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Mario Sala - page 11

Mario Sala has 114 articles published.

Partner di Praxis Management, società di consulenza milanese. Da oltre vent’anni anni è impegnato nel retail dei migliori brand del lifestyle nei settori della moda, del food e del design. L’attenzione crescente per i temi relativi al Cliente ha generato in lui un interesse approfondito sul tema della Customer Experience, che lo ha portato a costituire Italian Customer Intelligence e a sviluppare importanti relazioni internazionali sul tema. Il brand, che raduna partner con diverse competenze, sostiene le aziende a progettare, offrire e portare in tutto il mondo una Customer Experience superiore: in una parola, a entrare davvero “nell’Era del Cliente”. mario.sala@praxismanagement.it

SURF AIR: COME RENDERE MIGLIORE LA VITA DEI PROPRI CLIENTI CON CULTURA E INNOVAZIONE

La Customer Experience, come è ovvio, non potrà mai essere perfetta se progettata attorno a un prodotto o servizio di per sé scadente o mediocre. Non per niente, il criterio base con il quale il cliente giudica positiva la sua esperienza con un brand o un’azienda è una valutazione sulla risposta pertinente al suo bisogno (approfondisci qui).

Per questo, anche se l’offerta di un’azienda non fosse unica nel suo genere (soprattutto in quei settori tradizionalmente saturi), dovrà comunque essere buona e portata al cliente in un modo (ecco la Customer Experience!) che soddisfi o, meglio, superi le sue aspettative in termini di facilità e piacevolezza.

Spesso, le idee migliori vengono quando brand o aziende lavorano per migliorare qualcosa che già esiste sul mercato ma che è scomodo, non divertente o – più genericamente – non particolarmente attraente: si tratta di innovazioni che, in qualunque settore, rivoluzionano e “alzano l’asticella” delle esigenze dei consumatori. È quello, per esempio, che sta accadendo negli ultimi anni con la sharing economy: pensiamo a come Uber, AirBnB o i vari servizi di CarSharing hanno rapidamente trovato una risposta a differenti bisogni nascenti del mercato. O, ancora, potremmo immaginare una vita, oggi, senza Amazon, Deliveroo o Netflix?

SURF AIR: UN’ESPERIENZA PRIVATA A PREZZI DA COMPAGNIA COMMERCIALE

Vediamo più nel dettaglio l’esempio di una piccola azienda ancora molto giovane. Si tratta di SurfAir, una compagnia aerea molto particolare con base in California che attualmente opera nei cieli californiani e su qualche tratta europea. Lo scopo di SurfAir è quello di stravolgere l’idea per cui oggi volare sia un’esperienza abbastanza difficoltosa sotto diversi punti di vista. In particolare, SurfAir fa leva sulla quantità di tempo che un regolare volo commerciale richiede ai passeggeri, dall’arrivo in aeroporto, alle operazioni di check-in e di controlli di sicurezza e doganali, al volo, alle operazioni di sbarco e riconsegna bagaglio. La mission di Jeff Potter, Ceo dell’azienda, è quella di portare il viaggio tramite aereo privato a portata di chiunque (“We are providing a private emotion experience at current airline prices”) e la sua promessa principale è quella – appunto – di far risparmiare ai suoi passeggeri dalle due alle tre ore ogni volta che volano.

Ecco qui le tappe principali del Customer Journey dei passeggeri di SurfAir, spiegate attraverso il loro sito con dovizia di particolari (e di orari!):

  • Ore 9.00: Arrivo all’aeroporto nei pressi del terminal dedicato ad SurfAir dove un parcheggio privato prenderà in consegna l’auto. Niente code, niente attese, niente stress.
  • Ore 9.10: Check in ticketless con un concierge che rivolge un benvenuto personalizzato, invitando il passeggero ad accomodarsi: tra pochi minuti inizia l’imbarco.
  • Ore 9.15: La lounge dedicata è fornita di WiFi e rinfresco gratuito.
  • Ore 9.25: Incontro con i piloti del volo e imbarco diretto insieme a loro qualche momento prima del decollo. Ogni pilota vive vicino al terminal di partenza e rientra a casa alla fine della giornata. Di conseguenza, i piloti incontrano spesso gli stessi passeggeri, instaurando con loro una relazione personale.
  • Ore 9.30: Volo: sull’aereo i sedili sono posti singoli, per rispettare la privacy e la comodità dei passeggeri. Una coppia di piloti con un curriculum degno di nota è a comando dell’equipaggio.
  • Ore 10.45: Atterraggio. Il passeggero scende dall’aereo con la stessa velocità e semplicità con cui è salito e un concierge gli porge la valigia chiedendogli se ha qualche necessità particolare, come noleggiare un’auto o chiamare un Uber. Le operazioni di sbarco durano al massimo una decina di minuti.

Questa innovazione dà un enorme vantaggio al cliente metropolitano, sempre in movimento e con sempre meno tempo a disposizione: questo porta una piccola azienda come SurfAir a competere direttamente con le compagnie aeree più grandi.

Insomma, oggi brand e aziende devono pensare quotidianamente a come rendere migliore la vita dei propri clienti. Alla base di questo, oltre a una forte cultura cliente centrica, è necessario trattare l’innovazione come un lavoro di routine all’interno della propria organizzazione, tenendo sempre presente che essa non accade da sola, ma deve essere favorita.

THE GLOBAL STATE OF CUSTOMER EXPERIENCE 2017: ATTENZIONE ALTA PER IL CLIENTE AL CENTRO

È stato da poco pubblicato The Global State of Customer Experience 2017, l’ultimo report sui trend, le sfide e le priorità di investimento per i prossimi 12-18 mesi a cura di CX Network in partnership con Forrester Research.

Uno sguardo importante è dedicato alla presenza sempre più rilevante del digitale nella vita di aziende e consumatori, con aziende, dei professionisti di Customer Experience e dei fornitori di soluzioni intervistati che affermano la priorità della progettazione di una digital experience efficace, dell’analisi dei dati e l’integrazione dei canali. Interessante, in questo senso, come riporta la ricerca, è che ancora oggi la stragrande maggioranza delle aziende sia molto indietro in tema di trasformazione digitale, la quale richiede – evidentemente – nuove skills, nuovi modi di lavorare, nuove linee di pensiero e nuove regole.

Il top trend per il prossimo anno rilevato dal report, comunque, rimane ancora una necessaria attenzione alla fedeltà e al mantenimento del cliente.

Philippa Snare, EMEA Global Business Marketing Director di Facebook, intervistata durante la ricerca, attribuisce questo risultato al fatto che oggi non sia più sufficiente avere un prodotto o servizio fantastico, ma sia necessario avere una vera connessione con il cliente nel momento in cui lui condivida gli stessi valori del brand o dell’azienda. Oggi, infatti, il cliente, da una parte, cerca con il brand una relazione che sia unica, genuina e sincera, dall’altra sceglie proprio quelle aziende delle quali condivide valori ed etica all’interno dell’intera filiera (soprattutto la generazione dei Millennials, classe di consumatori che sta crescendo sempre di più).

Un trend, quello della fedeltà del cliente, sempre più difficile da perseguire (approfondisci qui i “tradimenti” del moderno consumatore metropolitano) e che pone la sfida di costruire all’interno dell’azienda una cultura davvero cliente centrica. Una cultura che non sia solo uno slogan che poi non viene mantenuto ma un vero e proprio imperativo interno che faccia mettere il cliente al centro di tutti i reparti, anche i meno vicini al cliente. Una cultura che può facilmente essere aiutata da precisi e approfonditi lavori di mappatura del viaggio del cliente che, come rilevato dal report, rimane una delle maggiori priorità di investimento da parte degli intervistati (approfondisci qui i vantaggi di una buona mappa del viaggio cliente).

VOICE OF THE CLIENT

Siamo nell’Era del Cliente che ha “soppiantato” l’Era precedente, quella dell’Informazione e del Marketing.

Oggi, il focus di aziende e clienti non è più sull’offerta del brand, ma sulla concreta e vivida esperienza che il cliente vive con ciò che il brand e la sua offerta evocano. Differenza non da poco e piena di conseguenze. Eccone solo alcune:

Tipico della precedente Era del Marketing era (ed è, per chi crede di esserci ancora) l’utilizzo del mystery shopping in tutte le sue più svariate forme e formule. Questo perché si rendeva necessario “controllare” l’offerta negli store perché fosse conforme alle direttive dell’headquarter in termini di visual, organizzazione, ordine, pulizia, esposizione e relazione di vendita con i clienti.

Oggi, però, quand’anche fosse tutto a posto all’interno del punto vendita, resterebbe da chiedersi: quale esperienza vive davvero il cliente? Le aspettative che il cliente si forma prima di entrare nello store (che saranno il criterio di giudizio dell’esperienza vissuta) corrispondono alle promesse del brand o sono influenzate da altro? Che corrispondenza vive il cliente tra la shopping experience e la Customer Experience del brand in tutti gli altri touchpoint al di fuori del negozio? E, ancora più specificatamente, quanto l’esperienza nello store, secondo i dettami della Customer Experience (clicca qui), risponde al bisogno/desiderio del cliente? Quanto gli permette di accedervi facilmente e quanto è piacevole l’esperienza mentre vive tutto questo? Mano a mano che il cliente vive la sua esperienza nello store, che cosa davvero gli fa maturare il giudizio sulla sua shopping experience: la relazione con il venditore, qualche elemento del visual, un prodotto in particolare, l’atmosfera generale? O, magari, niente di tutto questo, ma qualcosa avvenuto all’esterno del punto vendita, per esempio una pubblicità, il consiglio di un amico o un crescente passaparola (clicca qui)?

Come sarebbe utile sentire “in diretta” l’esperienza che il cliente vive nello store alla scoperta di come matura il suo giudizio di shopping experience! E quante osservazioni di carattere strategico e commerciale si potrebbero fare, specie se si scoprisse che vi sono in modo ricorrente e per più clienti elementi più strategici di altri sia in senso positivo che in senso negativo!

Tutto questo, oggi, è possibile attivando il servizio “Voice of the Client”: si tratta di registrare i giudizi che il cliente comunicherà a voce alta mentre vive l’esperienza nello store.

Contattaci per saperne di più!

JUVENTUS: “BRAND PROMISE” MESSA A DURA PROVA

A chi avesse una visione del calcio un po’ nostalgica e si lamentasse del fatto che “girano troppi soldi” e che i tifosi sono considerati “clienti”, occorre far notare che i brand più noti al mondo, invece, fanno davvero di tutto per trasformare i loro clienti in tifosi.

L’ERA DEL CLIENTE E LA CUSTOMER EXPERIENCE

Nell’era del cliente (clicca qui), caratterizzata da mercati ipersaturi e dall’emergere del cliente metropolitano (clicca qui), è sempre più difficile trattenere i clienti affezionati ed entusiasti di un brand fino al punto di farli sentire “appartenenti” ad esso. La chiave del successo è offrire una Customer Experience superiore in tutti i “touchpoint”, ovvero in ogni occasione di relazione con il brand. È stato provato che, ad alti livelli di Customer Experience, sono direttamente collegati frequenza d’acquisto, suo valore medio, fedeltà del cliente e attrazione di investimenti (in borsa per i brand quotati e – per lo più – nel retail e nel merchandising per le aziende non quotate).

LA CUSTOMER EXPERIENCE, I FAN E IL NET PROMOTER SCORE

Condizioni per offrire una Customer Experience superiore ai propri clienti sono, oltre ai necessari investimenti, avere una cultura davvero “cliente-centrica” (cosa per nulla scontata) e poter contare sui “fan” del brand. Una Customer Experience superiore, infatti, si progetta con i tifosi, clienti “fanatici” del brand che lo conoscono benissimo, lo amano e possono davvero dare indicazioni che valgono oro, oltre che, naturalmente, generare quel passaparola positivo che, nell’era del cliente, costituisce la dimensione più efficace e attendibile della comunicazione del brand (clicca qui).

Uno degli indicatori più rilevanti dello stato di salute di un brand è il Net Promoter Score, indice internazionalmente riconosciuto del passaparola che si misura considerando la relazione quantitativa tra “promoter” (veri e propri tifosi che consiglierebbero il brand ad amici e colleghi dando voto 9 o 10), “passive” (voto 8 e 7) e “detractor” (da 6 in giù). Conquistare o perdere “tifosi-promoter” determina in modo decisivo il destino di un brand e ciò dipende dal giudizio che essi danno sulla Customer Experience che vivono.

UNA PROMESSA DI INVULNERABILITÀ

La Customer Experience si basa sulla coerenza tra le promesse che – più o meno esplicitamente – il brand propone ai propri clienti e l’esperienza concreta che effettivamente essi vivono con il brand stesso. Tanto più è “alta” la promessa, quanto più – se viene mantenuta – i clienti si “attaccano” al brand (clicca qui).

Certamente, il brand Juventus, in questi anni, ha fatto ai propri tifosi-fan-promoter-clienti una promessa davvero “stratosferica” (e non è una caso che in Italia sia la squadra con più tifosi): la promessa dell’INVULNERABILITÀ. Negli ultimi sei campionati, la Juventus ha respinto ogni attacco al suo primato, conquistandolo anche dopo partenze deludenti. La Juventus ha regalato ai propri fan questa esperienza di “invulnerabilità”, tanto quanto ha fatto vivere ai fan avversari (quelli dei brand concorrenti) l’esperienza che “non c’è niente da fare contro la Juventus: sembrano davvero invulnerabili!”.

La promessa di invulnerabilità è davvero potentissima e magnifica, tanto più davanti all’evidente vulnerabilità che la vita appalesa davanti all’uomo ragionevole ogni giorno a causa degli “attacchi” del Fato, degli errori propri e degli altri e dal fatto che ciò che l’uomo ha di più caro al mondo – salute, affetti, lavoro – non stia prevalentemente e unicamente nelle sue mani.

Ma un “fronte” della vita così significativo come la genuina e profonda passione per la propria squadra è – per i tifosi juventini – segnata dall’esperienza dell’invulnerabilità, presagio positivo per tutte le altre “passioni” che contano. Invulnerabilità…infinita, dato che questa sembra proprio non finire mai, per la Juve in Italia.

L’INVULNERABILITÀ MESSA A DURA PROVA

L’arrivo di Bonucci a Casa Milan, foto di Daniele Mascolo per Milannews.it

Questa promessa, però, è oggi duramente messa alla prova con la cessione al Milan di Leonardo Bonucci che, di questa invulnerabilità, è forse il rappresentate più splendido per come ha mostrato la sua resilienza, non solo in ambito sportivo. Bonucci è come Achille, al quale la dea del calcio ha conferito l’invulnerabilità che è risultata decisiva in molte battaglie. Il Milan, quindi, ha acquistato ben più di uno degli atleti più forti del brand rivale: ha acquistato la promessa di invulnerabilità.

Così si piega il tripudio di gioia dei tifosi milanisti che hanno accolto Bonucci come un eroe, accorrendo a migliaia per assistere al suo primo ingresso in Casa Milan. Quel Bonucci che era tanto deprecato quando era avversario: i tifosi milanisti, attraverso di lui, sperano di vivere la medesima promessa di invulnerabilità che sono convinti di aver sottratto alla Juventus, decretandone la fine della catena di successi.

Certo, ogni Achille ha il suo Paride, ma il Dottor Fassone, indiscusso leader di questa prima fase di mercato (con tanto di tormentone “Passiamo alle cose formali”), conta che questo sia nascosto nell’anima di qualcuno degli innumerevoli atleti che ha acquistato per conto del Milan, cosicchè nemmeno Achille abbia da temere per il suo tallone.

 

 

Con questo articolo, News & Customer Experience, comincia un viaggio alla scoperta delle “brand promise” delle più forti squadre italiane ed estere, anche a beneficio di altri business “a caccia” delle promesse giuste per trasformare i loro clienti in tifosi!

LA RELAZIONE TRA NET PROMOTER SCORE E CX INDEX

Il Net Promoter Score (NPS – clicca qui) è certamente un eccellente rilevatore del livello di Customer Experience offerto ai clienti. La leva che più influenza il Net Promoter Score, infatti, è proprio la Customer Experience ed è stata provata la stretta relazione fra NPS e CX Index.

Inevitabilmente, tale relazione è tanto più clamorosa quanto più, nel lavoro del Customer Experience Office, si interviene sui touchpoint a elevato impatto per il cliente.

È, quindi, interesse di ogni brand costruirsi un Customer Experience Index interno proprio per monitorare i risultati dei cambiamenti “ad alto impatto” proposti all’esperienza concreta del cliente nel suo Customer Journey.

Il Customer Experience Index misura, infatti, l’esperienza del cliente all’interno di tre grandi “cluster” di valutazione (Harley Manning, Outside In): quanto l’esperienza con il brand ha risposto pertinentemente al bisogno del cliente, quanto “facile” è stato accedere e utilizzare l’offerta proposta e quanto “piacevole” è stata la relazione con il brand “mentre” tutto questo avveniva.

All’interno di questi tre cluster, certamente, ogni brand sa bene quali sono i fattori che impattano maggiormente sulla Customer Experience ed è proprio per questo che è utile costruire indici di brand anche come “direzione” da imprimere all’ecosistema aziendale.

Il tutto a vantaggio del “passaparola”, apice di una Customer Experience memorabile.

LEADERSHIP & CUSTOMER EXPERIENCE

Culture Community Ideology Society Principle Concept

Il tipo di leadership esercitata all’interno dell’azienda influisce anche sul tipo di differenziazione dai competitor di quell’azienda, cioè su quegli accenti e sfumature (o ben di più) di diversità che giungono fin nella progettazione di un prodotto o di un servizio.

Queste affermazioni, la cui verità è facilmente verificabile, diventano dirompenti quando, ahimè, si “promette” al cliente un’esperienza (per approfondire clicca qui) in distonia col tipo di leadership (esplicita o implicita) esercitata in azienda.

Così sarà difficile, per esempio, promettere al cliente “facilità” nella risposta al suo bisogno che la nostra offerta costituisce, se la leadership nella nostra azienda genera in continuazione complessità di tipo organizzativo e di processo. Oppure promettere divertimento o relax ai clienti se la leadership nella nostra azienda produce noia e stress.

Per non parlare delle promesse di centralità del cliente quando i leader aziendali, invece che invitare le persone a guardare e ascoltare il cliente, pongono se stessi al centro dell’azienda cosicché, fin dal primo mattino, entriamo al lavoro col pensiero del “capo”, invece che rivolgendo le nostre “preoccupazioni” al cliente (esterno o interno che sia).

C’è una inevitabile relazione tra l’esperienza che vive il cliente e quella che si vive nell’ecosistema aziendale (clicca qui per approfondimenti).

Per mettere davvero al centro il cliente, la leadership da adottare nella propria impresa è la leadership valorizzativa, ovvero quella leadership che parte dalla valorizzazione dell’intraprendenza dei collaboratori nel mettere al centro delle loro relazioni il cliente e la sua esperienza concreta (che è sempre in evoluzione!).

Occorre intraprendenza (“prendere dentro” – “portare dentro”) per mettere al centro delle proprie relazioni professionali il cliente. Il cliente non viene da solo al centro della nostra mansione o del nostro settore aziendale: occorre “andarlo a prendere”! Se non si fa così, il centro del nostro lavoro è occupato, normalmente, da “altro” o “altri”.

CUSTOMER EXPERIENCE, DANTE E IL POTERE DELL’IMMEDESIMAZIONE

S’io mi intuassi, come tu t’inmii

Paradiso, Canto IX

La Customer Experience è “questione” di immedesimazione e metodo (approfondisci qui).

La prima senza il secondo rimane a mezz’aria e non diventa mai valore tangibile per il cliente e il secondo senza la prima rimane un percorso che gira su se stesso…senza destinazione!

La capacità di sapersi immedesimare con gli altri (e quindi anche con il cliente) è davvero stupefacente in alcune persone che sembrano proprio vivere la vita di chi incontrano, “sentendo” su di sé l’esperienza degli altri.

Si tratta di persone “influenzabili” (approfondisci qui), preziose proprio perché l’esperienza dell’altro, invece che “scivolare” addosso, rimane attaccata e influenza testa e cuore di chi sa immedesimarsi: prende il centro della sua attenzione! Da qui parte – genuinamente – la “clientecentricità”. Si tratta, quindi, di persone “deboli”, appunto perché così influenzabili?

Tutt’altro!

Dante attribuisce questa prerogativa – in esclusiva – a Dio e a colore che, vivendo in Paradiso, riflettono – assorbendola – questa “divina” facoltà che è l’immedesimazione.

Spesso, durante il lungo viaggio della Divina Commedia, tanto Beatrice quanto Virgilio avevano letto i pensieri di Dante facendo vivere al Poeta l’esperienza di essere compreso fino nella profondità del suo essere. Non ci sono parole per descrivere questa esperienza dell’essere così compresi, così oggetto di immedesimazione. Tanto che Dante deve inventarne di nuove, creando neologismi pronominali:

“Già non attendere’ io tua dimanda, s’io m’intuassi, come tu t’inmii…”.

Io non attenderei da te domande, se potessi immedesimarmi in te come tu ti immedesimi in me (fino a conoscere i miei desideri più veri).

Insomma, l’immedesimazione è “affare” di Dio e quelli che ce l’hanno sembrano che lo frequentino o che siano, in un certo qual modo, già in Paradiso!

In attesa, speriamo, di esserci tutti quanti, Kerry Bodine consiglia comunque di non pensare di sapere già che cosa vuole il cliente.

Certo che, comunque, poter contare, in azienda, su persone “immedesimate” è un gran vantaggio!

VELOCITÀ, QUALITÀ E…TRADIMENTO: I PARADIGMI DEL CONSUMATORE METROPOLITANO

Una recente ricerca della McKinsey (Urban World: the global consumer to watch, Aprile 2016) ha evidenziato i cambiamenti che stanno avvenendo nel panorama mondiale dei consumatori e che caratterizzeranno i prossimi anni fino al 2030.

Il dato più importante emerso all’interno della ricerca è che nel 2030 la popolazione mondiale si aggirerà tra i 7.8 e gli 8.5 miliardi di persone, la metà delle quali vivrà nelle città – stiamo parlando di cifre intorno ai 4 miliardi di persone! – e genererà l’81% del consumo globale e ben il 91% della crescita del consumo globale nel periodo 2015-2030.

Occorre, quindi, “fare business” con il “moderno consumatore metropolitano”, che diverse ricerche hanno profilato secondo nuove e specifiche caratteristiche, veri e propri paradigmi, cioè criteri con i quali il consumatore valuta la globalità della società contemporanea e in essa l’offerta di prodotti e servizi che, appunto, sta sviluppandosi sempre di più nelle grandi città.

Tale notizia è rilevante non solo per le aziende B2C, ma anche per quelle B2B poichè questi paradigmi, questi criteri, considerando la globalità della società contemporanea, influenzano allo stesso modo anche la valutazione dei prodotti e servizi destinati alle aziende.

La prima caratteristica-paradigma riguarda innanzitutto la velocità. In una piccolissima quantità di tempo, la tecnologia ha cambiato in modo sconvolgente come le persone richiedono e ricevono prodotti, servizi e informazioni. Le aspettative del consumatore sono evolute nel riflettere l’immediatezza e l’urgenza come componenti chiave di servizio e affidabilità. Viviamo in una cultura che si aspetta che interazioni e comunicazioni avvengano (quasi) in real time e in modo comodo, in qualunque settore, in qualunque ambito.

La seconda caratteristica-paradigma del moderno consumatore metropolitano è quella di non fare più sconti alla velocità, desiderando il meglio, la qualità vera (nel prodotto come nel servizio), anche se in una manciata di minuti. La combinazione “velocità-lowcost-bassa qualità” non è più accettabile ormai, in favore di un più diffuso “veloce e bene”. Dove “veloce e bene” si intende a 360°: nella produzione, nella distribuzione, nell’informazione, nella comunicazione, nei canali di contatto, nell’ambientazione, nel retail, …

Nel frattempo, nel 2011 è iniziata l’Era del Cliente (così come la ha individuata la Forrester Research, società indipendente quotata al Nasdaq, tra le prime al mondo nelle ricerche sui consumatori). Il cliente è più informato, più esigente, ha accesso a una grande varietà di offerte in modo estremamente facile e veloce, aiutato anche dalla tecnologia.

Un cliente metropolitano (questa la sua terza caratteristica-paradigma) che fa sua la prerogativa di libertà e di potere di scelta: una valutazione permanente di alternative all’interno di quella che è tutta la sua realtà personale, dove acquista un profumo, un’auto, dove sceglie una compagnia telefonica, una marca di pasta al supermercato, il computer più adatto, così come l’hotel dove soggiornare in vacanza. Ma anche all’interno della sua realtà professionale: l’agenzia alla quale affidare la comunicazione della propria azienda, l’assicurazione, gli sviluppatori di software, e via dicendo tutti i fornitori… La ricerca di alternative è, da parte del cliente metropolitano, sistematica e attenta e rende sempre più difficile, anche a brand importanti e famosi, trattenerlo in modo fedele.

Ecco perché gli indici del Net Promoter Score, che misura il tasso di Promoter fedeli ed entusiasti che garantiscono al brand un passaparola positivo, è in calo planetario, a vantaggio dei più moderati “Passive”, coloro che al brand danno un voto pari a dei tiepidi 7 o 8.

La novità incredibile di oggi, però, non è tanto che il cliente voglia la velocità, la qualità, o la libertà di scelta. La novità straordinaria, quella a cui prestare attenzione, è che oggi, per la prima volta, queste esigenze, questi paradigmi, questi criteri con i quali il cliente valuta tutta la realtà sono simultanei! Questa simultaneità porta ad alcune importanti conseguenze:

1) CONQUISTA CHI È GIÀ TUO!

Le aziende sono obbligate alla continua riconquista del cliente o, meglio: lo slogan delle aziende diventa “conquista chi è già tuo”. Il cliente, infatti, non sceglie mai per sempre e una volta per tutte, non vuole impegnarsi, non è fedele. Anche dopo che un’esperienza vissuta con questo o quel brand di prodotto o servizio è stata positiva e soddisfacente (Customer Experience superiore), la volta successiva riesaminerà attentamente le sue opzioni, non per forza scegliendo chi la volta precedente lo ha accontentato con successo.


2) LA NOVITÀ È L’AGO DELLA BILANCIA TRA TRADIMENTO E FEDELTÀ

Questo implica per le aziende una continua ricerca di novità. Non tanto una rottura rispetto ai valori del brand o rispetto alla sua proposta di Customer Experience, ma una novità di organizzazione, processo o servizio che riconfermi gli stessi valori del brand e li faccia vivere in modo rinnovato e innovativo ai clienti. In questo senso, la competizione può addirittura diventare virtuosa, trasformando il competitor in un vero e proprio con-corrente, qualcuno che corre insieme nello stimolo di innovazione e miglioramento, alzando sempre l’asticella “minima” dell’intero settore di riferimento, ma non solo, anche trasversalmente a differenti segmenti. Tenendo conto che il cliente metropolitano si recherà sempre dove trova la novità, indipendentemente da come siano andati gli “affari” in precedenza, tanto che la stessa novità diventa l’ago della bilancia tra un suo tradimento e la sua fedeltà.


3) IL METODO STANISLAVSKIJ

Per le aziende diventa quindi sempre più importante l’immedesimazione con il cliente: con gli obiettivi del cliente finale nel B2C (che, come abbiamo visto, corrispondono a velocità, qualità e libertà di scelta) e con gli obiettivi aziendali (e, quindi, con le persone che formulano questi obiettivi e che, a loro volta, avranno esigenze di velocità, qualità e libertà di scelta) nel B2B. Un po’ come propone il famoso metodo Stanislavskij, seguito dai più famosi attori al mondo per entrare nella parte del personaggio che devono interpretare, è necessario che le aziende abbiano una capacità di lasciarsi influenzare da quelli che sono i desideri e i sogni dei clienti, facendoli propri, sentendoli sulla propria pelle. Tutti a scuola da Stanislavskij, quindi, ognuno a “misurare” la propria capacità immedesimativa (clicca qui) e, a partire da quella, seguire il rigoroso e quasi ingegneristico metodo per progettare una Customer Experience superiore.


4) OUTSIDE IN VS INSIDE OUT

Nell’Era del Cliente, perché si possa raggiungere in modo efficace questo grado di immedesimazione, non basta più un semplice “orientamento al cliente” (chè, già di per sé, indica una partenza da un luogo diverso da quello del cliente), ma è necessario portare all’interno del proprio lavoro e della propria azienda non solo la “visione” del cliente, ma proprio l’esperienza concreta che egli vive, secondo un approccio chiamato “Outside In”, dall’esterno all’interno. Solo in questo modo è possibile progettare e creare una Customer Experience che soddisfi le esigenze del cliente in modo facile e piacevole.


5) SEMPLICITÀ: UN AFFARE DA LEADER

In particolare, il cliente cerca “spasmodicamente” la semplicità nelle risposte al suo bisogno/desiderio, nella facilità ad accedere all’offerta che a esso risponde, nella piacevolezza che, senza semplicità, sarebbe negata. “Semplificare” le cose al cliente impone un difficile (ma fondamentale e fruttuoso) lavoro di business intelligence anche all’interno della propria azienda, spesso così affannata in processi operativi, produttivi, distributivi, di vendita e, alla fine, decisionali troppo complessi.

La semplicità non è affatto facile da raggiungere, ma è frutto di un meticoloso lavoro di far ispirare in modo diretto ogni azione e relazione all’interno e all’esterno dell’impresa dal proprio sogno aziendale e dalla propria mission. Il sogno e la mission non saranno più solo la via per definire gli obiettivi aziendali, ma ispireranno direttamente e indicheranno la via di strategie, azioni e progetti che si rendono necessari all’interno del mercato di azione.

LE FRASI KILLER DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Ecco alcune “perle”, ascoltate in diretta, che sono un vero e proprio “attentato” al tentativo di offrire una Customer Experience superiore ai propri clienti.

Ovviamente, tanto più potere in azienda ha l’ “urlatore” di tali frasi, tanto più potente e devastante è l’attacco.

Eccole, raccolte come fior da fiore:

 

È VENERDÌ: QUANTO TEMPO AVETE EFFETTIVAMENTE DEDICATO AI CLIENTI QUESTA SETTIMANA?

Ammettiamo che, arrivati a venerdì sera, possiate calcolare le classiche 40 ore lavorative (sappiamo che per molti fra voi sono anche di più..). Divertitevi a “contare” quante ore avete effettivamente lavorato per chi vi paga lo stipendio: il cliente!

Osservate questo pendolo:

Pendolo

Il vostro lavoro “ondeggia” fra attività orientate a portare un beneficio (o a risolvere un problema) della vostra organizzazione e quelle orientate a lavorare sodo per il cliente, offrendogli una customer experience sempre superiore e in linea con le “promesse” che la vostra azienda fa.

Riguardate l’agenda della settimana, considerate riunioni, incontri, viaggi, attività di “studio”, perdite di tempo, conflitti fra le persone, disfunzioni, opportunità… Sì, insomma, uno sguardo generale, per quanto superficiale.

Quante ore di lavoro avete effettivamente dedicato al vostro concreto cliente? (O, per lo meno, al cliente interno?) Certamente, quelli che hanno uno spirito dialettico brillante, possono obiettare che il loro lavoro non va a “peso” e che, in quella mezz’oretta settimanale dedicata al cliente, hanno varato una svolta epocale: probabilmente avete ragione..

Altri potranno opporre che, lavorando prevalentemente per la propria organizzazione, di fatto, e per via indiretta, portano benefici al cliente finale: ma certo..

Altri ancora, non avendo letto l’articolo “Six Degrees e il Cliente al centro”, potrebbero sottolineare che un numero troppo alto di clienti interni “organizzativi” li separa dai clienti finali: obiezione accolta..

Tutto giusto, ma..

QUANTE ORE, SU QUARANTA, AVETE EFFETTIVAMENTE DEDICATO AL VOSTRO CLIENTE QUESTA SETTIMANA?

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