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Gabriele Mancosu - page 4

Gabriele Mancosu has 44 articles published.

Manager consultant di Praxis Management e News & Customer Experience. Dal 2012 è impegnato nello studio del cliente del segmento Fast Casual e nell’applicazione pratica delle best practices di customer experience alla realtà organizzativa e quotidiana delle organizzazioni di ristorazione. Da 6 anni riporta la voce e l’esperienza del cliente in alcuni prestigiosi brand della ristorazione; per questi ultimi si occupa anche della progettazione e formalizzazione di mansionari e procedure per migliorare l'esperienza del cliente e della loro diffusione attraverso programmi didi formazione in e-learning e video. Esperto della mappatura dei touchpoint (punti di contatto cliente/brand), ne verifica la corrispondenza con le promesse del brand dal punto di vista del cliente, al fine di proporre significative innovazioni. gabriele.mancosu@praxismanagement.it

ANTONIO CIVITA (PANINO GIUSTO): LA BOLLA DELLA RISTORAZIONE A MILANO? È IL BELLO DELLA COMPETIZIONE!

Antonio Civita

Antonio Civita è C.E.O. e co-owner di un brand storico, nato nel 1979: Panino Giusto. Abbiamo conosciuto Antonio nel 2012 e fu proprio lui, per la prima volta, a parlarci della ristorazione Fast Casual. Già in quei giorni Antonio Civita prevedeva quella che, oggi, abbiamo chiamato La bolla della ristorazione a Milano”; è sicuramente il più visionario e, allo stesso tempo, concreto imprenditore italiano nel settore del Fast Casual! Prova ne è lo sviluppo italiano e internazionale che ha saputo dare a Panino Giusto. Il grande sviluppo di Panino Giusto voluto da Antonio si è concretizzato in questi anni ed è tuttora in pieno svolgimento, nuove aperture internazionali sono previste anche per il 2018. Antonio ha certamente favorito e accompagnato questo sviluppo del brand portando innovazione e, soprattutto, un approccio al lavoro tutto orientato all’esperienza del cliente, che ha voluto e saputo instillare in ogni singolo ufficio della sua azienda.

N&CX: Antonio, pensa ci sia un bello in questa competizione?

Antonio Civita: innanzitutto la competizione c’è sempre quando emerge una prospettiva, una “promessa” positiva che tanti riconoscono tanto essa è evidente (e infatti in tanti si buttano per raggiungerla). La prospettiva positiva, nel caso del nostro mercato, è data dal fatto che mentre il mercato generale della ristorazione è super saturo, il segmento cosiddetto Fast Casual cresce proprio “mangiando quote” dalla ristorazione generale. Dove c’è la prospettiva, c’è anche la possibilità di ricchezza, cioè la possibilità di investire in persone, idee innovative e strutture per avere maggiori opportunità di competere bene. Dove c’è “ricchezza”, ci sono risultati, “margini”, investimenti, benessere, sviluppo, occupazione, lavoro, conoscenza, cultura e bellezza. Io ho una concezione di competizione come con-correnza! Cosa vuol dire con-correre? Vuol dire correre insieme! Correre insieme verso un obiettivo. Si corre insieme perché, guardandosi, emulandosi, “invidiandosi”, ci si migliora, si dà il meglio di se stessi a tutto vantaggio del cliente finale. Questo è davvero il bello, si tira fuori il meglio di sé.

N&CX: quindi possiamo dire che tutti i player, i brand vecchi e nuovi che competono, tirano fuori il meglio di loro stessi?

Antonio Civita: chi tira fuori il meglio di sé? Panino Giusto? Princi? Ca’puccino? Spontini? No. Le “aziende” non esistono; sono “finzioni”, sono muri, scrivanie, software. Esistono le persone! Panino Giusto siamo io, le ragazze e i ragazzi nei locali, i manager… Assieme, tiriamo fuori il meglio di noi per una sana con-correnza. Ecco perché guardiamo sempre con rispetto e in fondo con gratitudine ogni competitor. Per la portata di bene che può derivarne per ciascuno di noi. Certo… Mentre ci facciamo reciprocamente del bene… Si compete per la conquista del cliente!

N&CX: qual è l’opportunità che si nasconde dentro la fatica enorme che la competizione implica?

Il panino “Madras”

Antonio Civita: quando la competizione è forte, chi “ce la fa”, entra nella storia, “fa” la storia della ristorazione, fa qualcosa di storico e… Positivo! Questa è l’opportunità per il nostro brand e per le persone che ci lavorano.

N&CX: cosa è chiesto oggi a Panino Giusto?

Antonio Civita: a partire da me, noi di Panino Giusto sento che siamo chiamati ad entrare in una “nuova azienda”, a varcare un’altra porta, che ci fa entrare in un’azienda nuova nella quale dobbiamo cercare tutti di farci assumere. Certo tutto quello che abbiamo fatto in questi anni e imparato è un bel biglietto da visita per farci assumere, ma non è sufficiente. Dobbiamo, come tutti, imparare a competere.

N&CX: qual è il premio che questa competizione mette in palio ai brand che dimostrano resilienza?

Antonio Civita: è cambiato il mondo, il cliente, le tecnologie, le infrastrutture, la “concezione” del cibo, del pranzo, della giornata, del benessere: tutto è cambiato! Il premio a chi resiste è quello di chi sa dare il benvenuto a una novità e accoglierla, non difendersi, strafare e… Fallire. A livello di brand e, soprattutto, a livello personale, in un certo senso, impariamo a “stare al mondo” passando attraverso gli errori, guardando gli altri con umiltà, curiosità e desiderio di imparare (Steve Jobs la chiamava “fame”).

GIACOMO MONCALVO (CA’PUCCINO): LA BOLLA DELLA RISTORAZIONE È PARTITA 30 ANNI FA

Giacomo Moncalvo

Abbiamo conosciuto Giacomo Moncalvo nell’Ottobre del 2017 quando, in compagnia del nuovo Marketing Manager di Ca’puccino Alessandro Pregel, ci ospitò nello splendido locale di Piazza Diaz a Milano. Di fronte ai cicchetti di Ca’puccino (crostini di focaccia da condire con alici, culatello e altre prelibatezze) e a delle ottime uova alla benedettina, Giacomo Moncalvo espresse fin da subito le sue considerazioni rispetto al mercato della ristorazione milanese, confrontandolo sovente con quello londinese. Fin da questo primo incontro ascoltammo Giacomo Moncalvo con grande interesse, attratti sia dalla grande esperienza maturata in questi anni da pioniere (assieme a pochi altri) nel retail della ristorazione, sia dalla simpatia e dall’acume tipici dell’imprenditore che, giunto da un’altra città, è oramai più milanese dei milanesi stessi.

News&CustomerExperience: Dt. Moncalvo, alla fine è “scoppiata”. La bolla della ristorazione è qui ed ora, a Milano. Cosa ne pensa dei numeri strabilianti (leggi qui) che, nel solo centro città di Milano, sta esprimendo la ristorazione Fast Casual?

Giacomo Moncalvo: sì, i numeri sono impressionanti, anche se me li aspettavo! Oserei dire che più che “scoppiata”, la bolla della ristorazione è “arrivata” a Milano!

N&CX: intende dire che non è un fenomeno che nasce e si manifesta tipicamente in Italia e a Milano?

Moncalvo: esattamente! La bolla della ristorazione è partita da Londra, 30 anni fa! Oggi capita molto spesso di sentir parlare della classica storia della coppia di amici che lancia un “nuovo progetto”, un “nuovo format di ristorazione”. Ma in UK questo avveniva esattamente 30 anni fa. Faccio un esempio: Pret a Manger, che oggi esprime circa 490 punti vendita e un fatturato di oltre 700 milioni di sterline, è stato fondato nel 1986 proprio da due amici, Sinclair Beecham e Julian Metcalfe. Questo naturalmente è solo un esempio specifico, ma quello che voglio dire è molto semplice: la bolla è esplosa, ma il mercato (player, fornitori, supply chain, e così via), non è ancora così pronto come ci si aspetterebbe da una tale esplosione di insegne e punti vendita.

Il consumo delle famiglie per i pasti fuori casa è molto simile, di contro, per Italia (78 miliardi di euro nel 2016 secondo il rapporto FIPE) e UK (74.1 miliardi di sterline nel 2016, fonte Statista) e ad una lettura superficiale parrebbe che nei due paesi il mercato della ristorazione sia simile. Si capisce però al volo che non è così: oltremanica i protagonisti del mercato sono soprattutto le catene, i brand che esprimono almeno 10 punti vendita. In Italia accade l’esatto contrario!

N&CX: quali sono le conseguenze che si riverberano per l’esperienza del cliente che “vive” la bolla della ristorazione milanese?

Moncalvo: innanzitutto è positivo che i clienti abbiano a disposizione una così variegata e ampia offerta, l’hanno “pretesa” proprio loro! Ma il rovescio della medaglia è che ancora – rispetto ad una città come Londra – troveranno dei brand che, per la maggior parte, non dedicheranno troppa attenzione all’esperienza dei clienti stessi. Quando sei all’inizio e stai mettendo tutte le energie nel “fare catena” e aprire locali, tutti i tuoi sforzi si concentrano sull’organizzazione, sulla logistica, sull’IT, e così via. Purtroppo, quando si è agli inizi, ci si dimentica che, tra tutti i mille problemi quotidiani, l’esperienza superiore è comunque da assicurare al cliente! Bisogna davvero non “mollare un centimetro” e sudare tanto per rimanere a galla e prosperare dentro questa “bolla”! Il bello di questa “bolla” è, in sintesi, proprio il fatto che si sta creando il mercato. Il brutto è che, inevitabilmente, ci sarà qualche insegna che non reggerà e dovrà mollare.

ca’puccino ca’rd

N&CX: Ca’puccino quali mosse intraprende alla luce di questa enorme concorrenza che sta esplodendo?

Moncalvo: Ca’puccino è nato nel 2006. Tutti questi anni ci sono serviti molto per organizzarci bene, mettere a posto tutti quegli aspetti necessari per una catena; a volte, magari, dovendo imparare dai nostri errori, ma sicuramente adesso ci troviamo pronti per questa competizione spaventosa ed entusiasmante. Fortunatamente, dopo aver sistemato logistica, IT, recruiting, training, etc. possiamo davvero dedicarci al lavoro per lesperienza del cliente. Da poco è partito il nostro programma loyalty, per esempio, che ci permetterà di conoscere sempre meglio i nostri clienti e, quindi, organizzarci per soddisfarli e far vivere loro sempre un’esperienza memorabile!

N&CX: visto che siamo in tema concorrenza ed esperienza del cliente: a chi guarderà Ca’puccino come modello e spunto per un’offerta di customer experience in linea con le promesse che il brand fa ai propri clienti?

Moncalvo: sicuramente lo sguardo non si ferma alla sola ristorazione (con attenzione sempre ai brand d’oltremanica), ma sicuramente si posa e indugia sul mondo del fashion. I brand della moda hanno sicuramente da insegnare qualcosa di davvero utile rispetto alla customer experience!

N&CX: siamo partiti in questo dialogo da Milano, commentando lo studio “La bolla della ristorazione milanese”. Siamo passati per Londra e per il Regno Unito per indicare un mercato della ristorazione che può definirsi pronto. Infine, siamo tornati all’Italia e Milano, città della moda! E Ca’puccino che “viaggio” intraprenderà nei prossimi anni?

Moncalvo: come le recenti aperture dimostrano, continueremo lo sviluppo, anche all’estero. Lo sguardo sarà sempre attento all’Italia e al consumatore metropolitano italiano che, confermate anche voi, è sempre un banco di prova severissimo ed esigente.

435 GIORNI CONSECUTIVI DA CHIPOTLE

Chipotle Mexican Grill ha ufficialmente riconosciuto a un uomo dell’Ohio di aver stabilito il record per aver mangiato più giorni consecutivi da Chipotle.

Il nome dell’uomo è Bruce Wayne, che si è scoperto essere un grande fan di Batman (il cui nome “civile” è, appunto, proprio Bruce Wayne). In un comunicato stampa, Chipotle ha dichiarato: “Anche se questo potrebbe non essere per tutti il buon proposito per il 2018, sicuramente mostra che il nostro menu di ingredienti genuini e freschi offre qualcosa per tutti – anche per i supereroi“.

Bruce ha infatti mangiato per 435 giorni di fila (a oggi) almeno un pasto al giorno da Chipotle. In realtà, la notizia che esista un record riconosciuto per mangiare più giorni di fila da Chipotle non è la parte più strana della storia: per celebrare quest’impresa “eroica”, Chipotle ha presentato il signor Wayne con un mantello e dei polsini da supereroe personalizzati alla Chipotle” proprio nei giorni in cui si stabiliva il record! Inoltre, Chipotle ha dichiarato che reinvestirà i dollari che il signor Wayne ha speso per stabilire il suo record in una donazione a un’organizzazione non-profit a sua scelta.

Secondo Chipotle, Wayne ha iniziato la sua sfida il 30 ottobre 2016 dopo esser venuto a conoscenza del progetto di Chipotle di aprire una nuova sede a Tiffin, la sua città: non conoscendo il brand ha deciso di fare ricerche in merito ed ha scoperto la storia di un assiduo cliente che era riuscito a consumare un pasto da Chipotle per 425 giorni consecutivi, pur rimanendo in perfetta forma fisica. Una volta provato il brand nel nuovo punto vendita cittadino, Wayne ha quindi deciso di diventare il nuovo detentore del record.

Giorno dopo giorno ci impegniamo a servire i nostri clienti gli ingredienti più gustosi e genuini che possiamo trovare ed è bello vedere che un cliente come Bruce sia tanto affezionato a noi come noi lo siamo a lui“, ha dichiarato Chris Arnold, direttore della comunicazione di Chipotle.

Chipotle, ancora una volta (leggi qui) si dimostra un brand attento all’esperienza dei clienti e, nonostante la caduta di circa un anno fa (leggi qui), coglie subito l’occasione al balzo per evidenziare uno dei principi della Customer Experience: il rispetto delle promesse che fa ai propri clienti. Ingredienti sani e nutrienti che rispettano la Terra e la salute dei clienti al punto che è possibile mangiare da Chipotle per 435 giorni consecutivi… In attesa di un nuovo record!

Infatti, anche se il signor Wayne è ora l’orgoglioso detentore del record di Chipotle, dice che non ha intenzione di fermarsi. Intanto, il suo intero viaggio è documentato sul suo profilo personale su Instagram (@mrwaynethebat), incluse foto quotidiane del suo ordine e il relativo scontrino.

 

Ph Credit: @mrwaynethebat

HOT HOT HOT: 15 GRADI PER UN’ESPERIENZA INDIMENTICABILE

Il fast casual è il segmento della ristorazione che più sta portando significative innovazioni per il cliente nell’intero settore negli ultimi anni. Un anno fa l’annuale report di Technomic (top 500 Chain Restaurant Report), oltre ad attestare la continua crescita di questo settore (11,5%), segnalava che tra i cinque brand che avevano avuto un maggiore sviluppo nel 2015, appunto, tre erano nuove catene di pizzerie fast casual (qui l’articolo intero).

Ma la “battaglia sul delivery della pizza” negli Stati Uniti non vede contrapposte le sole insegne appena nate, anzi: lo scontro si gioca anche tra i “titani”, veri e propri padri fondatori del segmento fast casual specializzato nella pizza. L’ultima mossa risale a meno di 24 ore fa (10 ottobre 2017), compiuta da Pizza Hut, ed è facile intuire che il fragore sia arrivato dritto anche dalle parti di Domino’s Pizza.

“La prossima pizza di Pizza Hut che arriva a casa tua sarà più calda anche di 15°C rispetto a quanto accaduto fino ad oggi”. Questa è la promessa che Pizza Hut ha appena fatto ai propri clienti. È una promessa importante. Sappiamo bene come il cliente metropolitano non transiga sulla qualità del prodotto e un aspetto della qualità della pizza è proprio il calore che può esaltarne al massimo il gusto. Quante volte ognuno di noi ha detto che la pizza buona è quella mangiata al momento in pizzeria? Centinaia, almeno. Zipporah Allen, vice direttore marketing del brand Pizza Hut, spiega questa decisione dicendo che quello che maggiormente desiderano i clienti è “una pizza calda”.

Pizza Parka System

Come può permettersi Pizza Hut di fare questa promessa ai propri clienti che utilizzano il servizio di delivery diretta del brand? Grazie ad un sistema appena implementato e che è costato ben due anni di studi e prove: Pizza Hut lo ha chiamato “Pizza Parka” e lo sta promuovendo attraverso tutti i canali social, tanto da totalizzare in poche ore oltre 10.000 visualizzazioni su Youtube.

La comunicazione del brand è molto divertente: assieme al nuovo sistema riscaldante viene promosso, sempre all’interno del progetto “Pizza Parka”, proprio il nuovo cappotto invernale dei fattorini che si occupano delle consegne. Il messaggio è chiaro: grazie alla nuova tecnologia che abbiamo sviluppato a voi (clienti) arriverà la pizza calda come appena sfornata e i nostri fattorini lavoreranno in situazione di confort e comodità”. I video sono divertentissimi e, tra il serio e il faceto, annunciano la novità ai clienti e ai competitor.

Domino’s Pizza ha, dal canto suo, sviluppato il proprio sistema che consente di mantenere calda la pizza consegnata a domicilio da diversi anni. Non siamo quindi di fronte ad una novità tecnologica così disruptive nella “battaglia sul delivery della pizza”, ma, sicuramente, davanti alla prova che la qualità che il cliente esige è uno dei nuovi territori da “frequentare”, anche nella comunicazione dei brand e che non bastano più timide campagne fotografiche o newsletter.

Pizza Hut e Domino’s insegnano a tutti i brand, a maggior ragione a quelli italiani meno “aggiornati” sulle potenzialità di sviluppo, che un servizio gestito direttamente per le consegne a domicilio e il take away può garantire un’esperienza davvero in linea con i valori e le promesse del brand stesso. Gestendo direttamente questi servizi il cliente sarà inequivocabilmente un cliente del brand, non del provider di turno (JustEat, Foodora, Glovo, Deliveroo): questo è il punto su cui si gioca la partita oggi! Avviare un ufficio che si occupi della gestione dello sviluppo del brand “al di fuori dei locali” è oramai obiettivo dei più rinomati brand della ristorazione che desiderano soddisfare, stupire e ri-conquistare ogni giorno i propri clienti. Un esempio recente e prestigioso arriva da Panino Giusto, che ha appena lanciato i suoi servizi business di delivery e digital take away, adottando proprio un sistema che garantisce l’arrivo del panino caldo e croccante!

L’approccio da intraprendere è quello “olistico” della Customer Experience, del metodo di immedesimazione con il cliente che è capace di guidare le funzioni aziendali nella progettazione e nell’esecuzione di un’esperienza memorabile. Come fanno Pizza Hut e Domino’s ogni giorno, per centinaia di migliaia di clienti!

In attesa della risposta di Domino’s (i rumors ci sono arrivati alle orecchie) vi lasciamo proprio con questa domanda: quanti clienti vi stanno aspettando nei loro uffici e nelle loro case desiderosi della vostra qualità?

THIS IS NOT A SUSHI BAR: QUALITÀ E PUNTUALITÀ A DOMICILIO

This Is Not A Sushibar è stato fondato nel 2007. Marchio nato da un desiderio di dare una vocazione internazionale all’azienda, smarcandosi dalla tradizione giapponese, che non appartiene alla storia dei fondatori. Ha aperto i suoi 3 punti vendita nel centro di Milano, garantendo un servizio di delivery di alta qualità per l’intero territorio della città. La sua filosofia è quello di proporre un sushi di alta qualità preparato al momento, servito principalmente a domicilio, con standard di servizio di altissimo livello per puntualità, servizio clienti, tecnologie di ordinazione e tracking dell’ordine, smart payment.

Abbiamo intervistato Matteo Pittarello, socio fondatore, per scoprire come si posiziona il brand all’interno del segmento del Fast Casual e quale sia la sua offerta di Customer Experience.

In Italia solo oggi si inizia a sentir parlare di Fast Casual. La curiosità e l’interesse per questo particolare segmento di mercato stanno aumentando grazie al suo successo nel mondo anglosassone. Pensiamo che THIS IS NOT A SUSHI BAR sia a tutti gli effetti un brand Fast Casual, ovvero che combini perfettamente qualità del prodotto, del servizio e degli ambienti alla necessità di velocità che oggigiorno chiedono i clienti. Quali sono le caratteristiche più importanti del brand o, come le definiamo noi, quali sono le promesse che THIS IS NOT A SUSHI BAR fa ai suoi clienti?

Da 10 anni serviamo sushi unconventional a domicilio e nei nostri ristoranti: italiano, originale, senza la pretesa di essere caratteristico giapponese, preparato al momento, ma velocissimo, che si può ordinare da ogni piattaforma tecnologica, consegnato con un servizio delivery efficientissimo e tecnologicamente sempre all’avanguardia, con una qualità che pochi riescono a garantire.

Quando è nato e “perché” il brand THIS IS NOT A SUSHI BAR?

Il brand nasce nel 2007. Io e i miei due soci originari volevamo iniziare una catena di sushibar scommettendo sul fatto che il sushi sarebbe diventato presto una cucina internazionale, non più etnica. Il nome in inglese e la negazione del “this is not” significano proprio la vocazione alla scalabilità e il marcare la distanza rispetto a tutto quello che si era visto fino ad allora. E visto che nessuno di noi era giapponese, ci sembrava onesto dichiararlo fin dal nome.

Che tipo di esperienza offre THIS IS NOT A SUSHI BAR ai suoi clienti? Avete implementato o programmato iniziative specifiche per migliorare la Customer Experience?

Innanzi tutto l’esperienza inizia dal venire a conoscenza del “nostro mondo”: un mondo di grafica, estetica, eleganza, modernità, praticità. Chi ci segue nei social o sul nostro sito, lo fa perché in qualche modo fa parte di una community di persone che cercano qualcosa che li distingua, ma che li faccia sentire a proprio agio. Ecco perché abbiamo un sito e una app estremamente curati dal punto di vista della grafica e della funzionalità. Siamo stati la prima azienda italiana a utilizzare la tecnologia responsive, intercettando il trend dei tablet e degli smartphone. La tecnologia che usiamo è al servizio del cliente: in ogni momento il cliente sa che stiamo avendo cura di lui. Può seguire il suo ordine su una mappa interattiva, comunicare con il corriere, interagire con noi in ogni momento. E offriamo un sushi che è un piccolo lusso. Qualità estrema, cura nel dettaglio anche nel packaging per il delivery a casa, confezioni deluxe per i prodotti signature. Per il decennale della nostra attività abbiamo inserito in serie limitata anche alcuni ingredienti placcati in oro edibile.

La quasi totalità dei clienti di THIS IS NOT A SUSHI BAR vive l’esperienza della delivery. Mi puoi dire in quali percentuali e quali sono, dal vostro punto di vista (dell’imprenditore), i must di servizio ai quali bisogna attenersi per essere competitivi con le consegne a domicilio?

Circa il 70% dei nostri ordini sono ordini con consegna a domicilio o in ufficio. Il rimanente 30% si divide in parti più o meno uguali tra take away e servizio di somministrazione. Dal punto di vista aziendale, il must per essere competitivi è saper mantenere le promesse. La prima: la puntualità. Non serve a nessuno essere i più veloci della piazza, se poi si arriva a casa prima del cliente, con il sushi completamente rovinato dalla fretta. Va eliminata la fretta dalla velocità. E ovviamente non serve a nessuno arrivare in ritardo. Qualora capitasse deve essere gestito con cura e attenzione estrema del cliente, perché rischi di rovinare la sua serata: è una grande responsabilità. Solo così puoi mantenere anche la seconda promessa: consegnare a domicilio un sushi di altissima qualità, cosa che puoi garantire solo se offri il servizio delivery direttamente, senza avvalerti dei servizi dei nuovi player intermediari, che garantiscono “l’ultimo miglio” ma, non essendo integrati con la produzione, non possono garantire il prodotto end-to-end.

Cosa dicono di apprezzare di più i clienti dell’esperienza che vivono con il brand THIS IS NOT A SUSHI BAR?

Abbiamo implementato da molti mesi un servizio di recensioni certificate, che ci consente di monitorare con cura la cosiddetta Voice of The Customer. In generale i clienti ci riconoscono un servizio e una qualità superiore alla media dei migliori ristoranti di Milano, sia per il servizio a domicilio e il relativo servizio clienti, sia per la qualità del prodotto, garantita da 10 anni di selezione dei fornitori, cura delle procedure, creatività delle ricette e qualità estrema delle materie prime. E si divertono molto con la nostra comunicazione. Si sentono ingaggiati, parte di un club.

Come vedi, oggi, il mercato della delivery in Italia?

È un mercato molto competitivo, fatto però da persone che non hanno ancora esperienza specifica del settore: sono pochissimi quelli che operano nel settore da 10 anni come noi. Il food delivery non è un problema che si risolve con un algoritmo di una startup, o, meglio, non solo. È un sistema che deve tenere conto di moltissimi fattori, attualmente sottovalutati o pressoché sconosciuti dalla maggior parte dei nuovi operatori. Sicuramente è un mercato ad altissimo potenziale, in crescita euforica, dove c’è spazio per molti servizi di varia natura: logistici, tecnologici, di marketing.

A oggi siete presenti a Milano con 3 locali. THIS IS NOT A SUSHI BAR propone un format pensato per una clientela italiana o pensate di espandervi maggiormente anche all’estero?

Abbiamo testato il format per 10 anni. Abbiamo resistito alla tentazione di espanderci all’estero perché non ci sentivamo pronti, la tecnologia non supportava a sufficienza i nostri processi e in molte occasioni ci siamo trovati troppo in anticipo sui tempi. Ma il concept, il prodotto e il tipo di servizio sono pensati per un pubblico internazionale fin dal primo giorno. La nostra clientela su Milano è fatta anche da clienti stranieri, in grandissima parte. Questo ci conforta nella nostra scelta di guardare all’estero per nuove aperture.

Quali suggerimenti dareste a un brand straniero operante nel Fast Casual che decidesse di sbarcare in Italia?

L’Italia è un paese estremamente eterogeneo. Milano non è la rappresentazione fedele del Paese, che ha decine, se non centinaia di identità. Un operatore che dovesse sbarcare in Italia dovrebbe tenere molto a mente questa complessità e curare con grande attenzione il posizionamento. Il Fast Casual di Milano non è lo stesso di Roma, di Firenze, di Venezia o di Catania.

Ph.Credit: This is not a Sushi Bar

FOOD DELIVERY & CUSTOMER EXPERIENCE: QUANTE DOMANDE!

Il cliente metropolitano (clicca qui) vuole velocità, qualità e cerca in continuazione un’alternativa migliore a quella che, pur con soddisfazione, ha appena scelto, attratto com’è dalla novità (novità, naturalmente, che vanno nella direzione, appunto, di più velocità e qualità).

Questi due valori sono “pretesi” simultaneamente e il “sempre più veloci” deve combinarsi con il “sempre meglio”.

Naturalmente, e questo in nome della Customer Experience, l’esperienza di velocità e qualità deve essere in grado di saper rispondere in modo pertinente al bisogno/desiderio del cliente in modo facile e piacevole.

I recenti dati, presentati lo scorso Giugno da Eurisko e JustEat all’interno del 1° Osservatorio Nazionale sul mercato del Take Away in Italia, indicano come l’accesso ai servizi di food delivery sono in costante aumento.

La maggioranza degli italiani (51% del campione), infatti, ha ordinato negli ultimi 6 mesi cibo a domicilio, soprattutto tramite telefono (39%). Solo il 2% dei consumatori ha scelto il digitale, ma l’intenzione è in netto aumento, con il 19% (7 milioni di persone) che si dichiara intenzionato ad utilizzare questo canale per l’acquisto. Il digital takeaway è ancora tutto da sviluppare, ma mostra una frequenza di acquisto e uno scontrino medio più elevati. La media è infatti di 4/5 volte al mese contro le circa 1 o 2 volte al mese dell’ordinazione di persona e di quella per telefono, mentre la spesa si attesta sui 97 euro al mese contro i 32 e 37 euro dell’ordine personale e telefonico.

Oltre alla dimensione “sempre più veloce”, il cliente cerca una Food Experience che non sia di serie B rispetto al locale dove potrebbe vivere una happy experience.

Ovviamente, l’esperienza di consumo a casa propria o nel proprio ufficio non deve avere come paragone quella del locale, ma deve avere caratteristiche sue proprie convincenti.

Come fare per offrire una Customer Experience superiore al cliente delivery?

Come far vivere i valori del brand o dell’insegna in un ambiente che non è quello del locale dove tutto può essere studiato nel minimo dettaglio per farli emergere?

Esistono dei GLUE (leggi qui) che possono veicolare in modo originale una nuova e diversa esperienza rispetto al locale ma in linea con l’identità del brand?

È vero che ci ordina da casa o dall’ufficio cerca “solo” velocità e comodità?

E quella manciata di metri (o chilometri) che separano il locale dal luogo di consegna, in che modo influiscono sulle condizioni oggettive con i quali l’ordine viene consegnato?

L’esempio di Morton’s che ha fatto il giro del web (leggi qui) è solo la punta paradossale di un’offerta o apre la strada a un “nuovo” delivery?

È conveniente davvero preparare l’offerta nel locale per poi “deliverarla” o è meglio organizzare la preparazione in ambienti totalmente dedicati a questo segmento di mercato che ha caratteristiche sue proprie?

La risposta a queste domande, tutte ancora da dare in modo compiuto, non può che partire dalla progettazione di una Customer Experience da offrire al cliente del delivery, in perfetto allineamento con i valori del brand o dell’insegna, ma non derivata da quella che si vive nel locale.

Ancora una volta, sono i brand Fast Casual (leggi qui) che sono al lavoro su questo fonte…

Stay tuned!

OLD WILD WEST: ALTI STANDARD QUALITATIVI PER UN FAST CASUAL REPLICABILE

owwOld Wild West opera in Italia da quasi 15 anni. Parte del gruppo udinese Cigierre (Kukkuma Cafè, Arabian Kebab, Cantina Mariachi, Wiener Haus, Shi’s, Romeo), con quasi 150 ristoranti in tutta la Penisola, Old Wild West è oggi la catena di steak house più diffusa in Italia. E una delle insegne più amate dagli Italiani: è freschissima, infatti, la notizia della vittoria per il secondo anno di fila nella categoria della Ristorazione servita nell’ambito del premio Retail of the Year, la più grande ricerca svolta sui consumatori (243 mila intervistati) da SEIC – Studio Orlandini e Q&A Research & Consultancy.

Abbiamo intervistato Daniele Crucil, Direttore Marketing del gruppo, per scoprire come si posiziona il brand all’interno del segmento del Fast Casual e quale sia la sua offerta di Customer Experience.

Domanda: In Italia solo oggi si inizia a sentir parlare di Fast Casual. La curiosità e l’interesse per questo particolare segmento di mercato stanno aumentando grazie al suo successo nel mondo anglosassone. Pensiamo che Old Wild West sia a tutti gli effetti un brand Fast Casual, ovvero che combini perfettamente qualità del prodotto, del servizio e degli ambienti alla necessità di velocità che oggigiorno chiedono i clienti. Quali sono le caratteristiche più importanti del brand o, come le definiamo noi, quali sono le promesse che Old Wild West fa ai suoi clienti?

Risposta: La promessa di Old Wild West è un’esperienza di consumo unica, caratterizzata da grande qualità di prodotti e servizi. Per Old Wild West e, più in generale per tutti i format del gruppo Cigierre, il valore della qualità è un fattore imprescindibile che coinvolge tutti gli aspetti. Qualità vuol dire innanzitutto materie prime eccellenti offerte a prezzi sempre sostenibili; location studiate nei minimi particolari realizzate con arredi prodotti esclusivamente in Italia, ma significa anche promozioni, offerte speciali e personale qualificato, che viene formato nella nostra Academy.

oldwildwestcinemaD: Come è nato il brand Old Wild West?

R: Old Wild West è nato nel 2002 in provincia di Udine, con l’obiettivo di introdurre nel centro commerciale Città Fiera un ristorante che offrisse un menu originale e un’ambientazione fuori dal comune. La ristorazione che unisce cibo e divertimento, che oggi è un’autentica tendenza, allora era un concetto innovativo e perciò ottenne un grande successo fin da subito. Questo ci stimolò, un paio d’anni più tardi, ad avviare il secondo Old Wild West al Bicocca Village di Milano e a sviluppare la catena di steak house che oggi, con oltre 140 ristoranti, è la più grande d’Italia.

D: Che tipo di esperienza offre Old Wild West ai suoi clienti? Avete implementato o programmato iniziative specifiche per migliorare la Customer Experience?

R: Le iniziative sono molte: innanzitutto le offerte promozionali con le quali proponiamo un piatto più una bibita a prezzo speciale per promuovere i prodotti in edizione limitata, per offrire sempre ai nostri clienti qualcosa di nuovo. Inoltre, nei molti ristoranti situati nelle vicinanze dei cinema multisala proponiamo gli speciali menu con il biglietto compreso nel prezzo. Poi ci sono gli speciali menu per i bambini fino a 12 anni che comprendono un piatto, una bibita, le matite colorate e la tovaglietta da colorare e un gadget. Inoltre, nei nostri ristoranti i bambini possono organizzare la propria festa di compleanno.

oowcardPoi c’è Old Wild West Card, la fidelity che permette di raccogliere punti e ottenere premi e sconti, disponibile anche in versione digitale grazie alla nostra app. E a proposito di connettività, nei nostri ristoranti il collegamento wi-fi è gratuito per tutti i clienti.

Non solo. Nei ristoranti Old Wild West è possibile pagare il conto comodamente dal proprio smartphone tramite la app Satispay.


D: Cosa apprezzano di più i clienti dell’esperienza che vivono con il brand Old Wild West?

R: Le location in stile western sono amatissime dai nostri clienti: divertono gli adulti e affascinano i più piccoli. In più, le nostre promozioni riscuoto sempre un grande successo perché permettono di gustare a un prezzo speciale i nostri prodotti in edizione limitata. E la qualità dei nostri prodotti è sempre una garanzia.

D: Il cliente vive la stessa esperienza in tutti i vostri locali? Qual è il segreto di questa replicabilità?

R: La perfetta coerenza di immagine e di comunicazione è fondamentale per la nostra catena. In tutti gli Old Wild West d’Italia, i nostri clienti sanno che potranno trovare la stessa divertente atmosfera e la stessa qualità. Il nostro segreto è la standardizzazione e i controlli che, eseguiti puntualmente, ci permettono di mantenere i nostri standard ai massimi livelli.

D: Ad oggi siete presenti in Italia con circa 150 location e in Croazia, Belgio, Georgia, Francia e Svizzera. Old Wild West propone un format pensato per una clientela italiana o pensate di espandervi maggiormente anche all’estero? 

R: Il nostro format è molto apprezzato anche all’estero, non escludiamo di espanderci ulteriormente in Europa e nel mondo.

D: Quali suggerimenti dareste ad un brand straniero operante nel Fast Casual che decidesse di sbarcare in Italia?

R: Soprattutto quando si tratta di cibo e convivialità, la cultura e le tradizioni italiane si basano sulla qualità, un aspetto che i clienti riconoscono e pretendono. Soddisfare questa esigenza, per un brand straniero o nazionale, è un ottimo punto di partenza.

#ITALIANFASTCASUAL

Interno Chipotle
Chipotle: interno di un locale

I media specializzati e gli addetti ai lavori iniziano a parlare di Fast Casual guardando le grandi catene d’oltreoceano, ma anche osservando i brand “medio-piccoli” per numero di negozi, ma estremamente efficaci nell’offrire una Customer Experience davvero coerente con i valori che propongono: l’offerta, di menu, di prodotto, di fascia oraria, di ambiente, etc. sta divenendo sempre più specifica. Così, oltre ai super big come Chipotle, Jimmy Johns, Panera Bread, Firehouse Subs, etc. spiccano brand come Lemonade, Modmarket, Elevation Burger, Twisted Root e tanti altri!

Panera Bread: Soba Noodle
Panera Bread: Soba Noodle

L’Italia guarda oltreoceano, ma probabilmente non si è del tutto accorta che il Fast Casual è arrivato anche qui e da diverso tempo. Il motivo è semplice: l’Italia ha nel sangue il Fast Casual. Perché?

Velocità, qualità e attenzione al cliente!

Innanzitutto il Fast Casual esiste in Italia da molti anni! Nel 1979 nasceva a Milano uno dei “top player” di questo segmento, Panino Giusto: il brand conta ora una trentina di locali tra Italia, Londra, Giappone e tra poco aprirà anche Stati Uniti.

Panino Giusto: il nuovo panino firmato dallo Chef Claudio Sadler
Panino Giusto: il nuovo panino firmato dallo Chef Claudio Sadler

La velocità, oggi, è un esigenza sempre più importante nelle zone urbane e nessun cliente si sognerebbe di passare 2 ore seduto ad un tavolo per un pranzo.

Qualità e attenzione al cliente sono il fiore all’occhiello della ristorazione italiana da sempre, si tratta ora di “aggiornarsi” conoscendo davvero il cliente finale e offrendogli una customer experience superiore e allineata ai valori del brand.

Senza un’offerta di customer experience superiore, al netto di un’offerta di menu e prodotti non superiori a quelli italiani, Chipotle non sarebbe un brand da 22 miliardi di dollari e Jimmy Johns non avrebbe le risorse e la forza necessarie per aprire un ristorante al giorno (contiamo 2.166 ristoranti al Marzo 2015)!

Molti brand italiani che, anche senza saperlo, fanno parte di questa rivoluzione veloce, di qualità e attenta al cliente, sono già innumerevoli e di alcuni abbiamo già iniziato a parlare, come Pisacco, Panini Durini, Vasiniko e Ham. Ne potremmo citare fin da ora innumerevoli, ma desideriamo valorizzare ciascuno di loro attentamente.

L’Italian Fast Casual è una vera e propria eccellenza italiana che è possibile valorizzare, sviluppare e portare nel mondo anche anticipando i colossi americani che hanno messo gli occhi sull’Italia.

Abbiamo lanciato l’hashtag #italianfastcasual

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Paese che vai… Format che trovi

Se si pensa all’Australia, ciò che balza in mente nell’immediato sono i suoi orizzonti sterminati, i suoi paesaggi incontaminati e selvaggi. È per questa ragione che l’impatto con Granger & Co, catena di ristoranti fondata dal celebre chef australiano Bill Granger, suscita un certo stupore.

Abbiamo visitato un locale del brand a Londra e si distingue infatti per la sua eleganza e raffinatezza: arredi semplici, colori chiari e morbidi, vetrate immense che conferiscono respiro all’ambiente e suggeriscono tutt’intorno un grande senso di libertà e purezza.

Interno del locale Granger and Co. in Sekforde Street
Interno del locale Granger and Co. in Sekforde Street

Anche il personale si cala meravigliosamente in questo contesto: discreto, informale, sorridente e dai modi sensibili, contribuisce a fare di questo luogo una piccola oasi di pace. Granger & Co è un posto puro, incontaminato proprio come la terra del suo fondatore. I suoi clienti lo rispecchiano: durante la colazione e il brunch (dicono il migliore di Londra!) non c’è confusione, i tavoli sono spesso occupati da coppie di persone che conversano senza foga e non alzano il tono della voce; tutto appare curatissimo e rilassato. Il locale si anima durante il pranzo quando, soprattutto nel locale di Notting Hill a Londra, si crea una fila composta fino al marciapiede.

Paese che vai… Format che trovi: Granger and Co. è l’eccezione che conferma la regola. Dopo aver sottolineato più volte come la replicabilità sia uno dei valori chiave del successo del Fast Casual, sia per garantire uniformità di esperienza al cliente, sia per ridurre la complessità al brand, ci troviamo ora di fronte ad un format che ha standardizzato “solo” le proprie promesse: sunny, easy-going and generous.

Con queste linee guida ben chiare in mente ed espresse attraverso soluzioni differenti, ogni store di Granger & Co. presenta ai propri clienti una location unica di città in città, ma anche di strada in strada all’interno della stessa città. Il menu è replicato worldwide solo in pochi item, il resto è personalizzato da paese a paese. Ci troviamo di fronte ad un format che ha fatto della sua adattabilità un cavallo di battaglia. Grande importanza è riservata poi al servizio.

Se il Fast Casual fosse una bilancia in cui i due estremi sono fast food e fine dining si situerebbe sicuramente più vicino a quest’ultimo, come d’altronde Panino Giusto e Le Pain Quotidien. Questi brand sono tutti accumunati dall’eccellenza del servizio al tavolo: gli operatori di sala, grazie ad una formazione accurata e sistematica, diventano dei veri e propri garanti dell’esperienza del cliente.

Come fare? La nostra esperienza con i  brand Fast Casual ci ha insegnato come la formazione sia un valore chiave ed indispensabile nell’Era del Cliente: grazie all’utilizzo di una piattaforma di e-learning è oggi possibile raggiungere e formare divertendo e coinvolgendo le persone in tutto il mondo, garantendo un continuo dialogo tra azienda e persone e, quindi, tra brand e cliente!

 

PIATTI PIù BUONI E VELOCI SE CUOCO E CLIENTE SI GUARDANO…

AAA PERSONE INFLUENZABILI CERCASI: LA CUSTOMER EXPERIENCE E’ UNA QUESTIONE DI METODO E IMMEDESIMAZIONE. LA RISPOSTA DI GABRIELE MANCOSU, ESPERTO DI ITALIAN FAST CASUAL, ALL’ARTICOLO DI MARIO SALA .


“Le persone devono sapere e sentire che stanno facendo la differenza nel mondo e che stanno agendo al servizio di qualcosa che è più grande di loro”. Questa è il succo del discorso che dal 2009 porta avanti Dan Pink, autore di “Drive” nel 2009. No, non abbiamo improvvisamente cambiato i nostri piani editoriali introducendo una rubrica sulla psicologia o le neuroscienze. Stiamo parlando di Customer Experience, di saper offrire al cliente un’esperienza degna delle promesse che il brand fa e delle aspettative che il cliente ha. Dan Pink stesso parla ai manager, agli imprenditori e ai professionisti: il suo ambito di studio è l’impresa, la sua “ossessione” coltivare il “senso dello scopo/obiettivo” nei dipendenti delle aziende.

Recentemente Pink ha raccontato al magazine Business Insider di uno studio molto importante condotto all’Harvard Business School: la ricerca è stata condotta nella caffetteria del collage. I ricercatori si sono concentrati nella zona della griglia, dove i clienti fanno e poi ricevono i loro ordini per il pasto. Lo scopo della ricerca era indagare in quale scenario i clienti avrebbero detto che il cibo aveva un miglior sapore e in quale scenario lo stesso cibo sarebbe stato preparato più velocemente.

Gli scenari proposti erano 4:

  1. nel primo, i cuochi potevano vedere i clienti;
  2. nel secondo, i clienti potevano vedere i cuochi;
  3. nel terzo, nessun gruppo poteva vedere l’altro;
  4. nel quarto, cuochi e clienti potevano vedersi a vicenda.

Si è notato che la soddisfazione dei clienti è aumentata del 17,3% e la velocità del servizio del 13,2% quando cuochi e clienti potevano vedersi a vicenda.

Pink spiega che si tratta dell’effetto della sua teoria “small p purpose” (in italiano diremmo “scopo con la s minuscola”); immagina che i cuochi che hanno preso parte alla ricerca potrebbero aver pensato “Non sto risolvendo la fame nel mondo, non sto risolvendo i problemi climatici, non sto sicuramente ponendo fine alle discriminazioni, ma sto certamente preparando un’omelet che qualcuno si mangerà e questo importa al cliente e a me”.

Questo non è il primo studio a dimostrare che quando le persone si connettono, si immedesimano profondamente con il beneficiario del loro lavoro (il CLIENTE!) le loro performance migliorano. Quindi… Come è possibile iniziare da subito a patrimonializzare questa “scoperta”, a metterla in pratica? Se possibile, occorre davvero dotarsi di persone influenzabili, persone che sentono come si sentono gli altri! Sicuramente, come suggerisce Pink, ci sono alcuni accorgimenti che da subito potrete applicare: ricordate al collega o al collaboratore sempre lo scopo per il quale si sta facendo il lavoro e i benefici che l’azienda e il suo ecosistema ne possono trarre.

Essenziale, aggiungiamo noi, che un beneficio per l’esperienza del cliente sia sempre presente tra gli obiettivi di un’idea/progetto/servizio da svolgere e portare a termine.

Per rileggere l’articolo AAA Persone influenzabili cercasi, clicca qui.

Per seguire Gabriele e le sue notizie sul Fast Casual, clicca qui.

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