassa (Apple docet) e con essa eventuali code e fastidiose attese. Genialità 2.0!

This is the same shoes!Nella Digital Boutique tutto è in funzione del cliente: non solo si garantisce un’esperienza davvero superlativa, ma avendo la possibilità di mappare e tracciare ogni fase dell’acquisto nello store, il brand può ottenere dati fondamentali per strutturare strategie e attività volte a garantire una customer experience superiore alle aspettative del cliente in tutte le tappe del suo viaggio.

La tecnologia ancora una volta si dimostra come il fattore determinate per la trasformazione del paradigma delle logiche di mercato legate al mondo retail, sempre di più volte al coinvolgimento del cliente e ad “alleggerire” gli addetti alla vendita da alcuni servizi, in favore di una concentrazione e dedizione totale all’esperienza delle persone sempre più unica e personalizzata, potendo così garantire vantaggi e percorsi emozionali fino a qualche anno fa impensabili.

VOLA IL FASHION ITALIANO

Una sana competizione fra i vari comparti del Sistema Moda Italia: borse e scarpe si contendono con l’abbigliamento le quote più alte di export.

legs and shoesSecondo uno studio di Intesa Sanpaolo, nello scorso mese di ottobre la gara è stata vinta, anche se di poco, dalla filiera della pelle, con 1.635 milioni di euro di esportazioni contro i 1.521 milioni di euro del settore tessile/abbigliamento. Una competizione che fa bene a entrambi, comunque: i primi hanno visto una aumento dell’export del 3,4% mentre i secondi del 2,4%. E una competizione che fa bene a tutto il fashion Made in Italy, che a ottobre ha raggiunto quota 39.600 milioni di euro di export dall’inizio dell’anno, con una crescita del 4,1% rispetto l’anno precedente.

I mercati di sbocco sono i soliti noti: Francia, Germania e i cosiddetti “Eda” (Thailandia, Malesia, Taiwan, Hong Kong , Singapore e Corea) salgono sul podio, continuando i loro acquisti italiani secondo trend positivi, anche se leggermente rallentati. Subito seguiti da Svizzera e Stati Uniti che, invece, aumentano sempre molto significativamente, rispettivamente del 7,6% e del 9,1% nei primi dieci mesi dell’anno appena concluso.

Complice anche la sempre più decisa ripresa economica americana, di fatto, gli USA rimangono uno dei mercati più sbocco interessanti per tutto il Made in Italy, che a metà anno aveva già registrato una crescita del 6% rispetto all’anno precedente, con previsioni entro la fine dell’anno di esportazioni fino a un valore di 28,7 miliardi di euro.

Per questo Italian Customer Intelligence ha trovato il modo di avvicinare ulteriormente Milano e New York, attraverso l’efficace servizio di Instant Market (clicca qui per approfondire il servizio), che permette di scattare chiari e precisi snapshot sul mercato statunitense attraverso veloci e dinamiche interviste a esperti del settore di riferimento, pronti a rispondere a quesiti strategico commerciali per verificare se un’idea commerciale, un prodotto, un modello di vendita hanno il giusto appeal e una possibilità di successo negli States.

Per maggiori informazioni sul servizio, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

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