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Gabriele Mancosu - page 3

Gabriele Mancosu has 44 articles published.

Manager consultant di Praxis Management e News & Customer Experience. Dal 2012 è impegnato nello studio del cliente del segmento Fast Casual e nell’applicazione pratica delle best practices di customer experience alla realtà organizzativa e quotidiana delle organizzazioni di ristorazione. Da 6 anni riporta la voce e l’esperienza del cliente in alcuni prestigiosi brand della ristorazione; per questi ultimi si occupa anche della progettazione e formalizzazione di mansionari e procedure per migliorare l'esperienza del cliente e della loro diffusione attraverso programmi didi formazione in e-learning e video. Esperto della mappatura dei touchpoint (punti di contatto cliente/brand), ne verifica la corrispondenza con le promesse del brand dal punto di vista del cliente, al fine di proporre significative innovazioni. gabriele.mancosu@praxismanagement.it

NIENTE TACCHI ALTI NELLA SPIAGGIA DI PARIGI

La settimana della moda parigina si è conclusa con un evento incredibile, tutto da rivivere grazie agli innumerevoli video che ne sono stati tratti

Vi ricordate Tommy Bahama (clicca qui), il brand dedicato a chi vorrebbe vivere su una spiaggia 356 giorni all’anno e che che propone la total island life style experience?

Un brand e un direttore creativo a dir poco “leggendari” si sono spinti molto più avanti del buon Tommy, portando il mare e la spiaggia niente meno che a Parigi, all’interno del Grand Palais! Stiamo parlando di Chanel e Karl Lagerfeld che, ormai ad autunno inoltrato, hanno mostrato al mondo e, soprattutto ai clienti del brand, di essere pronti a tutto pur di stupire.

Niente tacchi per le bellissime modelle, ma piedi liberi sulla sabbia, forme morbide, cappelli a falde larghe, paglia e accessori. Tutto questo, assieme alla location incedibile e ai suoni della spiaggia, ha trasportato gli spettatori letteralmente in riva al mare: un’esperienza incredibile per i fortunati presenti, un’anticipazione per la collezione estate 2019 (da marzo 2019 in boutique) per i clienti Chanel!

Non poteva mancare una “bagnina” d’eccezione… Guardate il video per scoprirlo!

FOOD-TO-GO: OPPORTUNITÀ DA COGLIERE “AL VOLO”

Fenomeno da prendere in seria considerazione

Uno studio condotto da NPD Group mostra che, nel Regno Unito, il consumo di pasti “food-to-go“, ovvero fuori dal punto vendita in cui è stato acquistato il cibo, è in fortissima crescita, mentre il consumo nei punti vendita si sta riducendo (da questo studio sono stati esclusi i consumi tramite delivery e tramite drive-thorugh!).

A luglio 2018, sempre nel Regno Unito, si è registrato un calo del -3,5% rispetto all’anno precedente di “coperti” nei ristoranti e, di contro, un incremento del + 2% rispetto allo stesso periodo del 2017 di clienti “food-to-go“. Questo è il cambiamento in un solo anno! Se consideriamo i tre anni precedenti scopriamo che i clienti “food-to-go” sono aumentati del 4,0%. Per gli operatori della ristorazione si tratta di un business ricco di opportunità: il mercato è aumentato tre volte più velocemente di quello del consumo nel punto vendita.

Opportunità per tutti

Mangiare cibo “in movimento” pare essere così l’ennesima manifestazione del cliente metropolitano, ma anche, come anticipato, un’opportunità: per il cliente stesso e per gli operatori. Per il cliente mangiare e bere in movimento è conveniente economicamente: le offerte di “combo” per questo tipo di consumo si stanno moltiplicando. Per gli operatori, d’altro canto, il costo per offrire un pasto “food-to-go” è in genere inferiore a quello da sostenere per un cliente che si ferma nel punto vendita. Infatti, sempre nel Regno Unito, il “food-to-go” rappresenta il 48% delle visite totali, ma solo il 29% dei costi food e personale!

Questo fenomeno dirompente riflette il modo in cui i clienti metropolitani – quantomeno quelli britannici –  cercano di risparmiare tempo e denaro mentre corrono dal posto di lavoro alla pausa pranzo… E viceversa.

LA ROMAGNA IN 22 RIGHE

Il DNA è romagnolo, ma come sempre gli americani prendono in prestito, ri-elaborano e restituiscono con una capacità comunicativa sorprendente.

Manifesto

“Siamo appassionati del cibo e della sua condivisione con altre persone. Crediamo nel mangiare bene anche quando abbiamo bisogno di mangiare velocemente. Il buon cibo parte da pochi ingredienti semplici e freschi e qualcuno che sa come dar vita ai migliori sapori. Ogni punto vendita Piada è gestito da uno chef – non un manager – che ti saluterà personalmente quando entri. Il nostro design della cucina aperta ti invita a condividere l’esperienza mentre il nostro chef prepara il tuo pasto. Potrai ordinare piadine, bowls e insalate tutte da gustare nella nostra sala da pranzo o di corsa fuori dal ristorante. È buon cibo, veloce, fresco. Ogni volta”.

Il brand

Questo è il “manifesto” di Piada che accoglie i visitatori del sito web corporate. Piada non è un brand romagnolo, nemmeno italiano. Si tratta di una catena fondata a Columbus, Ohio, Stati Uniti, nel 2010. Semplice italian sounding? No, l’offerta gastronomica centrale di Piada – Italian Street Food è proprio la piadina, quella romagnola che, ci risiamo (clicca qui), i fondatori del brand impararono ad amare durante un viaggio proprio a Rimini!

“È stato durante un viaggio a Rimini, Italia, che i nostri chef hanno trovato ispirazione dal tipico street food e dalle botteghe di quartiere che servivano ricette familiari di origine secolare. Mentre l’aroma di basilico fresco e dei salumi si diffondevano nell’aria, condividevamo alcuni dei pasti più soddisfacenti fatti a mano e realizzati con alcuni degli ingredienti più semplici e freschi. In quel momento sapevamo che dovevamo catturare l’essenza di Rimini e riportarla negli Stati Uniti”.

Così, oltre la piadina, naturalmente non immune a varianti esotiche richieste dal cliente statunitense, nel DNA di Piada c’è proprio questo: l’essenza di Rimini. L’apertura, il saluto, l’accoglienza, la genuinità verso l’ospite, il cliente così sacro in questa piccola ma famosissima cittadina romagnola.

Essenza omnichannel

Piada – Italian Street Food, dall’alto delle sue ormai 41 location sparse in tutti gli States, continua a “sprizzare” accoglienza, trasparenza e genuinità per il proprio cliente, un approccio che, direbbero oggi gli esperti di marketing, è davvero omnicanale. L’ultimo esempio è di pochi giorni fa, 20 settembre 2018: su tutti i canali social, nel sito corporate e nei punti vendita è stata pubblicata una lettera aperta ai propri clienti dei servizi delivery e take away.

La più genuina ospitalità è, da sempre, uno dei nostri valori cardine e ciò significa che amiamo prenderci cura di ogni clienti che varchi la porta dei nostri ristoranti. Ma nel mondo di oggi, dove tutto è accessibile con un clic, molte persone desiderano gustare la nostra offerta fuori dal ristorante e pensiamo di dover anche a loro un’ospitalità genuina. Questo ci ha portato a rivedere tutto…”. Quattro sono poi le strade illustrate nella lettera utili per offrire ai clienti delivery e take away un’esperienza fuori dal punto vendita superiore:

  • Velocità
  • Comodità
  • Accessibilità
  • Precisione

Il DNA arriva dalla romagna ma, come sempre, gli americani prendono in prestito, ri-elaborano e restituiscono con una capacità comunicativa sorprendente. Si tratta di un’efficacia nel far propri valori “altri” e di tradurli in pratica che, sinceramente, ogni volta mi lascia a bocca aperta.

Di seguito potrete leggere la lettera nel formato originale e integrale.

MILIONI DI CLIENTI PROGETTANO LA APP DI CHICK-FIL-A

“Trasparenza” è la parola chiave alla base della nuova esperienza digitale per i clienti di Chick-fil-A

70 anni di gloriosa storia

Chick-fil-A nasce in un sobborgo di Atlanta (Georgia–U.S.A.) nel 1946, vicino alla fabbrica di assemblaggio Ford Motor Company Atlanta che portò da subito molti operai a innamorarsi del tipico panino al pollo proposto. Nel 1961, dopo 15 anni di intenso lavoro, la proprietaria Cathy trovò una friggitrice che poteva aiutarla a cuocere il panino di pollo nello stesso tempo necessario per la cottura di un hamburger. Dopo questa scoperta, ha registrato il nome Chick-fil-A e lo slogan “Non abbiamo inventato il pollo, solo il panino di pollo“. Negli anni ’70 e nei primi anni ’80, la catena si espande aprendo nuovi franchising, all’interno soprattutto dei centri commerciali. Nell’ottobre del 2015, la società ha aperto un ristorante a tre piani da 5.000 metri quadrati a Manhattan che è diventato il più grande Chick-fil-A degli Stati Uniti. Dal gennaio 2017, il brand conta circa 2000 punti vendita.

Una delle ultime novità arriva dall’esperienza digitale offerta ai propri clienti

L’ultimo aggiornamento della app dello storico brand è stato, in qualche modo, co-progettato da milioni di persone. “Il feedback dei clienti ha svolto un ruolo importante nella riprogettazione delle app“, ha dichiarato Michael Lage, responsabile della Customer Digital Experience per Chick-fil-A. “I cambiamenti sono una conseguenza diretta dell’ascolto e dell’apprendimento utili per dare ai clienti quello che vogliono“.

Il cambiamento più consistente va nella direzione della trasparenza: un nuovo programma loyalty chiamato “Chick-fil-A One Membership”, che propone una modalità semplice e chiara per collezionare punti e offrire ai clienti un ampio ventaglio di possibilità per il loro utilizzo.

Ogni ordine ti offre punti che si potranno utilizzare in ricompense disponibili come un panino al pollo Chick-fil-A o Icedream“, ha detto Kaitlyn White, leader del team operativo dedicato all’esperienza digitale del brand.

L’aggiornamento rende anche l’applicazione mobile di Chick-fil-A ancora più semplice da utilizzare, grazie a una navigazione più chiara, al minor tempo necessario per effettuare un ordine più rapido e una maggiore affidabilità.

Il programma di iscrizione ora offre livelli (“Chick-fil-A One”, “Chick-fil-A One Silver” e “Chick-fil-A One Red”) con crescenti vantaggi quando si raggiungono nuovi livelli in base alla spesa annuale. Ecco come funziona:

  • Gli ospiti guadagnano punti ad ogni acquisto. Il “Chick-fil-A One Member” riceve 10 punti mentre i “Chick-fil-A One Silver” e i “Chick-fil-A One Red Members” ricevono 11 e 12 punti, rispettivamente, per ogni dollaro speso.
  • Tutti i membri riceveranno un premio di compleanno e potranno riscattare i premi disponibili che preferiscono. I clienti “Chick-fil-A One Silver” e “Chick-fil-A One Red Members” possono regalare i loro premi a parenti e amici.

Anteprima della nuova app in questo video ufficiale tratto dal canale del brand

UNA PIZZA PER GLI INTROVERSI

Little Caesars è un colosso della pizza negli Stati Uniti. Il brand è stato fondato nel 1954 da Mike Ilitch and Marian Bayoff, che si erano da poco conosciuti ad un appuntamento al buio e poi sposati. A distanza di quasi 65 anni, il brand “tradisce” il suo dna delle origini e propone un touchpoint con “zero relazioni umane”.

Little Caesars è la terza più grande catena di pizzerie negli Stati Uniti, dopo Pizza Hut e Domino’s Pizza. Ad oggi il suo sviluppo, prevalentemente avvenuto tramite la formula del franchising, ha portato il brand ad aprire circa 5.500 punti vendita.

Il Pizza Portal

Proprio in alcuni di questi punti vendita, dopo i primi test nel 2017, la compagnia ha lanciato The Pizza Portal, un nuovissimo touchpoint fisico che, innanzitutto, soddisfa appieno le esigenze di estrema facilità e velocità richieste dal cliente metropolitano. I commentatori più ironici sostengono che il sistema vada incontro anche a tutte quelle persone che proprio non sopportano il contatto umano con i membri dello staff dei punti vendita.

Infatti i clienti dovranno solo scaricare l’app del brand e potranno ordinare la propria pizza scegliendo il punto vendita per il ritiro dell’ordine, infine pagare online. Riceveranno poi un codice a 3 cifre e un QR code nella stessa app. Una volta arrivati nello store troveranno il Pizza Portal, un vero e proprio “armadio” porta pizze, i cui scomparti ricordano le fattezze di piccoli forni. Inserendo a mano tramite tastierino, o scansionando il codice QR, potranno ritirare la propria pizza, calda e appena sfornata.

Siamo contenti“, ha dichiarato David Scrivano, CEO di Little Caesars, “Tutto ruota intorno alla praticità, dentro e fuori dal punto vendita in pochi secondi, nessuna linea, niente attesa“.

Il Dottor Larry Rosen, ricercatore e psicologo, ex presidente della California State University, ha studiato gli impatti della tecnologia nelle relazioni umane per 35 anni e sotiene che “ogni ostacolo alle relazioni umane tende a inibire la nostra capacità di comprendere gli altri. Le persone hanno un reale bisogno di connessione e affiliazione. L’automazione è una situazione win-lose. Stai vincendo nel senso che fai le cose più velocemente. Ma stai perdendo per il fatto che stai riducendo le interazioni“.

Il dato di fatto è che oggi le nuove tecnologie sono apprezzate da tutti, introversi o estroversi, ed è una tendenza che viene confermata ogni giorno. Il CEO di Little Caesars David Scrivano, intanto, prevede che i portali di Pizza saranno un successo e, interrogato sull’obiezione, risponde: “è solo più veloce e rende la vita più facile“.

Ecco, infine, il Pizza Portal in funzione:

STRATEGIE OBLIQUE PER RIMUOVERE I BLOCCHI CREATIVI

Brian Eno

Se qualche mese fa mi avessero chiesto “quali sono gli strumenti adatti a chi desidera innovare?” avrei certamente elencato dei tool digitali, da utilizzare sul web, nel pc o su dispositivo mobile. Oggi la mia risposta sarebbe diversa. Indicherei sicuramente ai “primi posti” della mia personale classifica uno strumento quantomeno insolito: un mazzo di carte. Sto parlando delle Oblique Strategies – Over One Hundred Worthwhile Dilemmas. Si tratta di un tool inventato dal produttore musicale e musicista Brian Eno e dall’artista Peter Schmidt, nel lontano 1975! L’obiettivo per il quale sono state create è molto semplice: rompere e superare i blocchi creativi, vero grande problema per le persone impegnate molte ore al giorno nell’operatività e a districarsi tra tante urgenze.

Ogni carta del mazzo stimola, provoca, interroga la persona con una sentenza o una domanda, incoraggiando il pensiero laterale. Alcuni esempi:

  • Enfatizza le differenze
  • Cosa mantenere?
  • Qual è la soluzione più semplice?
  • Usa una vecchia idea

Le basi pratiche e teoriche su cui poggiano le Oblique Strategies sono ben riassunte nel contenuto di un’intervista rilasciata dallo stesso Eno: “In studio con la mia prima band (i Roxy Music) eravamo stressati, avevamo poco budget. Mi accorsi che sotto pressione tendevo a dimenticare o a tralasciare le migliori idee, perché in quelle condizioni si tende ad essere come imprigionati in una roccia e dire <<devo finire il lavoro>>!  Il panico spinge così letteralmente via l’osservazione, non presti la giusta attenzione a quello che accade. Così scrissi la prima carta, che recita <<Onora l’errore come un’intenzione nascosta>>. Questo perché spesso non si nota quanto effettivamente sono interessanti gli errori mentre sei nell’ansia del momento…”.

Man mano che Eno e Schmidt aggiungevano carte al mazzo, si accorsero che per aumentarne la forza dirompente occorreva estrarre, di fronte al blocco creativo, le carte e non appena sceglierle scientemente. In questo modo, attraverso le carte “scelte dal destino”, aumentano esponenzialmente le possibilità di essere veramente stimolati dalle carte e prendere in considerazione approcci, strade, soluzioni nuove per innovare.

Il metodo delle Oblique Strategies si rivela molto utile non solo per gli artisti, ma per tutte le persone e i team nelle organizzazione che hanno bisogno di innovare costantemente. Questo strumento si rivela efficace proprio in relazione alle pratiche descritte da Linda Hill nel suo bestseller “Il Genio Collettivo”. La Hill, assieme ai coautori del libro, ha fatto emergere come oggigiorno le aziende più innovative sono guidate da leader capaci di “sprigionare” il genio collettivo dei team e dell’organizzazione comportandosi da architetti sociali per fare della propria azienda un luogo, un contesto, un ambiente, una comunità disponibile a risolvere i problemi in modo innovativo e, ovviamente, capace di farlo!

Come si lega il metodo delle Oblique Strategies a quanto osservato e presentato da Linda Hill? La cultura aziendale è spesso fatta di principi, valori e modi di lavorare, pensare e comportarsi sedimentati dal tempo e spesso trasmessi solo per “via orale”. Spesso queste “pillole” di cultura sono riassumibili in poche frasi memorabili, addirittura in slogan. La cultura aziendale è il frutto di anni e anni di attività, di persone ed esperienze e si può dire che sia parte del “Genio Collettivo” che caratterizza l’organizzazione. Abbiamo osservato come, riassumendo in delle “Oblique Strategies” create ad hoc tutto il Genio Collettivo dell’azienda, sia dirompente il loro utilizzo nelle più svariate occasioni. Riunioni, lavoro individuale, incontri tra più settori…

Le carte del “Genio Collettivo” dell’azienda hanno davvero il potere di favorire il pensiero laterale e aprire uno squarcio chiarificatore inaspettato.

Quante “carte del Genio Collettivo” della tua azienda riusciresti a scrivere?

MCDONALD’S E IL + 5,5% DI CRESCITA DELLE VENDITE

Il piano di crescita di McDonald’s, lanciato nel 2017, è molto chiaro: “Potenziare le capacità digitali e l’uso della tecnologia per migliorare drasticamente l’esperienza del cliente”.

Che un colosso del fast food, anzi “IL” colosso del fast food, abbia sposato appieno la filosofia e le linee guida “concretissime” della Customer Experience, è una notizia certamente non banale. È noto, infatti, che il successo in questo segmento della ristorazione è anche sinonimo di efficienza e attenzione ai costi. Sino ad oggi, invece, si è erroneamente pensato che l’offerta di una Customer Experience superiore fosse esattamente agli antipodi delle peculiarità dei fast food, così attenti alla standardizzazione e all’efficientamento dei costi.

Pensiero errato! McDonald’s, oggi, ne è proprio la dimostrazione. La Customer Experience è la disciplina che, per eccellenza, costringe chi la pratica ad adottare un approccio olistico all’esperienza del cliente e, quindi, giungere a una conoscenza approfondita di tutto l’ecosistema aziendale, ovvero di tutti quei settori, uffici e funzioni che, direttamente o indirettamente, influenzano l’esperienza stessa del cliente. Ne segue la conoscenza dettagliata di origine, funzioni e attività che generano ogni occasione di contatto tra brand e cliente. Ciò permette, in primis, di individuare eventuali inefficienze organizzative e di correggerle subito. In secondo luogo appaiono con molta chiarezza tutte quelle opportunità di crescita e sviluppo per il business che proprio la prospettiva “dal cliente all’organizzazione” svela con una chiarezza che spesso è disarmante.

La Customer Experience costringe inoltre i brand a concentrarsi su quelle dimensioni dell’esperienza che il cliente apprezza di più perchè le scopre davvero in linea con la promessa del brand (clicca qui per approfondire): ecco delineato quindi un “perimetro” di intervento chiaro e specifico su cui convogliare gli investimenti, evitando i classici costi senza ritorno di un approccio improvvisato.

McDonald’s ha perfettamente imparato la dura lezione del biennio 2014/2015, quando le entrate diminuirono del 14% e si sta rialzando. Parte dei meriti riguardano anche il CEO Steve Easterbrook che, da quel momento, proprio sul miglioramento dell’esperienza del cliente ha puntato tantissimo. I suoi alleati più sorprendenti? Innovazione e digital!

Il colosso del fast food ha infatti iniziato ad adottare pratiche e tecniche digitali facendosi guidare nell’approccio olistico del viaggio del cliente (approfondisci qui).

Uno strumento utilissimo a McDonald’s, perché seguito da una lettura intelligente dei risultati, è sicuramente quello dei big data.

Grazie alla progettazione e al lancio di una nuova app che consente ai clienti di ordinare, pagare e ricevere offerte, ora McDonald’s ha a disposizione una grandissima quantità di informazioni sui clienti, grazie alle quali, per esempio in Canada, le vendite sono aumentate quasi del 3,5%. Come?

Il sistema di intelligenza artificiale collegato alla app elabora velocissimamente una grandissima mole di informazioni dai clienti e dall’ambiente in cui si trovano i clienti stessi (per esempio le informazioni sulle condizioni meteorologiche) e propone al cliente combinazioni e prodotti che più possono rispondere alle sue esigenze e ai suoi gusti. Insomma, nelle giornate di gran caldo, la app non vi proporrà mai una “cioccolata calda” (sempre che sia presente nel menu), ma sicuramente vi farà desiderare ardentemente delle bibite gassate freschissime!

Basare strategie e azioni proprio su dati concreti, anche se innumerevoli, è una delle “modalità di ragionamento” più efficaci in tema di innovazione, altro campo sul quale oggi si combatte la battaglia tra i brand per offrire un’esperienza sempre più unica al cliente.

Nelle sue ricerche, Linda Hill (numero 15 nell’elenco dei 50 pensatori di management al mondo) ha infatti fatto emergere che “l’innovazione richiede un processo di sperimentazione per prove ed errori, che può avvenire solo in un ambiente in cui si rispettino risultati e dati obiettivi”.

McDonald’s ha ricominciato a salire la china. Sta mettendo in campo tutte le forze e le energie a sua disposizione. Dai numeri di questa ripresa si leva un chiaro avvertimento ai brand del Fast Casual: abbiamo imparato la lezione, d’ora in avanti, grazie alla tecnologia digital e all’innovazione, faremo di tutto per riprenderci il cliente metropolitano!

RECENSIONE A 3 STELLE: IL MANAGER SI PRESENTA A CASA DEL CLIENTE

Yesha Callahan, vice caporedattore di The Root, ha vissuto un esperienza con il ristorante La Porchetta, che difficilmente dimenticherà. Una domenica sera decide di ordinare la cena a domicilio; quando arriva il suo ordine (Hamburger e zeppole), il fattorino le chiede gentilmente (come i  migliori protocolli di marketing suggeriscono) di recensire il ristorante non appena avrà tempo.

Purtroppo, però, Yesha vive un’esperienza culinaria decisamente scarsa e, anche ricordando le parole del ragazzo della consegna, decide di scrivere una recensione nella famosa piattaforma Yelp. La cena viene così definita come “decisamente deludente”: un hamburger appena scongelato, senza lattuga e pomodoro, zeppole inzuppate e patatine fritte davvero scadenti. Voto finale: 3 stelle.

La prima recensione

La recensione di Yesha Callahan non è sicuramente, nei toni, maleducata o aggressiva, ma si limita ad esprimere delusione; Yesha conclude oltretutto con un “buon proposito” che non chiude del tutto le porte al ristorante La Porchetta: “la prossima volta proverò la pizza“.

Improvvisamente, verso le 22:00, Yesha sente bussare alla porta. Inizialmente decide di non controllare chi sia, l’ora è tarda, ma subito dopo inizia a squillarle anche il telefono… Il numero è sconosciuto. “Qualche secondo dopo è arrivata la stessa chiamata. L’ho nuovamente stoppata e girata alla segreteria telefonica” – racconta Yesha – “Questa volta, hanno lasciato un messaggio”. La voce in segreteria diceva: “Ciao, sono il manager di La Porchetta. Sono fuori dalla tua porta. Voglio parlarti della tua recensione su Yelp”.

A questo punto, completamente terrorizzata, Yesha decide di chiamare la polizia, che arriva e “raccoglie” la sua denuncia (nel frattempo il manager se ne era andato) e le offre protezione per la notte.

Cosa, oltre all’ovvio, ci insegna questa storia? Innanzitutto che l’esperienza del cliente non si ferma a quello che succede nel punto vendita o all’esperienza che il cliente stesso vive con il prodotto. Il viaggio del cliente (clicca qui) è composto da diverse tappe, che a loro volta sono determinate da innumerevoli touchpoint (clicca qui), ovvero da tutti quei punti di contatto tra cliente e brand. Nella ristorazione, visti anche la velocissima evoluzione di digitale e delivery, occorre progettare bene tutta l’esperienza del cliente e coinvolgere tutti quei partner che portano l’esperienza “a casa” del cliente. In questo caso, tralasciando lo sconsiderato comportamento dello Store Manager per un attimo, lo stesso fattorino del delivery era stato evidentemente invitato dal ristoratore a chiedere ai clienti una recensione online. Questa è una formula che molti brand della ristorazione adottano, spesso però senza fare i conti con l’enorme potere di comparazione e di informazioni in possesso del cliente (anche proprio grazie al delivery) che, naturalmente, ha così delle aspettative sempre più elevate. Occorre essere onesti con se stessi ed accettare che, finchè non si sistemano i problemi con la propria offerta, è meglio non invitare i clienti a lasciare recensioni!

Yesha Callahan, infine, dopo questa insolita e agghiacciante esperienza, decide di aggiornare la recensione portandola ad una stella.

La seconda recensione

MILLENNIALS VERSO MARTE

Dublin, Wednesday 31th October 2013: Pictured at the The Web Summit 2013, RDS. Photo by Dan Taylor/Heisenberg Media

“Colonizzare Marte”. Questo è il sogno di Elon Musk, imprenditore classe ’71 di origini Sudafricane. Musk è noto per i tanti progetti innovativi che, negli anni, ha portato al successo: ricordiamo Solar City (provider di energia elettrica generata da fonti rinnovabili), PayPal (provider di servizi di pagamento e trasferimento denaro via internet) e, ultimo ma non ultimo, Tesla Motors, azienda specializzata nella produzione di veicoli elettrici ad alte prestazioni, pensati per il mercato “di massa”.

Agli inizi di febbraio 2018, proprio coinvolgendo anche il brand Tesla Motors, Elon Musk ha fatto parlare le persone di tutto il mondo del suo progetto più ambizioso: SpaceX. Si tratta di un vero e proprio programma spaziale privato che, nelle intenzioni, porterà Musk a realizzare il suo sogno di conquista marziana. La peculiarità del progetto, oltre ovviamente l’enorme portata visionaria, risiede nell’approccio tecnico e innovativo per rendere i viaggi verso Marte realizzabili. SpaceX è infatti il primo programma spaziale che ha fatto del “riciclo” delle componenti e dell’abbattimento dei costi una vera e propria strategia: i vettori che devono spingere le navicelle fuori dall’atmosfera terrestre, sono pensati e progettati per il rientro, ovviamente senza subire danni, sulla Terra, in modo da poter essere disponibili per un lancio successivo.

Il 6 febbraio 2018 il programma SpaceX ha compiuto un bel passo in avanti verso il raggiungimento della sua grande missione. È stato infatti lanciato con successo il Falcon Heavy, il razzo più potente al mondo, capace di trasportare nello spazio grandissimi carichi. Il razzo non solo non è esploso in fase di lancio – cosa affatto scontata visti i precedenti tentativi – ma è andato a buon fine anche il rientro sulla terra di due dei tre propulsori utilizzati. Durante la diretta streaming del lancio è stato molto emozionante vedere i due razzi rientrare alla base ed atterrare perfettamente sincronizzati, con una delicatezza inusuale per degli oggetti composti da tonnellate di metalli e carburante scoppiettante.

Aldilà delle prodezze tecnologiche, grande curiosità dell’evento del 6 febbraio è stata destata dal particolarissimo carico che Musk ha affidato al razzo Falcon Heavy che, una volta raggiunto il vuoto cosmico, ha rilasciato nello spazio del sistema solare: una macchina Tesla con tanto di passeggero – finto – a bordo. Sicuramente si è trattato di un grandioso evento di co-branding (i maligni sostengono che Musk abbia inserito la Tesla e il suo passeggero per spingere le vendite della sua vettura, che negli ultimi mesi non sono state positive).

La macchina Tesla e il suo pilota (il manichino “Starman”) in volo nello spazio

La Tesla è stata dotata, oltre che del finto passeggero con il gomito fuori dal finestrino, anche di una webcam che ne ha ripreso il volo spaziale per diverse ore.

Seguire la diretta streaming del lancio mi ha però portato ad una riflessione prettamente terrestre, circa l’animo e le imprese umane. Mentre la Tesla iniziava il suo viaggio cosmico risuonavano nella mia mente le parole di Simon Sinek. Sono rimasto più di tutto infatti colpito dalle scene di grande gioia, di esultanza incontenibile dei dipendenti di SpaceX non appena resisi conto del successo del lancio e dell’atterraggio. Queste persone sono per la stragrande maggioranza ragazze e ragazzi che definiremmo Millennials. Simon Sinek constatava tempo fa che uno dei problemi per le organizzazioni oggi è proprio quello di non “perdere” i giovani Millennials che, cresciuti con l’idea di “essere speciali”, abbandonano il lavoro con alta frequenza proprio perché non sentono di “stare lasciare il segno”. Quelle ragazze e quei ragazzi esultanti pensavo, mentre in Italia erano oramai le 02:00 di mattina, un segno lo stanno lasciando ed Elon Musk ha dato loro quel “carburante” necessario, fatto di valori, modi di lavorare e, soprattutto, fatto del grande sogno di “Colonizzare Marte”.

D’altronde è lo stesso Sinek a dire che per un’impresa occorre sempre formalizzare e rendere esplicito il suo grande “Why”, il perché dei perché che attirerà i clienti che, sentendolo anche loro, diventeranno fan del brand, promuovendolo ad amici e colleghi.

In attesa dei primi clienti, sicuramente ricchissimi avventurieri spaziali di domani, SpaceX e Musk si godono queste prime, epiche, imprese, compiute anche grazie al grande coinvolgimento che hanno saputo generare in questi giovani, affamati, Millennials cui si sono affidati!

34 MILIONI DI BUONE NOTIZIE PER I BRAND FAST CASUAL

Giovedì 18 gennaio è stato presentato l’annuale e autorevole Rapporto FIPE, redatto con le informazioni raccolte e studiate dalla Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi sino al 31 dicembre 2017.

Il quadro che emerge si attesta nel trend di crescita degli ultimi anni nei consumi alimentari fuori casa: la spesa delle famiglie in servizi di ristorazione è stata nel 2016 di 80.254 milioni di euro, mentre la stima per il 2017 è di 83 miliardi.

Sono oltre 39 milioni le persone che in Italia consumano pasti fuori casa con regolarità così segmentate nello studio:

  • 13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana. Per lo più uomini di età compresa tra i 35 e i 44 anni e residenti al Nord Ovest;
  • 9,7 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana. In prevalenza uomini di età compresa tra i 18 e i 24 anni e residenti nel Centro Italia;
  • 16,5 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese. Sono in prevalenza donne di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia.

Il Rapporto Fipe 2017 ha anche analizzato la suddivisione dei consumi alimentari fuori casa durante l’arco della giornata. Per quanto riguarda la colazione, il 63,8% degli italiani consuma, con frequenza diversa, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Il bar/caffè è il punto vendita “tipo” designato per la colazione nella maggioranza dei casi, senza alcuna distinzione di genere, età e area geografica. Segue il bar pasticceria, preferito dalle donne (64,1% contro il 58,2% degli uomini) e nel Nord Est (64,9%). Le alternative restano esigue, come ad esempio i distributori automatici, preferiti dal 16,4% dei consumatori. La spesa media per la colazione fuori casa è tra i 2 e i 3 euro. Solo l’1,3% spende meno di un euro, e nel caso si tratta quasi sempre di quegli heavy consumer che, abbiamo visto, consumano 4-5 pasti fuori casa settimanalmente.

Interessantissime anche le notizie emerse nell’analisi del comportamento nella fascia del pranzo: al 67,1% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana. Per 12,7 milioni si tratta di un’occasione abituale, almeno 3-4 volte alla settimana. La spesa durante la settimana è prevalentemente concentrata nella fascia 5-10 euro (il 48,7%). Un aspetto particolarmente interessante riguarda la percezione del pranzo fuori casa da parte del consumatore metropolitano durante la settimana lavorativa: per un lavoratore su due è la qualità del cibo il punto di forza del pubblico esercizio dove consumare il pranzo. Sono molto importanti poi la vicinanza al luogo di lavoro, la rapidità del servizio e l’attenzione al portafogli.

Appare sempre più chiaro come i brand del segmento Fast Casual della ristorazione siano quelli che più di tutti stanno rispondendo alle nuove esigenze del consumatore metropolitano che “pretende”, al contempo, velocità, qualità, novità. Ciò che lo caratterizza è la sua tendenza a essere infedele al brand, prediligendo una grande libertà di scelta. Prova ne è la bolla della ristorazione a Milano che abbiamo documentato in questo studio: http://bit.ly/bollamilano

Proprio dedicato ai brand Fast Casual che desiderino intercettare il favore di questo moderno consumatore metropolitano italiano, partirà da febbraio il primo percorso di formazione e consulenza “Fast Casual & Customer Experience”. Cliccando l’immagine di seguito si avrà accesso ad informazioni utili e programma del percorso.

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