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Era del cliente - page 3

11+1 RAGIONI PER COSTRUIRE UN CUSTOMER EXPERIENCE OFFICE

1) La Customer Experience vi fa superare la crisi.

2) Di chi è il cliente?

3) Ci vuole metodo.

4) Dall’orientamento al Cliente a mettere il Cliente al centro.

5) Il protagonista e la risorsa della Customer Experience.

6) Customer Experience e Net Promoter Score.

7) Customer Experience e riduzione della complessità aziendale.

8) Una cultura solida.

9) Dati, Big Data, CRM, …

10) Fedeltà e tradimenti.

11) Service, call Center e dintorni.

11+1) L’Era del Cliente.

 

Scopri di più nei prossimi giorni!

Per informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

È VENERDÌ, QUANTO ABBIAMO LAVORATO PER IL CLIENTE? /3

Nell’Era del Cliente non si può pensare al cliente e lavorare per lui come fosse parte di un cluster che identifica parametri comuni a un gruppo, per lo più di tipo demografico e sociologico.

Questo approccio è tipico dell’Era precedente a quella del Cliente, cioè quella dell’Informazione o del Marketing, dove vigeva un approccio inside- out, ovvero dall’interno dell’azienda verso l’esterno, ovvero verso il cliente. Nella “Age of the Customer”, lavorare per il cliente significa portare valore alla sua esperienza concreta in ogni tipo di interazione col brand.

Per non essere di nuovo generici, col termine “esperienza concreta” intendiamo il valore che una attività/idea/decisione aziendale porta alla soddisfazione del bisogno/desiderio del cliente finale, alla facilità della sua interazione con la nostra azienda, alla piacevolezza dell’esperienza in ogni “touch point” per il quale si lavora.

In una parola, al termine della settimana possiamo valutare quanto “Outside In” è stata ciascuna delle nostre attività.

Un efficace tool messo a punto da Italian Customer Intelligence guida a queste importanti osservazioni.

Chi obiettasse che la sua azienda non lavora per il cliente finale ma è B to B, potrebbe leggere l’articolo “Ancora su di chi è il cliente?” (leggi qui).

IDENTIKIT DEL CLIENTE DEL 2020

In the Age of the Customer, Executives don’t decide how customer-centric their companies are. Customers do.

Forrester Research

Insomma, il cliente è al centro dell’azienda anche sulle decisioni riguardo identità, mission e valori del brand. È lui che stabilisce se un’azienda è davvero Outside In, se davvero si sente portato al centro del suo intero ecosistema aziendale.

Come illustra il report “Navigate the Future of Customer Service in 2014” della Forrester Research, i consumatori sono sempre più insoddisfatti da un mercato che offre loro inconsistenti esperienze “cross-channel”, customer service reattivi e non proattivi, processi di engagement ancora troppo standardizzati e interazioni inefficienti.

Ma attenzione, perché nel 2020 la customer experience diventerà ancora più significativamente la chiave di differenziazione dei brand, distaccando ulteriormente i fattori “prodotto” e “prezzo”.

“Customers 2020 – The Future of B-to-B Customer Experience” – Walker

Il report “Customers 2020 – The Future of B-to-B Customer Experience” della Walker (www.walkerinfo.com) traccia un identikit ben preciso di come sarà il cliente tra cinque anni, sottolineando che sarà proprio lui a dettare le regole dell’esperienza che deve essergli offerta.

Innanzitutto, richiederà personalizzazione, aspettandosi non solo che l’azienda lo conosca individualmente, ma anche – viceversa – di poter conoscere intimamente il brand.

In secondo luogo, verrà richiesta sempre più velocità. Soluzioni immediate a bisogni e desideri presenti e futuri non saranno più abbastanza rapide perché il cliente si aspetterà che l’azienda stessa sia in grado di anticiparli e di agire di conseguenza.

Inoltre, con l’esplosione dei mezzi e dei canali di comunicazione, ciascun cliente vorrà poter interagire con l’azienda nella modalità che più gli è comoda. Questo comporta per l’azienda di essere presente su diverse piattaforme e di offrire su ciascuna di queste un’eccellente – e unificata – customer experience.

Ovviamente, le aziende devono adattarsi al nuovo identikit del cliente, altrimenti rischieranno di fallire.

Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it per scoprire come adattare la tua azienda alle esigenze del consumatore nell’Era del Cliente e offrirgli così una customer experience superiore.

SLEEPING EXPERIENCE

Consorzio Materassi“Per noi del Consorzio la cosa più importante è dare supporto al consumatore”: la mission del Consorzio Produttori Italiani Materassi di Qualità (www.consorzio-materassi.it) è quella di aiutare e accompagnare il consumatore nella scelta del materasso “giusto”, attraverso la diffusione della cultura del “dormire bene”.

Da qui, la nascita di un marchio di Qualità – depositato a livello internazionale – che certifica l’origine, la natura e la qualità del prodotto materasso, che è “progettato sulla base di approfonditi studi di ergonomia applicata” e prodotto secondo normative vigenti nazionalmente e internazionalmente.

Per perseguire la propria missione, il Consorzio si avvale della collaborazione di un tanto nutrito quando eterogeneo team di collaboratori, esperti e professionisti (medici, professori, tecnici, ingegneri), dedito alla ricerca, all’informazione e alla promozione, con il fine ultimo, appunto, di guidare il consumatore nella ricerca e nella scelta del materasso che gli assicuri sogni d’oro.

Sì, perché, se dormire bene è fondamentale per la salute (come illustra nel dettaglio con tanto di consigli a 360° la guida stilata dal Consorzio in collaborazione con l’Associazione Italiana Medicina del Sonno), è anche vero che “il buon sonno comincia dal materasso”. Una ricerca effettuata presso il Centro Ospedaliero di Montpellier su un gruppo di “cattivi dormitori” ha dimostrato la differenza della qualità del sonno su un materasso usato da diversi anni e su un materasso nuovo e di qualità. I risultati sono sorprendenti: chi dorme su un materasso nuovo si addormenta prima e si sveglia più tardi, riposando un’ora in più rispetto a chi ha un materasso usurato dal tempo.

Attraverso il suo blog, il Consorzio diffonde così una corretta informazione (e formazione) tecnica sul prodotto e sui suoi standard di sicurezza, ma anche suggerimenti e indicazioni di salute e benessere che “conciliano il sonno”. Per esempio, sapevate che nella fascia di età tra i 26 e i 64 anni dormire meno di 6 ore e più di 10 è assolutamente da evitare? Come è estremamente sconsigliabile fare docce o bagni caldi piuttosto che fare attività fisica di intensità medio-alta appena prima di coricarsi?

Infine, il Consorzio Produttori Italiani di Materassi di Qualità si propone come “interfaccia” efficace ed efficiente tra le aziende produttrici (vedi qui chi sono), i punti vendita e il mercato, assicurando così quel riavvicinamento tra produzione, retail e cliente finale proprio dell’Era del Cliente. Il risultato, è facile immaginarlo, sarà un consumatore che vedrà le sue aspettative pienamente soddisfatte da una “Sleeping Experience” davvero superiore.

IL CONSORZIO DELLA MODA DI VERONA NELL’ERA DEL CLIENTE

Il Consorzio della Moda di Verona è nato 15 anni fa nel basso Garda, radunando imprese del comparto abbigliamento dell’area veronese. In poco tempo il raggio d’azione del Consorzio si è allargato, fino a raggiungere la Lombardia e l’Emilia-Romagna, in una fitta e ben strutturata rete di aziende coinvolte a tutti i livelli della filiera della moda. Sono aziende manifatturiere con diverse specializzazioni e competenze, dal design alla modellistica, fino alla produzione vera e propria e alla confezione di quei capi, frutto della più eccellente tradizione italiana, che verranno distribuiti in tutto il mondo.

In un frizzante incontro con il suo direttivo, nelle persone, fra gli altri, del presidente Martinelli e del vice presidente Rossi, tanti sono stati i punti di contatto che Italian Customer Intelligence (www.italiancustomerintelligence.it) ha potuto riscontrare con il consorzio.

Le opportunità, per le aziende produttrici, che nell’Era del Cliente derivano da una conoscenza più approfondita e intelligente del cliente sono state al centro di una fervida discussione che ha visto coinvolto, insieme a Mario Sala, partner di Praxis Management e ideatore del brand Italian Customer Intelligence, anche Luca Castagnetti, socio fondatore di Studio Impresa (leggi qui).

La Forrester Research, società di ricerca indipendente americana quotata in borsa (Forr), “relega” l’Era della Produzione ormai a inizio secolo scorso, quando il mercato era in mano a chi aveva la struttura e la capacità produttiva. Ora, a distanza di più di mezzo secolo dalla fine di quell’epoca, l’Era del Cliente si rivela l’occasione per le imprese manifatturiere di aprire a nuovi progetti di sviluppo, a patto, ovviamente, di “adempiere” a una conoscenza del cliente che lo metta al centro di tutto l’ecosistema aziendale.

Concordano il Consorzio della Moda di Verona e Italian Customer Intelligence, trovando nell’e-commerce lo strumento più efficace ed efficiente per conoscere il cliente, proprio mentre si vende. Attraverso le profilazioni dei clienti che ne derivano, infatti, i produttori saranno in grado di orientare la produzione e di dare un nuovo slancio alla struttura organizzativa dell’azienda.

Il Consorzio incontrerà presto nuovamente Italian Customer Intelligence per continuare l’interessante dialogo sui temi della customer experience, della conoscenza del cliente e dell’e-commerce. È allo studio un seminario proprio su queste tematiche per tutte le imprese del distretto.

L’ERA DEL CLIENTE

Siamo nell’Era del Cliente (clicca qui) e, fino a che non sviluppate un influente Customer Experience Office alle dirette dipendenze della Direzione Generale o dell’imprenditore, la customer experience rimarrà un banale argomento di marketing per vendere di più, mentre il vostro cliente sarà già altrove data l’ampia scelta che ha e che avrà sempre di più..

Per conoscere le altre ragioni per aprire un ufficio della Customer Experience clicca qui.

Per maggiori informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI! ALMENO IN NOME DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

La peggiore delle customer experience è quando si trova chiuso!  Il messaggio è chiaro: “Torna quando ti è comodo, ma non in pausa pranzo o dopo le 19, ché la cena si avvicina”. Zero experience, quindi!

Anche gli esercizi commerciali son fatti da gente che lavora, che ha diritto alla pausa pranzo e di smettere il lavoro all’imbrunire. Proprio come il cliente che lavora e che può andare a comprare e vivere la sua esperienza di acquisto, guarda caso, solo in pausa pranzo o dopo il suo lavoro.

Così si taglia alla radice uno dei “must” della customer experience: rendere “facile” l’esperienza col brand (oltre che offrirla piacevole e davvero corrispondente al bisogno del cliente).

Si tiene chiuso: più facile di così! Ecco allora che vediamo brand che investono cifre da capogiro per rendere efficiente l’assistenza al cliente, che fanno investimenti considerevoli in logistica perché i propri scaffali siano carichi e assortiti nei negozi, uffici del prodotto che sviluppano ricerche per offrire novità e battere la concorrenza… Ma per i rivenditori tutte queste cose non valgono l’apertura in pausa pranzo o dopo le 19 per i clienti che lavorano.

Tranne poi farsi forti coi brand dicendo “Il cliente è del mio punto vendita e viene perché ci sono io e non per il tuo brand!” (Almeno dovrebbero precisare che viene “quando ci sono io“).

Oppure ci si lamenta che i centri commerciali starebbero distruggendo gli esercizi di vicinato con le loro aperture “selvagge” (in pausa pranzo e la sera). Dire “Il cliente è mio e non del brand che espongo”, giudicare “selvagge e sleali” le aperture dei centri commerciali sono le dichiarazioni di chi proprio non vuole entrare nell’Era del Cliente e si appresta a uscire dal mercato (dando, naturalmente, colpa alla crisi).

Ma chiudere durante la pausa pranzo o all’imbrunire, prima che una scelta “comoda”, è una scelta poco furba: è esattamente la gente che ha un lavoro quella che ha soldi in mano e proprio a costoro si chiude la saracinesca in faccia. Per non parlare delle corse che si fanno chiedendo al proprio capo di anticipare la pausa pranzo per fare un acquisto improrogabile (e sopportando il relativo mugugno) per raggiungere quel negozio prima della chiusura delle 13. Ma già alle 12.50 si trova la porta chiusa e si vedono gli addetti vendita che, mentre ilari conversano fra di loro, fanno ampi gesti al cliente deluso col naso sul vetro, indicando con la mano il “no” più ampio e ineluttabile.

Ecco che così si trova un autonoleggio a Rimini che chiude dalle 13 alle 15.30, una delle migliori farmacie omeopatiche lombarde che tiene chiuso il sabato, il punto vendita in franchising di uno splendido brand del fast fashion che, in Sicilia, chiude dalle 12.30 alle 16.30, lo show room per interni alla moda che nella frenetica Milano ferma sia in pausa pranzo sia davvero presto alla sera… e questo elenco potrebbe essere quasi interminabile!

“Ma il personale costa e tenere aperto in pausa pranzo o fino alle 20 non ne vale la pena per gli incassi che si fanno…”

Infatti gli incassi scenderanno sempre di più con questa mentalità, perché il cliente va altrove. A esempio, nel punto vendita dell’incredulo commerciante marchigiano che confessa di aver incassato il 20% in più tenendo aperto in pausa pranzo anche dopo aver terminato il periodo dei saldi.

Lavoratori di tutto il mondo unitevi!“, così termina il Manifesto di Karl Marx e Friedrich Engels. Almeno per far tenere aperti gli esercizi commerciali in pausa pranzo e un po’ di più alla sera. E prima di far diventare certi commercianti ex-lavoratori.

È QUESTIONE DI SGUARDI

Perpetuarsi nel racconto di sé fa dimenticare o disprezzare ciò che attorno si modifica.

(Patrizia Misciattelli delle Ripe)

 

Ecco un ostacolo che, così argutamente, coglie Patrizia Misciattelli, riferendolo soprattutto alle aziende storiche e ai suoi protagonisti.

Un ostacolo, anche, ad accettare che siamo davvero entrati nell’Era del Cliente (clicca qui)

Quali sono i PROFITTI DELLA CUSTOMER EXPERIENCE?

Sì, puntare e investire sulla Customer Experience nell’Era del Cliente è davvero decisivo. I dati riportati da Italian Customer Intelligence durante il meeting Outside In Telligence dello scorso novembre (clicca qui per sapere di più sull’incontro) sono chiari: l’81% dei consumatori è disposto a pagare di più in cambio di una customer experience superiore, il 70% dei consumatori non acquista più presso un’azienda con la quale non ha sperimentato una customer experience soddisfacente e il 64% dei consumatori insoddisfatti si rivolgono successivamente ad un competitor.

D’altra parte, offrire una customer experience superiore ha un collegamento diretto a parametri ben precisi che definiscono un interessante ritorno economico per l’azienda: la frequenza d’acquisto, lo scontrino medio e la quotazione in borsa.

Su questa base, la Harvard Business Review riporta una ricerca che ha voluto indagare dei metodi per quantificare l’effettivo impatto della customer experience sull’andamento aziendale.

I dati della Harvard Business Review

Partendo da aziende con due modelli di revenue diversi, uno basato sulle transazioni e uno sulle iscrizioni, il criterio di analisi del ritorno è stato uno comune, valido e oggettivo per tutte le aziende: il feedback dei consumatori e la spesa futura per ogni cliente.

Le aziende “transaction-based” sono interessate a un ritorno in termini di frequenza e di spesa per visita, mentre quelle “subscription-based” sono più focalizzate sulla retention, il cross-selling e l’up-selling.

Il risultato è stato sorprendente: al netto di tutte le altre variabili che hanno, nei due casi, potuto influenzare positivamente un ritorno (come la necessità oggettiva di acquistare un determinato prodotto con una certa frequenza), è chiaro che una customer experience superiore è un fattore determinante nel generare profitti.

Nel primo caso, infatti, i clienti che hanno giudicato la loro customer experience passata ottima, hanno successivamente speso ben il 140% in più dei clienti che hanno giudicato la loro customer experience povera.

Nel secondo caso, invece, che misura il ritorno sulla base della fedeltà, si è rilevato che i clienti che hanno sperimentato una customer experience non soddisfacente hanno soltanto il 43% di probabilità di rinnovare la loro iscrizione all’anno successivo, mentre chi ha ottenuto un’ottima customer experience raggiunge il 74% di possibilità di rimanere.

Non solo: coloro che hanno dato un basso punteggio alla loro customer experience, e che hanno ugualmente rinnovato la loro iscrizione, sono rimasti per un solo anno in più. Al contrario di chi ha sperimentato una customer experience superiore che, non solo è rimasto, ma in media ha rinnovato il suo abbonamento per sei anni consecutivi.

Senza dimenticare, poi, che una customer experience superiore non solo porta a interessanti guadagni, ma riduce anche la spesa di costosi tentativi di riparare a sistematiche problematiche di clienti insoddisfatti che molto probabilmente non torneranno comunque a fare affari con la nostra azienda.

L’ERA DEL CLIENTE, OVVERO IL RITORNO ALL’INIZIO

"Competitive strategy in the Age of the Customer" Forrester Report

Questa slide della Forrester  ha fatto davvero il giro del mondo.

Dal 2011 è iniziata una nuova Era, dalle dinamiche ancora non perfettamente conosciute. Certamente, mai come oggi il cliente ha avuto tanto potere: di scelta, di comparazione, di critica, di traino del consenso o del dissenso.

Se, fino al 1960, chi aveva in mano la produzione possedeva le chiavi del successo, e, poi, con le opportunità offerte dalla globalizzazione, le parole d’ordine sono state distribuzione, capillarità, retail, internazionalità, ora anche l’Era dell’informazione, del marketing, della capacità di presentare in modo fantastico la nostra offerta è terminata.

Ora, infatti, vince non chi “è orientato al cliente” (chè, già dicendo “orientamento”, si denuncia una partenza da un luogo diverso da quello del cliente), ma chi porta all’interno del proprio ecosistema aziendale non semplicemente la “visione” del cliente, ma proprio l’esperienza concreta che egli vive, secondo un approccio chiamato “Outside In”, dall’esterno all’interno.

Ma, allora, “produzione”, “distribuzione”, “informazione” non sono solo Ere precedenti, ma anche parti aziendali nelle quali, davvero, mettere al centro l’esperienza del cliente. In primis nella produzione. Il riavvicinamento fra produzione e cliente finale fa tornare all’inizio, all’entusiasmo di tante imprese del Made in Italy che hanno lasciato a bocca aperta tutto il pianeta.

 Il cliente al centro, quindi, a partire dalla produzione!

 

Per avere più informazioni sull’approccio “Outside In” scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

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