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IL CLIENTE AL CENTRO CON IL CUSTOMER ADVISORY BOARD

Alcune delle più grandi aziende a livello globale (tra le altre, Oracle, Wells Fargo, Adobe, Cisco, IBM, Intel, AT&T) utilizzano una modalità ben precisa per parlare con i propri clienti, facilmente replicabile anche in aziende più piccole, sia B2B che B2C. Si tratta di uno strumento solitamente utilizzato all’interno dei Customer Experience Office (approfondisci qui): si chiama “Customer Advisory Board” (CAB), una riunione, regolare o straordinaria, che coinvolge un ristretto gruppo di clienti influenti nella creazione della strategia aziendale. Gli argomenti possono riguardare specifici prodotti o l’esperienza generale vissuta con il brand o l’azienda.

Si tratta di veri e propri focus group che – se ben strutturati – danno all’azienda una grandissima opportunità di ascolto delle esigenze, dei suggerimenti e delle critiche dei clienti più affezionati.

Nell’Era del Cliente e della Customer Experience, dove diventa imperativo non più considerare il cliente secondo generici cluster, ma avere come primo obiettivo la sua esperienza concreta con l’azienda o con il brand, diventa fondamentale costruire relazioni sempre più profonde con i clienti.

Tra le altre opportunità di istituire all’interno della propria azienda e del proprio Customer Experience Office un Customer Advisory Board, ricordiamo:

  • Ricevere avvisi tempestivi circa i cambiamenti delle esigenze dei clienti o su opportunità;
  • Ricevere feedback sullo sviluppo di nuovi prodotti o servizi;
  • Ridurre situazioni di insoddisfazione del cliente legati a eventi straordinari;
  • Effettuare attività di intelligence su tattiche e strategie dei competitor.

Un Customer Advisory Board permette – da una parte – di far sentire il cliente parte integrante e attiva dell’azienda o del brand con il quale fa (così volentieri!) affari. Dall’altra, permette all’azienda di avere un quadro più completo e dettagliato della voce dei suoi clienti, integrando i freddi – anche se sempre utili – feedback arrivati da blog, email, social media o interviste.

Insomma, una soluzione estremamente efficiente per restare con i piedi ben saldi nell’Era del Cliente!

SKY ITALIA: 4,7 MILIONI DI CLIENTI AL CENTRO CON IL NET PROMOTER SCORE

skylogoÈ il Net Promoter Score lo strumento di monitoraggio della Customer Experience utilizzato da Sky Italia, la piattaforma satellitare nata nel 2003 dalla fusione di Stream e Telepiù.

Da quando, a cavallo tra il 2011 e il 2012, Sky avverte la necessità di seguire e conoscere sempre di più i propri abbonati, il Net Promoter Score, l’indice internazionalmente riconosciuto che misura il tasso di passaparola positivo che un brand è in grado di generare, è diventato il mezzo per ascoltare la voce del cliente.

Monitorare costantemente l’andamento del NPS sia a livello relazionale che transazionale (ossia dopo una specifica interazione tra l’azienda e il cliente, come per esempio una chiamata al call center), consente a Sky di misurare la Customer Experience  e di agire su specifiche aree per migliorare costantemente il servizio lungo tutto il viaggio del cliente.

Viaggio del cliente che è sapientemente mappato dalla Direzione Customer Experience dell’azienda che valuta i suoi obiettivi rispetto a quelle che sono le aspettative del cliente, soprattutto in quei touchpoint che sono considerati strategici per il business, come, per esempio, il Customer Care e i servizi di installazione e post vendita.

Report, presentazioni, progetti, focal point nelle varie Direzioni aziendali e meeting di Governance sono l’occasione per condividere con tutto l’ecosistema i risultati di ogni singolo dipartimento e per ricordare che tutti, indipendentemente dal ruolo e dal contatto diretto con il cliente, sono coinvolti e partecipi nella progettazione dell’esperienza degli oltre 4,7 milioni di abbonati.

fattura skyIn questo senso, Martina Sammaria, Customer Experience Specialist dell’azienda, ci racconta di come un minisito intranet e una newsletter aziendale tengano aggiornati tutti i dipendenti sull’andamento del Net Promoter Score, sugli sviluppi nella mappatura del viaggio del cliente e su iniziative reali e concrete che le singole Direzioni mettono in atto in ottica cliente-centrica. Un esempio su tutti, il progetto che ha visto la collaborazione delle direzioni Finance, Marketing & Sales e Customer Care e che ha permesso di semplificare la lettura della fattura: un motore di ricerca permette di comprendere il significato delle principali voci fatturate ed è stato creato inoltre un leaflet dedicato ai nuovi clienti, recapitato a casa insieme alla prima fattura, per spiegare loro nel dettaglio come leggere le fatture Sky. E se questo ancora non basta, un video-tutorial accessibile dalla sezione Assistenza di Sky.it fornisce indicazioni chiare e precise per non perdere nessun dettaglio o informazione amministrativa importante (guarda qui il video).

sky hallPer coinvolgere al massimo i suoi dipendenti nella consapevolezza di essere protagonisti della creazione di un’esperienza piacevole per i clienti, a fine 2015, Sky ha attivato un importante progetto di comunicazione interna diffuso nelle tre sedi aziendali (Milano, Roma e Cagliari). Con lo slogan “La felicità del cliente dipende anche da te”, video, videowall, poster e banner ricordano, come un ritornello, l’impegno che ciascuno deve sempre avere nei confronti degli abbonati. A sostegno della campagna sono stati scelti otto “volti noti” degli schermi Sky, idealmente i “più vicini” agli spettatori: Anna Billò, Marco Cattaneo, Alessandro Costacurta e Guido Meda, protagonisti dei canali sportivi, da una parte, Bruno Barbieri, Alessandro Cattelan, Stefania Pinna e Fortunato Cerlino, star dei canali di informazione e intrattenimento, dall’altra. Insieme a loro, 73 dipendenti sono stati ripresi all’interno di 12 location nel racconto di 8 case history con lo scopo di ispirare un lavoro che continui a mettere sempre di più il cliente al centro.

Il contributo e l’impegno di ogni dipendente per un costante miglioramento, quindi, sono fondamentali per Sky che, sì, punta a una programmazione ricca e di qualità, ma anche, e soprattutto, a una relazione vicina e concreta con il suo cliente più affezionato (il promoter) che è in grado di indicargli quelle aree di miglioramento all’interno delle quali la sua esperienza può diventare davvero indimenticabile, risultando in un passaparola virtuoso, nell’aumento della fedeltà e in operazioni di business come, ad esempio, di up-selling e cross-selling.

ABERCROMBIE & FITCH E IL CLIENTE AL CENTRO

abercrombie logoAbercrombie & Fitch è un marchio di abbigliamento americano. Fondato a New York nel 1892, nel 1988 viene ceduto alla Limited, altro marchio di abbigliamento, ma il successo non arriva prima del 1992. Nel 1996 arriva la quotazione in borsa e nei successivi quindici anni passa da 125 a più di 930 negozi in tutto il mondo (l’80% negli Stati Uniti). Abercrombie è famoso per i suoi vestiti attillati e le taglie piccole, i vistosi loghi, l’illuminazione molto particolare e il profumo travolgente dei suoi negozi e i suoi bellissimi commessi che accolgono e intrattengono i clienti con seducenti sorrisi.

Nel primo decennio del 2000 Abercrombie ha molto successo e le campagne pubblicitarie entrano irruenti nella vita degli adolescenti di tutto il mondo che arrivano a fare file lunghe ore per poter accedere allo store del loro marchio preferito.

Il tempo passa e Abercrombie, forse a causa della crisi, forse perché ormai è passata di moda, si vede costretta a chiudere oltre 340 negozi in sei anni.

Negli ultimi mesi, però, Abercrombie ha deciso di prendere la situazione di petto e la soluzione per rivitalizzare e guadagnare fedeltà al Brand da parte dei suoi clienti è una nuova “cliente-centricità”.

Jonathan Ramsde, Chief Operating Officer dell’azienda, commentando i primi risultati incoraggianti dell’ultimo quarto del 2015 dal 2012, spiega: “Cliente-centricità per noi significa mettere il cliente al centro di tutto quello che facciamo”.

Ma che cosa significa, esattamente, essere cliente-centrici per Abercrombie? Lo stesso Ramsde spiega:

abercrombie interior“Durante il 2015 abbiamo apportato diversi cambiamenti per migliorare la shopping experience in termini di facilità, velocità e gradevolezza. Abbiamo rivisto la formazione degli Store Manager e dato loro più autonomia perché possano essere più preparati e veloci nel rispondere alle esigenze del cliente. Abbiamo migliorato la nostra illuminazione e il sistema di coda in cassa. (…) Dal lato digitale, abbiamo investito molto sull’omincanalità per rendere l’esperienza dei nostri clienti più coerente. Abbiamo migliorato il nostro sito web e le nostre app, tanto che il 60% del traffico online ci arriva dal mobile e i nostri tassi di conversione stanno crescendo. Stiamo anche rivedendo le nostre policy ecommerce, consentendo l’ordine online e il ritiro in negozio e ottimizzando le possibilità e le procedure di reso”.

Gli fa eco Joanne Crevoiserat, Executive Vice President: “Abbiamo fatto l’enorme sforzo di mappare e sintetizzare i valori e l’identità dei nostri brand. Ora stiamo lavorando sulle strategie di comunicazione legate al posizionamento di ciascuno. Ci aspettiamo di poter fare questo lavoro anche per tutti i nostri prodotti, l’esperienza in negozio, online e attraverso tutto il nostro marketing. C’è ancora molto lavoro da fare e siamo sicuri che la situazione rimarrà molto impegnativa, ma, andando avanti, questo focus sul cliente rimane centrale per la nostra strategia. Ci stiamo rialzando, ma stiamo ancora imparando e la strada è lunga”.

Come ci piace ripetere spesso, la Customer Experience è un viaggio, non una destinazione!

ASSICURAZIONI: I PROFITTI DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Il World Insurance Report 2015, arrivato ormai alla sua ottava edizione, non porta proprio buone notizie sul livello di soddisfazione degli assicurati nel mondo. Il risultato più rilevante riportato dall’indagine “Voice of Customer” segnala, tra gli altri dati, che i più insoddisfatti sono i giovani dai 18 ai 34 anni, la ormai nota Generazione Y.

Nati e cresciuti nell’era digitale, questi clienti richiedono sempre più servizi web-based. Le assicurazioni, nonostante gli sforzi, non riescono ancora a soddisfare questa esigenza, provocando un crollo della valutazione della customer experience del settore in tutto il mondo. Soltanto il 28,9% degli intervistati, infatti, si è dichiarato soddisfatto della propria esperienza in relazione ai servizi offerti dalle assicurazioni, anche in quei paesi più sviluppati tecnologicamente, come l’America e l’Asia Pacifica.

L’abbandono del cliente e, come conseguenza, una perdita di profitti sono i rischi che corrono le assicurazioni, come conseguente di un così drammatico livello di insoddisfazione.

Che fare quindi? Bisogna cambiare approccio e passare ad una strategia customer-centric.

Il messaggio che lancia il World Insurance Report 2015 è proprio questo: bisogna conoscere il cliente, soprattutto colui che appartiene alla Generazione Y. È necessario proporre una esperienza che risponda alle reali esigenze del cliente e che sia al contempo facile e piacevole, secondo un approccio outside in (leggi qui).

Il cliente della Generazione Y sceglie il ristorante sulla base delle opinioni scritte su Tripadvisor, legge i libri con Kindle, acquista su Amazon: tutte azioni ordinarie, ma che per il mondo delle assicurazioni rappresentano ancora il futuro.

Gli assicuratori infatti non sono digitalmente maturi e pertanto la loro sfida sarà proprio quella di coinvolgere maggiormente i propri clienti, focalizzando l’attenzione sui canali più importanti per il cliente digitalizzato, quali i social media, canali online e mobile, trasponendo la tradizionalità tipica della relazione che si crea tra agente e cliente, nel mondo digitale (per esempio, grazie ai social media, si può sviluppare un rapporto individuale con ogni cliente).

Ma non solo. Le assicurazioni dovranno anche strutturare una vera e propria integrazione tra i canali offline e online, per permettere al cliente di passare da uno all’altro, semplificando la gestione delle varie interfacce e dei punti di contatto.

In conclusione, oggi più che mai, nell’Era del Cliente, i profitti delle compagnie assicurative sono legati al miglioramento della Customer Experience (leggi qui). Solo questo approccio, permetterà loro di aumentare profitti, erodere punti di market share ai competitors e diventare leader di mercato.

Chi ha orecchie per intendere…

Italian Customer Intelligence propone un percorso volto a importare in azienda le best practice per progettare e offrire ai propri clienti una Customer Experience superiore

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(Articolo precedentemente pubblicato il 4 Marzo 2015)

 

MICHELE FERRERO, STEVE JOBS E JEFF BEZOS: COSÌ DIVERSI, COSÌ UGUALI!

Al di là di essere geniali imprenditori e aver creato dal niente delle aziende, rendendole il grande fenomeno che oggi sono rispettivamente Ferrero, Apple e Amazon, che cosa hanno in comune Michele Ferrero, Steve Jobs e Jeff Bezos? L’attenzione al cliente è alla base del loro successo.

Ecco qui alcuni preziosi suggerimenti che ci hanno dato nel corso della loro carriera.

La cliente di Michele Ferrero, si sa, è la Signora Valeria, “la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo”. Per la Signora Valeria bisogna innovare costantemente, e non demordere: “l’Estathè per dieci anni non è esploso, ma io non mi sono scoraggiato, perché ero convinto che ci voleva tempo ma che l’intuizione era giusta e che la Valeria non sapeva ancora che era quello che aveva bisogno. Ma poi se ne è resa conto ed è stato un grande successo.”

Insomma, l’attenzione che Ferrero aveva (e ha tuttora) per la Valeria è un’attenzione paziente che deriva da un grande amore, necessario per conoscerla al meglio e indispensabile per intercettare i suoi bisogni e le sue esigenze ancora prima che lei stessa possa avvertirle.

Steve Jobs era assolutamente d’accordo con le affermazioni del “collega”, tanto che soleva riassumere in due frasi la mission della sua Apple: “Avvicinarsi ora più che mai al cliente. Stargli così vicino da potergli dire quello di cui ha bisogno molto prima che possa realizzarlo lui stesso”. E, a proposito di innovazione, lui che ne ha fatto l’eccellenza della sua azienda ci metteva in guardia sul fatto che la tecnologia, quando è fine a se stessa, non funziona: “Bisogna partire dalla customer experience, e da lì lavorare verso la tecnologia, non il contrario”.

Quindi il centro della strategia dell’azienda è il cliente, non la tecnologia.

Jeff Bezos, dal canto suo, individua molto facilmente le tre ragioni per cui la sua Amazon ha successo da ormai 20 anni: “Mettere il cliente al centro, innovare, ed essere pazienti”.

Il percorso “Offrire una Customer Experience superiore: 6 mosse in 6 mesi” organizzato da Italian Customer Intelligence illustra e suggerisce le best practice per portare con successo in azienda una cultura del Cliente come quella di aziende come Ferrero, Apple e Amazon. Scopri di più!

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L’INNOVAZIONE DI OGGI È LA TRADIZIONE DI DOMANI

Gli Stati Uniti (ri)scoprono di Distretti italiani.

La Harvard Business Review ha chiesto a due studiosi, Gary Pisano, professore ad Harvard con all’attivo il libro “Producing Prosperity: Why America needs a manufacturing Renaissance”, e Giulio Buciuni, ricercatore della Ca’Foscari di Venezia in partenza per Toronto, di indagare la realtà complessa e virtuosa dei Distretti Industriali italiani (vedi qui).

L’ultimo studio in merito da Oltreoceano risale al lontano 1984.

Oggetto specifico dello studio è il Nord Est italiano, “laboratorio ideale per la ricerca e l’osservazione di aziende, istituzioni e infrastrutture”, secondo le parole di Buciuni. E, soprattutto, palcoscenico di un profondo paradosso che vede aziende prosperare accanto ad altre che invece hanno performance decisamente inferiori.

Lo studio riporta casi esemplari di diversi comparti del Triveneto. Da una parte le calzature: il distretto di Montebelluna (Treviso), specializzato da oltre un secolo in calzature sportive e scarponi da sci, e il distretto della Riviera del Brenta, che nello stesso arco di tempo si è dedicato alle calzature da donna di lusso. Aziende manifatturiere con una lunghissima e solidissima tradizione artigianale degna del vero Made in Italy che, però, hanno subito (e stanno subendo) un destino diverso. I primi diventano i produttori, tra gli altri, di Nike, Lotto e Nordica, che, dopo grandi successi sul territorio italiano, iniziano a delocalizzare, lasciando l’occupazione precipitare rovinosamente. I secondi, invece, hanno attratto – e continuano a farlo – aziende come Armani, Prada, Louis Vuitton e Dior.

Stessa situazione per il settore arredamento. Da una parte Manzano (Udine), centro nevralgico della produzione mondiale di sedie in legno, che oggi, però, rimane vivo grazie soltanto a un’unica significativa azienda, Calligaris. Dall’altra Livenza (tra Treviso e Pordenone), fornitore principale di Ikea che, se da una parte continua a delocalizzare, dall’altra qui si affida per lo sviluppo dei propri progetti. Entrambi con origini radicate nell’800, questi due distretti vedono il loro apice tra gli anni 60 e 90 del secolo scorso per poi prendere direzioni quasi opposte.

Ci illuderemmo se pensassimo che se siamo bravi a fare una cosa da cent’anni, continueremo a esserlo anche in futuro. È la strada sicura verso il fallimento”, commenta Buciuni. Che vede come unica soluzione un costante aggiornamento e un’innovazione che siano davvero diffusi attraverso tutto il Distretto, con le aziende leader a fare da “catalizzatori”, prima, e da “diffusori”, poi (“knowledge integrator” – integratori di conoscenza – li definisce lo studio).

Specializzazione produttiva, capacità di trovare soluzioni innovative, innovazione tecnica e la creazione di una nuova classe manageriale in grado di trascinare questo “knowledge integrator” sono la risposta che le aziende dei Distretti Italiani dovrebbero dare a gran voce all’intorpidimento che li coinvolge.

Una soluzione che Italian Customer Intelligence ha adottato fin dalla sua nascita, un anno fa: l’innovazione di oggi è la tradizione di domani. E l’innovazione di oggi ci viene suggerita dal periodo economico nel quale siamo appena entrati: l’Era del Cliente (approfondisci qui). Un periodo nel quale a gran voce il Cliente chiede un rapporto più diretto con il brand o l’azienda. Un periodo nel quale è necessario che il brand e l’azienda prendano in considerazione lui e l’esperienza che lui vive in modo più intelligente e approfondito. Un periodo nel quale la vera innovazione è quella in favore del Cliente, quella PER lui. Tante sono le opportunità che nascono per le imprese produttrici che ripartono dal Cliente. Che, casualmente (oppure no?), coincidono proprio con quelle soluzioni che il professor Buciuni auspica: di nuovo, specializzazione produttiva, soluzioni innovative, innovazione tecnica e la crescita di una nuova classe manageriale.

Italian Customer Intelligence ha iniziato quest’anno un lavoro in questo senso insieme al Consorzio della Moda di Verona, gettando le basi per un percorso volto a portare in azienda una più chiara e diffusa cultura del Cliente (vedi qui e qui). Un percorso che continuerà a partire dal prossimo gennaio secondo una formula che metterà le aziende in grado di entrare a pieno titolo nell’Era del Cliente e a portare al proprio interno le pratiche necessarie a quel riavvicinamento tra produzione e Cliente che veicola l’entusiasmo di tante imprese del Made in Italy che tanto hanno attirato le attenzioni degli Americani (e non solo!)

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SEPHORA E IL CLIENTE AL CENTRO

Quando si tratta di mettere il cliente al centro, moltissime aziende alzano la mano, candidandosi come le migliori in questo senso. Purtroppo, in realtà, sono davvero poche quello che lo fanno davvero. Lo sa bene Bridget Dolan, Vice Presidente dell’Innovation Lab di Sephora, retailer del settore della cosmetica con più di 1.900 negozi in 29 Paesi, fondata in Francia da Dominique Mandonnaud nel 1970.

Il focus sul cliente a Sephora, infatti, non è una semplice questione di marketing, ma di cultura. “Ogni decisione che prendiamo ha al centro la nostra cliente. Ogni volta pensiamo: ‘Che impatto avrà questo su di lei? Qual è la cosa giusta per lei?’. Poi speriamo che quello che ne viene fuori sia anche il meglio per noi, ma anche quando non lo è lo facciamo lo stesso”.

sephoraPer questo Sephora si aiuta moltissimo con la tecnologia. Andando controcorrente rispetto a quei retailer che, da un parte, vedono la tecnologia come una trappola che scatena il fenomeno dello showrooming e, dall’altra, la utilizzano solo perché è “cool”, Sephora adotta un approccio anche in questo caso totalmente Outside In, portando il cliente al centro dell’azienda e del suo ecosistema (approfondisci l’approccio Outside In qui). Lo scopo della tecnologia e dell’omnicanalità, infatti, deve essere quello di rendere la vita del cliente più semplice. Solo così acquista un valore, ampiamente riconosciuto e apprezzato.

Oggi Sephora ha più di 6 milioni di fan su Facebook, quasi 2 milioni di follower su Twitter, più di 2 milioni di dowload delle sue app e un terzo del traffico al sito ufficiale proviene da dei dispositivi mobili.

Il segreto? Un profondo allineamento tra i valori del brand e la customer experience proposta in ogni touchpoint che la cliente attraversa. E una costante attenzione e ricerca su quali siano i bisogni e i desideri delle clienti che da Sephora si aspettano “un equo servizio da professionisti esperti, un ambiente di shopping interattivo e innovazione”.

beauty insiderCon un “loyalty program” estremamente efficiente ed efficace, Sephora è in grado di registrare l’intero viaggio della cliente: si tratta di Beauty Insider, lanciato nel lontano 2007 e costantemente rinnovato e aggiornato (nel 2009 parte la versione V.I.B. – Very Important Beauty Insider), con il quale Sephora ha reso coinvolgente e convincente per la cliente raccontare chi è in ogni touchpoint. “Siamo così in grado di seguire ogni suo comportamento e di agire di conseguenza” – spiega Bridget Dolan. Coinvolgente e convincente perché la cliente ottiene sempre qualcosa in cambio: “se ci dice che ha la pelle secca, allora il prodotto che riceverà come omaggio o le informazioni che avrà via email saranno per pelli secche” – continua Dolan.

A Sephora l’80% delle transazioni avvengono attraverso il programma fedeltà e il motivo è che la cliente stessa fornisce moltissime informazioni sapendo di ottenere in cambio una customer experience decisamente sorprendente.

Alcune chicche che le affezionate clienti di Sephora riconosceranno spaziano dall’esperienza omnichannel proposta con accesso wifi gratuito negli store per accedere allo store online e alla shopping list e per scansionare gli acquisti, a servizi e lezioni di makeup con acquisti minimi, fino a una social community che dà accesso a premi, prodotti in omaggio e chat gratuite con esperti professionisti, uno staff all’interno dello store sempre molto accogliente, disponibile e competente.

Insomma, Sephora è l’esempio perfetto di come conoscere il proprio cliente e mettere al centro del proprio lavoro l’esperienza che egli vive in ogni touchpoint sia estremamente conveniente.

La buona notizia è che i passi da compiere per andare nella stessa direzione “cliente centrica” di Sephora sono precisi e ben definiti e possono essere seguiti da tutti. Meno facile è trovare la strategia giusta che sia – oltretutto – in grado di allineare valori e identità del brand e aspettative e desideri del cliente. Italian Customer Intelligence ti aiuta proprio in questo! Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

CUSTOMER EXPERIENCE: L’OPINIONE DI 500 MILIONI DI CONSUMATORI!

US Customer Experience Excellence Report 2015 è una recentissima ricerca di Nunwood (www.nunwood.com), società di consulenza internazionale in ambito di “full-service customer experience management” (CEM), volta a individuare chi siano – nel mondo – i brand con le migliori performance in termini di customer experience agli occhi dei propri clienti e come e perché abbiano ottenuto questo risultato.

La ricerca per cinque anni ha coinvolto 900 brand e 500 milioni di consumatori in tre continenti. Da questa base, si sono analizzati i comportamenti di quelle aziende che negli Stati Uniti avevano ottenuto il punteggio più alto, per individuare le best practice che le hanno portate a superare i propri competitor.

Quali sono le aziende migliori?

paneraCosì, di fianco a nomi altisonanti come Amazon, Zappos e USAA, che “alzano l’asticella” del livello medio di customer experience, compaiono anche alcune aziende che, nel loro piccolo, stanno crescendo molto velocemente.

Tra queste, Ally Bank, una banca online che usa una tecnologia altamente sofisticata con lo scopo di ristabilire una certa fiducia nel settore bancario. Oppure Chili’s, una catena di ristorazione che ha fornito i suoi ristoranti di 500 mila Ziosk, un tablet apposito che permette ai clienti, da una parte, di ordinare e di effettuare i pagamenti direttamente dal tavolo e, dall’altra, di divertire i bambini con videogames interattivi. O anche Panera Bread, una catena di bar/panificio del segmento fast casual (scopri di più sul fast casual qui) che utilizza la tecnologia per minimizzare i tempi di attesa alla cassa (approfondisci qui l’argomento).

Confronto tra Usa e Regno Unito: chi vincerà?

Il report propone un confronto tra aziende americane e inglesi (prese come metro di paragone “rappresentativo” dell’Europa). Il primo risultato significativo è stato che – in generale – gli Stati Uniti si trovano dai due ai tre anni più avanti del Regno Unito in fatto di customer experience. Questo, secondo la ricerca, è dovuto a quattro fattori essenziali:

  • Dopo la crisi del 2007/2008, la customer experience è tornata all’ordine del giorno nelle agende delle aziende americane, soprattutto a livello di consiglio di amministrazione
  • L’agenda della customer experience è controllata principalmente dal CEO e dal team esecutivo, mentre nel Regno Unito in genere è competenza del reparto operativo (leggi qui)
  • Le aziende americane sono molto sensibili all’innovazione, soprattutto riguardo l’uso della tecnologia come mezzo di sviluppo del proprio business
  • Negli Stati Uniti, l’integrazione tra online e offline è un dato di fatto

David Conway, Senior Partner e Chief Strategy Officer di Nunwood, suggerisce che l’unica soluzione per chi è interessato a diventare davvero “cliente-centrico” sia quello di “fare entrare il cliente in azienda”. Questo sicuramente potrebbe implicare un cambio di mentalità e di metodo: ascoltare il cliente, infatti, non basta. “Ascoltare, imparare e poi agire di conseguenza”, questo è il consiglio di Conway.

Italian Customer Intelligence ti aiuta a far entrare il tuo cliente in azienda per potergli finalmente una customer experience davvero “cliente-centrica”. Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

È DI NUOVO VENERDÌ: QUESTA SETTIMANA QUANTO TEMPO AVETE DEDICATO AL CLIENTE?

Uno degli articoli più cliccati sul nostro magazine è quello che scrivemmo, tra il serio e il faceto, sostenendo che, nelle nostre aziende, mentre facciamo a gara per essere i migliori interpreti e conoscitori del cliente e ci accaloriamo con frasi celebri (come ad esempio: “L’unico vero padrone è il cliente”, oppure “Solo il cliente può licenziare l’imprenditore”), se davvero contassimo quante ore in una settimana dedichiamo interamente al miglioramento della concreta esperienza del nostro cliente, ci troveremmo di fronte ad amare sorprese (clicca qui per leggere l’articolo).

Recentemente, Italian Customer Intelligence ha predisposto un tool che, mentre registriamo le nostre attività come un semplice time report, ci invita a giudicare in che grado esse hanno portato un reale miglioramento dell’esperienza del cliente. Alla fine di ogni settimana, nella forma di semplici grafici che indicano quante e quali attività abbiamo svolto, per quanto tempo, con chi e in favore di chi all’interno o all’esterno dell’azienda, il tool sentenzia cosa, di tutto questo, è andato a reale vantaggio del cliente…

Tante sorprese … Tante aree di miglioramento…

Per saperne di più sul tool, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

DA “ORIENTAMENTO AL CLIENTE” A “METTERE IL CLIENTE AL CENTRO”

Occorre coinvolgere tutto l’ecosistema aziendale nella customer experience perché tutto l’ecosistema influisce in qualcuno o in molti touch point del cliente con il brand.

Dall’addetto vendita a chi si occupa del prodotto, dai sistemi informativi alla logistica, dall’ufficio legale al marketing: tutti influenzano in positivo o in negativo l’esperienza del cliente. Occorre saper bene dove, come e quando.

Mettere il cliente al centro della propria mansione è assai diverso da un generico “orientamento al cliente”. Anzi, “orientarsi” al cliente significa ammettere che il punto di partenza non è il cliente, ma altro.

Per conoscere le altre ragioni per aprire un ufficio della Customer Experience clicca qui

Per maggiori informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

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