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Mario Sala - page 8

Mario Sala has 114 articles published.

Partner di Praxis Management, società di consulenza milanese. Da oltre vent’anni anni è impegnato nel retail dei migliori brand del lifestyle nei settori della moda, del food e del design. L’attenzione crescente per i temi relativi al Cliente ha generato in lui un interesse approfondito sul tema della Customer Experience, che lo ha portato a costituire Italian Customer Intelligence e a sviluppare importanti relazioni internazionali sul tema. Il brand, che raduna partner con diverse competenze, sostiene le aziende a progettare, offrire e portare in tutto il mondo una Customer Experience superiore: in una parola, a entrare davvero “nell’Era del Cliente”. mario.sala@praxismanagement.it

CUSTOMER EXPERIENCE FA RIMA CON ESSENZIALITÀ

Mai separare chi raccoglie dati sul cliente, da chi li analizza e da chi prende decisioni. Pena: una complessità che blocca!

L’essenzialità – in fondo – è la capacità di “andare al cuore” delle cose, al nocciolo della questione. Cosa non facile quando abbiamo a che fare con una quantità di dati, indizi, segni – spesso tra loro in contraddizione – che assiduamente ricerchiamo per conoscere il cliente, i suoi orientamenti e i fattori dell’esperienza col nostro brand che più lo convincono.

A volte chi si occupa di customer experience o gli analisti del marketing si “nascondono” dietro i dati che rilevano sul cliente invocando una “matematica” che non esiste evitando la fatica e il rischio di una ricerca e una interpretazione che arrivi davvero al cuore della questione!

Ogni dato è un dono (dal ​latino datum significa proprio “dono”) perché “data”, ovvero donata, è la realtà stessa. Il dato è una descrizione elementare, spesso codificata, di un’informazione​, di un’entità, di un fenomeno, di una transazione, di un avvenimento, di un brano di realtà e di altro ancora…

Potremmo sinteticamente dire che ​i dati sono indizi. E come ogni indizio va messo in correlazione con altre informazioni perché sia correttamente decifrato.

In fondo i dati sono segni che ci aiutano a comprendere “la legge” che governa o sottende fenomeni.

Altra tentazione da evitare, davanti alla complessità e alla varietà dei dati riferibili alla conoscenza del cliente è quella di escluderne qualcuno per  “far tornare i conti”  della nostra lettura della realtà, bollando il dato contraddittorio come “non significativo”…

Un altro errore che commettiamo spesso è quello di separare chi si occupa di raccolta dei dati, da chi li analizza e anche da chi prende decisioni in forza di essi: se chi “decide” non partecipa all’ avventura della scoperta del dato, della sua raccolta e della sua analisi ben difficilmente scoprirà i nessi sorprendenti che la realtà sempre offre arrendendosi alla supposta “matematica” dei dati così come brutalmente rinvenuti.

Chi ha il dono dell’essenzialità è sempre un assiduo osservatore della realtà e non ha pace finché la complessità dei dati che ha davanti non si risolve, sapendo bene – appunto – che la semplicità è una complessità risolta. E fino che tale semplicità non si appalesa continua nel suo sforzo di ricercatore.  (Einstein diceva: “Se non lo sai spiegare a tua nonna significa che non hai compreso bene nemmeno tu!”)

Solo andando al “cuore della questione”, alla scoperta della legge che governa il “fenomeno” descritto da una varietà di dati si potrà davvero definire la sfida che il brand deve vincere per offrire una customer experience superiore ai propri clienti e per alimentare l’entusiasmo dei promoter (Clicca qui).

Fra tanti imprenditori e manager che ho incontrato in questi anni ce ne è uno che mi ha colpito tantissimo per il dono dell’essenzialità che possiede (certamente assiduamente coltivato) e che indefessamente promuove nella sua azienda e per la sua conseguente arguta intelligenza nella definizione di “sfide” che propone ai “suoi”.
Identikit: quarantenne, fast fashion, studi giuridici… ahimè juventino!
Spero sia possibile a breve farlo conoscere ai lettori del nostro magazine!

OFFRIRE UNA CUSTOMER EXPERIENCE SUPERIORE

7 consigli per partire con il piede giusto

Risultati immagini per the doctor william hurt1. Mostrare a tutti qualche spezzone del filmUn medico, un Uomo” con William Hurt. Sebbene il film sia vecchio fa comprendere immediatamente e in modo suggestivo che non abbiamo la minima idea di come ci si senta nei panni del cliente (in questo caso di un ospedale). Solo quando il grande chirurgo vivrà l’esperienza dei suoi pazienti si accorgerà – con gli occhi del paziente/cliente – di quante cose non funzionano nel suo ospedale e cambierà completamente il modo di rapportarsi con i suoi allievi, cioè i suoi collaboratori più giovani!

2. Fate leggere almeno la prima parte del libroClienti al Centro” di Kerry Bodine, già Vice President della Forrester Research. I lettori si convinceranno della massima preferita da Kerry:

“Ciò che pensate di sapere sul cliente è probabilmente sbagliato.
 PENSARE di sapere che cosa vuole il cliente è rischioso.
SAPERE che cosa vuole il cliente permette di cambiare in meglio la sua Customer Experience”

3. Iniziate con la rilevazione del NPS (Clicca qui) e paragonatelo con quello della media del vostro settore: avrete una misura oggettiva, internazionale e confrontabile dello stato di salute che i clienti attribuiscono al vostro brand oggi: motivo assai importante non fosse altro per non fare i budget annuali con il solito +5 o 10 % sullo storico senza chiedere il parere del cliente sulle vostre previsioni…

4. Chiedete ai Promoter del vostro brand (tanti o pochi che siano) quali sono i motivi di entusiasmo verso la vostra azienda e fate qualche domanda sulle caratteristiche dell’esperienza che hanno giudicato così benevolmente: prometto sorprese!

5. Non confondete mai l’esperienza che il cliente vive col vostro brand con la valutazione di una singola esperienza! Io al brand Milan do “10 e Lode”, alla recente prestazione con l’Inter do voto 5: sono e rimango un fan del brand e – come tutti gli innamorati – sensibilissimo ad ogni minima delusione.

6. Decidetevi davvero di conoscere il cliente in ogni occasione di relazione col vostro brand (Clicca qui) e non solo in quella dell’acquisto! Che cosa conoscete davvero dell’esperienza che vive il cliente quando utilizza ciò che ha comprato? Chiedeteglielo: altre sorprese!

7. Siete ora pronti per definire o aggiornare la promessa del vostro brand ai clienti: questo è molto rilevante non solo per il cliente ma per tutto il vostro ecosistema aziendale. Infatti la promessa del brand costituisce il criterio unificante degli sforzi da realizzare per il cliente nella direzione giusta e ogni parte del sistema aziendale trova in essa i criteri guida per “scaricare a terra” tutte le iniziative e i progetti necessari per offrire una Customer Experience superiore (ovvero iniziative e progetti nuovi e/o iniziative e progetti “soliti” fatti in modo nuovo, cioè sempre più coerenti con la promessa).

E ricordate: si cresce solo per entusiasmo! (Clicca qui)

PASTA EXPERIENCE FOR EVER

A Milano Alessandro Curti e Antonio Seneci lanciano un nuovo brand di pasta fresca a basso indice glicemico, a Mosca Federico Menetto fa sbarcare la Pasta Fresca di Raimondo Mendolia, mentre i nutrizionisti assicurano che la passione per la pasta ha conquistato anche gli adolescenti. Business in vista…

La pasta che sarà di scena a Milano tra poco più di un mese, niente meno che nella centralissima Piazza San Babila, è una pasta fresca… il cui processo di produzione è stato addirittura brevettato. L’inserimento di certe fibre proteiche di altissima qualità “frenano” farina e semola producendo pasta fresca che non perde alcuna caratteristica nutrizionale né proprietà organolettica e abbassa l’indice glicemico, per la gioia degli appassionati di pasta e per la loro salute.

La proposta sembra abbia tutto per sfondare, a partire dalla credibilità degli imprenditori che si apprestano a lanciarla: Alessandro Curti (che guida con successo e ha sviluppato in modo sorprendente il Gruppo Curti fondato dal padre nel 1955) e Antonio Seneci,  ideatore – fra l’altro – del marchio SIGI che ha la missione di diffondere in tutto il mondo prodotti alimentari  a basso indice glicemico.

Due partner di tal calibro non possono che pensare in grande, infatti Milano sarà la prima di una serie di location da sviluppare anche all’estero, dato che il brand pasta è certamente – se veramente italiana – un brand da esportazione: Stati Uniti in primis, ma anche le più vicine Francia Spagna e Svizzera.

In realtà il nuovo brand avrà la pasta fresca a basso indice glicemico come attrazione principale, ma sarà una vera e propria festa del carboidrato: pizza al trancio, focacce, dolci e addirittura panzerotti… A qualche isolato dal mitico Luini!

Far diventare la pasta “food to go” (Clicca qui l’articolo del super esperto Gavin Rothwell e Clicca qui per l’articolo di Gabriele Mancosu) è impresa difficile ed entusiasmante, in ogni caso il format affiancherà presto al takeaway le operazioni di delivery.

Il fatto che si pensi alla pasta non solo per la tavolata in compagnia in un ristorante o in una delle catene fast casual che van per la maggiore, ma anche come felice espressione del “food to go” dà ragione a uno dei maggiori e profondi conoscitori della “PASTA (ITALIANA) EXPERIENCE”: Federico Menetto, vero e proprio animatore – fra l’altro – del brand pasta fresca di Raimondo Mendolia ora sbarcato anche a Mosca. La stessa coppia ha lanciato recentemente a Pitti Uomo a Firenze la Pasta 1punto61.com con la camicia firmata da Angelo Inglese.

Secondo Menetto, infatti, l’esperienza con la pasta è una esperienza in solitaria come quella di Ambrogio Fogar con il mare nelle sue mitiche traversate. “La relazione con la pasta” dice Menetto – “è una relazione – nel suo cuore – eminentemente individuale, egoista, quand’anche fosse consumata in compagnia: ci sei tu e il piatto di pasta…

 Sempre nel trend della pasta a basso contenuto glicemico e ad alto contenuto energetico è stata lanciata il 25 ottobre durante il World Pasta Day, a Dubai e sempre da un’idea e da uno studio di Raimondo Mendolia,  PastAthletics per accompagnare la dieta dei grandi sportivi del mondo .

Mentre i brand consumer di ogni mercato ingaggiano le migliori Università del mondo per studiare e conquistare Millennials e Generazione Z, che sembrano ricercare customer experience con accenti differenti da quelli apprezzati dalle generazioni precedenti, sembra proprio che la pasta non abbia questo problema e possa continuare la sua crescita planetaria.

Una recente ricerca realizzata dall’Istituto di ricerca IARD sugli stili di alimentazione degli adolescenti italiani evidenzia come sia proprio la pasta l’alimento di gran lunga più consumato: lo mangia quotidianamente il 74,4 % dei giovanissimi.

Insomma il business della pasta è garantito – per il futuro – anche dalle giovani generazioni ed è quindi incoraggiante che imprenditori innovatori sappiano cogliere questa opportunità, convinti come siamo che in quei piatti sapientemente preparati con ingredienti eccellenti non si viva solamente una convincente esperienza di alimentazione e gusto ma che, attraverso quei bocconi “in solitaria”, si comunichi misteriosamente – ma concretamente – una civiltà millenaria che sa rinnovarsi, fatta di intraprendenza, gratitudine, creatività, bellezza e indomabile spirito positivo verso il futuro. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno oggi di questi “bocconi”. Ci vogliono proprio degli imprenditori appassionati e accorti, ben più che dei ristoratori, per esportare nel mondo la pasta (italiana) experience.

 

INNOVARE PER IL CLIENTE: DIVAGARE O CONCENTRARSI PER INNOVARE?

Dove, come, nasce e prospera l’innovazione.

Il metodo che le aziende capaci di innovare sistematicamente seguono è davvero ben documentato dal “GENIO COLLETTIVO” (clicca qui).

Linda Hill e i Suoi hanno dimostrato come grazie a leader diventati “ARCHITETTI SOCIALI”, capaci di costruire COMUNITÀ aziendali desiderose d’innovare e capaci di farlo, le innovazioni fioccano a un ritmo e con una qualità incomparabile a quella suscitata da leader visionari (invece cosi necessari per fondare un’impresa, ma poi quasi di ostacolo nella fase di maturità nella quale la crescita continua va di pari passo con l’attitudine e la capacità di innovare sistematicamente).

Certo essere costruttori di comunità non è facile e non lo è nemmeno promuovere un mindset adeguato a innovare, cioè a definire e promuovere le regole, i valori e il clima che favoriscono un vero e proprio spirito innovativo diffuso.

La continua interazione fra i collaboratori, anzi fra i membri della comunità, crea dapprima uno spumeggiante mercato delle idee, poi un virtuoso attrito creativo, quindi, finalmente, la capacità di sfornare novità capaci di integrare opposti all’apparenza inconciliabili (per esempio minor costo con maggior qualità, più velocità con maggiore accuratezza, più varietà con minor complessità …).

La “comunità” non separa mai chi pensa e progetta da chi fa, garantendo una immersione reciproca (una comunione appunto secondo il Genio Collettivo ) fra persone di differenti ruoli, mansioni, età, nazionalità che risulta poi essere la carta vincente per l’effettiva realizzabilità dell’innovazioni collettivamente fatte emergere.

La straordinaria pubblicazione di Linda Hill, frutto di anni di ricerche autorevolmente condotte, “tralascia” almeno due sequenze dei “film” (vengono riportati una dozzina di casi) del Genio Collettivo.  La prima sequenza avviene antecedentemente all’ attuarsi del metodo “collettivo” e ne costituisce il presupposto: si tratta della definizione della sfida da vincere (ogni caso trattato nel testo parte, appunto, già da una ben definita sfida da vincere o da un “problemone” perfettamente individuato che indica in modo convincente la direzione nella quale innovare).  La seconda sequenza, di cui  si fa cenno solo indirettamente , riguarda l’importantissimo lavoro personale con il quale ciascun membro della comunità aziendale si presenta per immettere nel flusso collettivo la sua idea, la sua proposta, la sua soluzione per avviare il processo di genialità collettiva.

Non sfuggirà a nessuno che la qualità delle innovazioni dipende molto dagli imput di partenza e il metodo del genio collettivo funziona in modo proporzionale al lavoro che ciascuno personalmente sviluppa sulle innovazioni che fortemente vuole realizzare.

Occorre quindi creare a viva forza uno spazio nella giornata lavorativa di ciascuno per pensare individualmente  all’innovazione da proporre , alla sfida da lanciare , all’ipotesi da verificare , alla soluzione out of the box da tentare.

Ma se è giustissimo pensare all’innovazione individualmente e trovar a viva forza lo  spazio nella propria giornata per dedicarsi specificatamente a questo e “staccarsi” dalle incombenze che fagocitano ogni energia, come utilizzare al meglio questo tempo?

Simon Sinek, nella sua celebre conversazione sui millenials (clicca qui) tuona contro l’utilizzo degli smartphone durante il lavoro perché la iperconnessione paradossalmente ci isola dalle relazioni e dagli stimoli che la realtà non fa mai mancare per andare avanti, che, in fondo è un sinonimo di innovare. È quindi il divagare che favorisce l’innovazione e non la iper-concentrazione dalla quale occorre saper liberarsi per produrre novità.

Alcuni studiosi sottolineano addirittura come noi consumatori (e quindi anche nella veste di  lavoratori) abbiamo sovraccaricato i nostri cervelli di stimoli e non riusciamo più a gestirli:  è questo che ha portato all’attuale era dell’ansia e ha aperto la meaning economy in quanto tutti – nel pianeta – siamo alla ricerca di un significato, di qualcosa che vada “aldilà”… E questo aprirebbe nuove opportunità proprio per i brand che fanno della creatività e dell’innovazione la  dimensione associata al proprio futuro!

KRAFT NOW, PAY LATER

Una clamorosa iniziativa del colosso alimentare

KraftSono circa 800.000 i lavoratori colpiti dallo “shutdown” più lungo nella storia degli Stati Uniti, ovvero dalla sospensione di tutte le attività non essenziali del Governo Federale .

Il blocco, come si sa, è conseguenza della controversia fra il Presidente Trump (che chiede che il rifinanziamento delle attività del Governo Federale comprenda quello necessario alla costruzione del muro al confine col Messico) e i Democratici che si rifiutano di inserire nella legge di rifinanziamento delle attività statali i 5,7 miliardi di dollari per il muro.

800.000 dipendenti federali non hanno quindi preso lo stipendio questo mese e parte di loro ha chiesto prestiti alle banche per tirare avanti. E lo shutdown continua…

Proprio a Washington D.C. la KRAFT apre un temporary store nel quale ogni impiegato federale esibendo il proprio tesserino governativo può accedere al programma KRAFT NOW, PAY LATER .

In cambio KRAFT chiede che, se il lavoratore in un futuro potrà pagare la spesa ricevuta , devolva l’importo a una Associazione di beneficenza di fiducia del lavoratore stesso.

Sergio Eleuterio, capo del marketing di KRAFT ha dichiarato che: “Durante lo shutdown i genitori non dovrebbero preoccuparsi di mettere la cena sul tavolo delle loro famiglie perché non ricevono uno stipendio: non hanno certo bisogno di questo stress aggiuntivo”.

Con questa iniziativa” – continua Eleuterio – “KRAFT vuole ricordare che il brand è sinonimo di famiglia e ora vogliamo sostenere le famiglie che hanno fatto grandi i nostri marchi”.

NEXT EXPERIENCE

Il ristorante Next a Chicago è uno dei più premiati degli Stati Uniti, fondato dal grande chef Grant Achataz con il collega Nick Kokonas.

Due le innovazioni più rilevanti.

La prima rende significativo il nome stesso di Next, perché lo stile del ristorante è in evoluzione tutto l’anno. In pochi mesi, infatti, Next si concentra sulla cucina di un altro Paese, che propone ai massimi livelli, su un altro tema o su un altro momento della storia. Così, come si legge sullo stesso sito, la totale mancanza di modelli “consente libertà illimitate e richiede attenzione assoluta”. Il menù, lo stile di servizio, l’attrezzatura necessaria possono in giro di poche settimane passare da Parigi 1906, a “Seta e Spezie” (un’esplorazione culinaria ispirata all’antica rete di rotte commerciali che attraversava l’Asia,l’Africa, l’Europa e i Caraibi oltre 2000 anni fa) fino, per esempio, al tema dell’ infanzia.

La seconda innovazione consiste nel fatto che il cliente non paga in base a quel che mangia, ma a quando si presenta nel locale: i biglietti per la fascia oraria più richiesta includono un sovrapprezzo, mentre quelli per cenare “fuori orario” costano meno.

DOMANDE INTELLIGENTI DA FARE AI CLIENTI /1

Quello che ritenete di sapere sui vostri clienti è probabilmente sbagliato. Pensare di sapere cosa vogliono i clienti è rischioso. Sapere cosa vogliono permette di offrire una customer experience superiore. (Kerry Bodine)

Questa affermazione di Kerry Bodine, del 2012, è ormai accettata da tutti e tutti sono in marcia per ascoltare il cliente senza ritenere di sapere già tutto. Questo atteggiamento di maggior ascolto è certamente anche favorito dall’ oggettiva crescente difficoltà di trattenere clienti in mercati sempre più saturi e veloci e con con consumatori sempre più velocemente esigenti: non a caso il World Retail Congress 2019 ha come tema dominante proprio la velocità.

Un atteggiamento di maggior ascolto, originato da virtù o da difficoltà che sia, è testimoniato anche da una recente e autorevole ricerca di   Temkin Group (clicca qui) che ha rilevato che solo il 7 % delle aziende si ritiene leader nella customer experience, ma che il 54% desidera diventarlo nei prossimi tre anni.

Si apre cosi la tematica di cosa e come domandare al cliente per trarne indicazioni affidabili ora che le tradizionali domande di customer satisfaction aiutano davvero poco a comprendere l’esperienza che il cliente effettivamente vive e le sue mutevoli aspettative.

Spesso ci troviamo a voler approfondire i motivi dell’entusiasmo dei clienti fan di un brand o le ragioni di una certa freddezza chiedendo, ad esempio, ai passive (clicca qui) quali cambiamenti un dato brand dovrebbe fare per ottenere il loro entusiasmo incondizionato.

Una domanda “intelligente”, che spesso ci ha aiutato, è chiedere al cliente il nome di un altro brand al quale pensa con grande ammirazione ed entusiasmo senza specificare se la domanda è rivolta a un brand concorrente o quello di un altro settore.

Abbiamo frequentemente rilevato come i promoter concentrassero le loro preferenze, a volte in modo plebiscitario, per un brand di tutt’altro settore, fornendo cosi importanti e nuove chiavi di lettura sui valori che guidano l’esperienza attesa.

Infatti quando si promette al cliente una esperienza esaltante e quando questa promessa è mantenuta, il cliente si aspetta che lo sia con tutti gli altri brand che valuta o frequenta. In altre parole il cliente non valuta più l’azienda paragonandola a quelle del medesimo settore, ma la paragona con l’azienda che gli   ha offerto la migliore esperienza, in qualsiasi ambito si trovi.

E questo apre una nuova prospettiva…

1/CONTINUA

L’INNOVAZIONE DI OGGI È LA TRADIZIONE DI DOMANI!

Il desiderio di novità, e quindi la necessità di innovazione, non è una novità: ha sempre mosso il cliente di tutti i tempi

Giustamente la focalizzazione dei brand più conosciuti del pianeta è oggi sull’innovazione.

Immersi in mercati sempre più saturi, per vincere occorre presentare al cliente novità, perché da queste è attratto e perché queste cerca sempre, grazie a una offerta sempre più accessibile e immensa. Non a caso il World Retail Congress del 2018 ha avuto come tema “INNOVATE TO WIN” e quello del 2019 mette l’accento sulla condizione innovativa che il cliente pretende “HIGH VELOCITY RETAIL”.

In realtà questo desiderio di novità, e quindi di necessità di innovazione, non sono affatto nuovi e hanno sempre accompagnato il cliente di tutti i tempi.

A ben riflettere anche le tradizioni più belle e che resistono più a lungo sono state un giorno innovazioni. L’innovazione di oggi è la tradizione di domani (quando l’innovazione è davvero significativa). Si potrebbe addirittura dire, per paradosso, che l’innovatore vincente è quello che candida la sua novità a divenire “tradizione”.

Perfino quando cerchiamo con cura qualcosa di “tradizionale” infatti (ad esempio “quella pasta come si faceva una volta”) è perché essa ci assicura una esperienza sempre nuova anche col prodotto “antico”.

Non c’è cosa che identifichi la vita più di questa tensione alla novità,  infatti la morte è definita come assenza di cambiamento di stato, esattamente come le cose di cui non ne possiamo più, che sembrano non cambiare mai!

Siccome desideriamo la vita più di ogni altra cosa, in realtà desideriamo anche la novità più di ogni altra cosa. Cesare Pavese, ha addirittura scritto: “Qualcuno ci ha promesso qualcosa? No! Allora perché attendiamo?”. Nessuno riesce a togliersi di dosso questa attesa di novità!

Non c’è niente di più bello che una novità corrispondente a ciò che desideriamo, a una novità utile scrive Linda Hill, nel suo libro “Il Genio Collettivo”: innovare significa produrre una novità!

Nessun cliente sfugge, proprio come noi, a questo desiderio di novità e proprio come noi desidera novità grandi e anche novità piccole perché sono sempre segno di novità grandi.

LAVORIAMO TUTTI PER AMAZON E GOOGLE?

I brand che non vogliono lavorare “sotto padrone” di un pesce più grosso, ma desiderano continuare ad avere come leader il proprio cliente, devono diventare ancora più forti proprio come brand. Intanto, non a caso, il tema del prossimo World Retail Congress (Amsterdam 14/16 maggio 2019) è High Velocity Retail

Una volta i produttori di generi alimentari si lamentavano dei supermercati mentre cercavano in tutti i modi di entrare nella loro lista fornitori. Allo stesso modo i produttori di abbigliamento si lamentavano dei “grandi magazzini” (li chiamavamo così allora), anche essi mentre facevano di tutto per esserci. La lamentela riguardava soprattutto il prezzo, sempre più basso, che supermercati e grandi magazzini imponevano ai fornitori, insieme a vincoli sempre più impegnativi riguardo alle quantità da produrre, ai tempi di consegna e ad altri standard. Le lamentele si sono fatte sempre più rilevanti quando questi “distributori”, avendo una relazione sempre più diretta, assidua ed informata col cliente finale, si sono candidati, spesso con successo, ad essere loro stessi brand.

Diventati “brand” hanno iniziato a promuovere prodotti a marchio proprio attraverso quell’operazione conosciuta con il nome di private label, cosa che ha permesso loro di azzerare o quasi il valore premium di blasonati fornitori che potevano contare su una marca riconosciuta dal consumatore. Ora gli stessi retailer si lamentano, come si lamentavano i loro fornitori, di Amazon e di altre grandi piattaforme mentre cercano in tutti i modi di essere presenti in questi enormi e-commerce.

Se si prendono, a titolo esemplificativo, le grandi piattaforme e-commerce di food delivery si noterà che, terminato il periodo di “seduzione” verso riconosciuti e rinomati  brand del food per svolgere per loro conto la consegna out store (ma sempre tenendo per la piattaforma di delivery la relazione col cliente finale attraverso l’ordine),  ora iniziano un’operazione di smantellamento dei brand divenuti loro “fornitori”, offrendo al cliente finale una selezione di menu mischiata. Insomma, una operazioneprivate label sui generis! Il cliente finale gradisce questo assortimento che prima era il cavallo di battaglia dei retailer che ora si lamentano.

Sembra che il pesce piccolo collabori a far diventare grosso il pesce che lo mangerà il quale a sua volta collabora a far diventare grossissimo il pesce che poi, a sua volta, rischia di mangiarlo e così via…

Camminando a piedi in una via della sua città un amministratore delegato di successo mi ha detto con amarezza: “Non so che lavoro facciano le persone che stanno camminando in questa via, ma alla fine lavoriamo tutti – o quasi – per Amazon o Google!”.

I brand che non vogliono lavorare “sotto padrone” di un pesce più grosso, ma desiderano continuare ad avere come leader il proprio cliente, devono diventare ancora più forti proprio come brand rivedendo le proprie promesse al rialzo e offrendo in modo diretto (e non mediato) una customer experience superiore in ogni occasione di relazione col cliente stesso!

In questo sforzo occorre tener conto che si è prepotentemente aggiunto un altro fattore e con un livello di intensità massimo: la velocità!

Non a caso il tema del prossimo World Retail Congress (Amsterdam 14/16 maggio 2019) è HIGH VELOCITY RETAIL.

NET PROMOTER SCORE…SI CRESCE SOLO PER ENTUSIASMO! /3

5 consigli pratici

Una cultura aziendale autentica, forte, vissuta in prima persona da chi la offre e capace coraggiosamente di comunicarsi pubblicamente in promesse attira clienti potenzialmente fan. Viceversa promesse e valori comunicati genericamente per la paura che troppa “nettezza” escluda fasce di clienti ha proprio il risultato opposto. (Clicca su puntata 2)

CHE FARE CONCRETAMENTE ALLORA?

1. Definite i valori del vostro brand ORA! I valori del vostro brand non è detto che siano quelli che da qualche anno fanno bella mostra nei vostri siti. I valori del vostro brand sono quelli vissuti davvero dai vostri collaboratori: positivi o negativi che siano sono quelli percepiti davvero, e ORA, dai vostri clienti. Il cliente (cfr dal World Retail Congress Clicca qui) cerca una relazione “unica, sincera, genuina” con il brand: in altre parole desidera una relazione autentica, quindi questa coerenza tra ciò che si desidera come valore e ciò che vivono davvero i protagonisti di un brand non è un optional. Quali sono, oggi, i modi di lavorare, di pensare che documentano con potenza i valori in cui credete?

2. Definiti o confermati i valori del vostro brand occorre tener conto che il cliente, specialmente il promoter (quello che porta in alto il vostro brand…Clicca qui) si aspetta sempre e con una frequenza sempre maggiore, di vedere e vivere NOVITÀ proprio nella direzione del valore proposto che l’entusiasma. Guai a chi si ferma! Per esempio: se una catena di ristorazione impegnata nel mercato fast casual proponesse come suo valore e promettesse velocità nel servizio, il cliente si attenderà innovazioni continue in questa direzione. Semplicemente il “tenere” la velocità di sempre, per quanto già buona, non sarà sufficiente per il cliente fan per continuare a essere tale.

3. Formalizzate la vostra cultura in un bel video “Welcome Training”veicolatelo attraverso una delle splendide piattaforme e-learning presenti sul mercato e proponetelo a tutti i dipendenti nuovi e meno nuovi. E soprattutto tenete conto che i valori che proponete ai vostri collaboratori come espressione autentica del vostro brand non sono una bella premessa teorica alle operations e agli obiettivi di business, ma è proprio “dalle” operations e “dagli” obiettivi di business che deve emergere ciò in cui credete.

4. Date vita a social interni che sviluppino e favoriscano il genio collettivo (Clicca qui): avete bisogno della frazione di genio di ciascun collaboratore per trarre esempi, idee, innovazioni nella direzione della cultura che proponete. Questi social aziendali, in testa Workplace di Facebook, avvicinano tutta l’azienda al suo “cuore”, azzerano le distanze tra headquarter e periferie (store, boutique, distributori, agenti, stabilimenti…).

5. Coinvolgete i vostri promoter per davvero e non per finta, cioè per far “passare” cose che avete già deciso mascherandole da test, richieste di pareri, sondaggi… Tenete quindi aggiornato il Net Promoter Score, l’indice che misura (oltre che il tasso di passaparola positivo che i vostri fan sono disposti a realizzare) lo stato di salute che i vostri clienti attribuiscono alla vostra azienda!

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