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Francesca Caputo - page 3

Francesca Caputo has 29 articles published.

La disciplina della customer experience è nata e si è sviluppata negli Stati Uniti dove la concezione del cliente è sostanzialmente di tipo giuridico. Occorre promettere ex ante al cliente uno standard e realizzarlo davvero in ogni "touchpoint" pena: immediato rimborso! Francesca unisce la dimensione dei suoi studi giuridici con quella di appassionata osservatrice del lifestyle in molte sue espressioni: questo mix fa di lei un'esigente e al contempo entusiasta storyteller del customer journey.

INTIMISSIMI BATTE GRETA THUNBERG

La Green Collection della primavera – estate 2020

Sono certamente favorevole alla tutela del Pianeta, come penso tutti quanti. Ma, quando il discorso dei problemi legati al cambiamento climatico e all’esigenza di incentivare uno sviluppo sostenibile viene perorato dalla giovanissima Greta Thunberg, su di me non fa presa.

Poi, invece, è capitato che si sia presentata – in un modo inusuale – la concreta possibilità di contribuire io stessa in prima persona al rispetto dell’ambiente, e allora mi sono scoperta, sorprendentemente, tifosa dell’ecosostenibilità.

L’occasione mi è stata offerta da Intimissimi, l’azienda italiana di biancheria intima di proprietà del gruppo Calzedonia, che ha recentemente lanciato una collezione per la primavera-estate 2020, chiamata “Green Collection, pensata proprio per chi vuole indossare capi che rispettano il pianeta.

La linea si compone di intimo, pigiami e maglieria realizzati in tessuti sostenibili, dal pizzo creato con materie prime rigenerate, alla seta prodotta a basso impatto ambientale, fino al modal e al bambù ricavati da fonti di legno rinnovabili. Tutte fibre certificate dalle azienda fornitrici, contrassegnate da un cartiglio che le rende facilmente riconoscibili.

Testimonial di eccezione, la bellissima modella Irina Shayk.

I capi di questa Collezione non sono solo green, ma sono anche estremamente eleganti e raffinati, realizzati con prodotti che, oltre ad essere rispettosi dell’ambiente, garantiscono prerogative importantissime per gli indumenti di una donna, quali la morbidezza, la freschezza e la traspirabilità.

Passando in rassegna i modelli, ci si stupisce nel realizzare che sete, pizzi e materiali così preziosi possano essere realizzati con materie rigenerate ed ecosostenibili.

Neanche a dirsi, mi sono resa protagonista di questa “chiamata al contributo ecosostenibile”, ed ho acquistato un indumento della maglieria basic, una canottiera strech dalle spalline sottili, che è disponibile in diversi colori. Si tratta di un capo che, oltre ad essere morbido e comodo, risulta anche elegante e raffinato: queste sono le qualità per le quali Intimissimi mi ha conquistata alla dimensione ecosostenibile, proprio dove Greta Thunberg non era riuscita.

ELISABETTA FRANCHI E BRUNELLO CUCINELLI: SFILA L’AMICIZIA

Milano Fashion Week F/W 2020

Sabato scorso, in una Milano ancora vivace e spensierata, qualche ora prima che scoppiasse l’apocalisse del Corona Virus, si è svolta presso la Scuola Militare Teuliè la sfilata della casa di moda Elisabetta Franchi.

Elisabetta, una donna straordinaria che, partita giovanissima da una gavetta nel pronto moda, è arrivata a dare vita nel 1998, grazie alla determinazione e al talento, ad un marchio tutto suo, conosciuto con il nome di Celyn B, cresciuto nel corso degli anni fino a divenire l’attuale brand Elisabetta Franchi, che ha chiuso il 2018 con un fatturato di circa 118 milioni di euro.

È la sua incredibile personalità a spaccare: è una persona vera, diretta, divina e al tempo stesso alla portata di tutti, che grazie all’utilizzo dei social riesce a far sentire i suoi 2 milioni di follower parte della sua straordinaria vita.

 

Tantissimi gli invitati alla sua sfilata Fall/Winter 2020, molti dei quali persone famose: erano presenti in prima linea, la gran parte brandizzate, show girl della portata di Simona Ventura, Elisabetta Gregoraci, Wanda Nara, Federica Panicucci, Laura Chiatti, Cecilia Rogriduez, Sabrina Salerno, e tante altre.

L’attesa è stata dalla sottoscritta dedicata per la gran parte ad osservare queste vip, che tra flash dei fotografi, interviste ai giornalisti, selfie coi propri devices, bramavano la scena, attestando la propria preziosa presenza.

Poi è successa una cosa particolare: in disparte rispetto allo sfavillare delle vip, ho notato un uomo elegantissimo che inizialmente mi ha solo incuriosito per l’atteggiamento sofisticato e al contempo umile, ma che poi ho con velocità riconosciuto nel mitico Brunello Cucinelli, uno dei più grandi imprenditori italiani nel settore della moda (si pensi che ha chiuso il 2018 con ricavi netti pari a 553 milioni di Euro). La sua presenza mi ha lasciata stupita, perché non mi aspettavo che stilisti di tale fama assistessero alle sfilate dei propri “competitors.

Come da copione, in un ambiente che di colpo ha preso vita con l’accensione delle luci e con l’attacco di una musica di impatto vibrante, la sfilata ha avuto inizio. Modelle bellissime hanno portato in scena, con portamento deciso ed impattante, una collezione dai colori cipria, tenui ed uniformi, caratterizzata da capi eleganti e luminosi, di gran lunga più sofisticati rispetto alle collezioni passate. Un successo inaudito per Elisabetta Franchi, riconosciuto dal tripudio col quale è stata celebrata dai presenti al termine della sfilata.

Sono rimasta indubbiamente molto colpita dalla bellezza di questi capi, ma il particolare che più di ogni altro mi ha affascinata è stato lui: Brunello Cucinelli. Questo grande stilista, seduto tra il pubblico come uno dei tanti, ha osservato con sincero interesse ogni uscita, ogni singolo capo ed ogni azzeccato abbinamento.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di poter sentire, dalle sue parole, il motivo della sua presenza: “Io ed Elisabetta siamo amici e mi fa piacere essere qui, perché è bello potersi aiutare a vicenda”. Le ha pronunciate bisbigliandole, con tangibile emozione, con la genuina sincerità che è solo dei grandi.

Questa significativa attestazione di amicizia e di sincera stima tra due grandi imprenditori, in un settore così competitivo quale quello della moda, mi ha riempito il cuore.

Siamo tutti quanti così contagiati dalle cattiverie e dalle maldicenze della società odierna, che a volte ci dimentichiamo di quanto possa fare bene il sostegno e la vicinanza del nostro prossimo. E quanto sarebbe bello se, in tutti gli ambienti, lavorativi e non, fosse più usuale un’attitudine al bene piuttosto che al male.

Quello che è certo è che alla sottoscritta, spettatrice casuale della sfilata in questione, questa dimostrazione di genuina amicizia tra due grandi nomi della moda ha suscitato un’emozione tanto inaspettata quanto memorabile.

PAUSE PRANZO VELOCI E DI QUALITA’

Dispensa Emilia non delude il cliente esigente

Lavoro in Provincia di Milano e, in linea con i vicini Milanesi Imbruttiti, sono molto esigente riguardo alle mie pause pranzo, che necessitano di due prerogative imprescindibili: la velocità e la qualità del cibo.

Per questo motivo, mi piace parlarvi di un brand che mi appassiona da tempo, Dispensa Emilia, dove il pranzo si rivela, e si conferma ogni volta, un’esperienza entusiasmante.

Fondata nel 2004 a Modena e cresciuta rapidamente con la media di una nuova apertura all’anno, si caratterizza per aver messo al centro della sua proposta gastronomica la tradizione emiliana, ed in particolare le tigelle (dischi di pane sottile, tipici dell’Appennino Emiliano, farciti con salumi, formaggi e verdure di stagione), le tagliatelle al ragù e le insalate, il tutto accompagnato da un ottimo bicchiere di vino tipicamente emiliano, il Lambrusco. Nel Luglio 2018, il Gruppo Investindustrial ne ha acquisito il 70% delle quote, mettendo in atto un ambizioso piano di investimento.

Quali sono i segreti di questo successo? Essenzialmente due, a dire del fondatore Alfiero Fucelli: “la qualità dei prodotti e la rapidità del servizio”. E certo, io sono la prova della veridicità della sua affermazione, perché proprio queste due specifiche qualità mi hanno conquistata.

Il format di Dispensa Emilia è quello di ristoranti per la gran parte collocati in corner all’interno di prestigiosi centri commerciali, allestiti con arredamento minimale che riesce a risultare accogliente pur nella sua linearità e semplicità.

Il servizio è encomiabile, con addetti veloci, gentili e preparati, e il cibo è superlativo, con piatti genuini, sani e gustosi. Il tutto a prezzi davvero contenuti rispetto non solo alla qualità dei cibi, ma anche del servizio.

Su tutto, poi, vince il clima che si respira e che pervade l’ambiente. Non so spiegare esattamente cosa contribuisca a renderlo tale, ma certamente penso ai colori vivaci dell’arredamento e dei cibi esposti, così come all’allegria del personale che accoglie, accompagna ai tavoli e serve con sorrisi genuini ed empatici, e, perché no, anche allo spirito positivo della clientela che si trova lì in un momento di svago all’interno del centro commerciale.

Certo è che, tutti questi elementi consentono a chi entra da Dispensa Emilia di percepire una piacevole sensazione, che lo contagerà permeandolo di allegria e leggerezza.

Ho letto che il locale più performante di Dispensa Emilia in termini di fatturato è quello di Arese, proprio quello che frequento io quasi quotidianamente nella pausa pranzo: insomma, sono una cliente entusiasta non solo del brand, ma anche dei risultati che lei stessa ha contribuito a fargli ottenere!

MOBILE BANKING

Il caso REVOLUT

Ma quanta soddisfazione si prova nel pagare alla cassa di un ristorante o di un qualsiasi esercizio commerciale, semplicemente appoggiando con destrezza il cellulare sul Pos?

Fino a pochi anni fa non avremmo potuto immaginare che il nostro approccio con i servizi – quale ad esempio il pagamento alla cassa – si sarebbe innovato così rapidamente.

Parliamo di Tecnofinanza, in inglese FinTech, o Financial Technology, una nuova industria finanziaria che offre servizi attraverso le nuove tecnologie digitali. I servizi a cui può applicarsi la Tecnofinanza sono tutti quelli della finanza tradizionale, dai pagamenti all’intermediazione finanziaria, fino alla gestione del rischio finanziario e alle valute elettroniche. La tendenza di crescita di questo settore è esponenziale. In Italia, il 25% della popolazione tra i 18 e i 74 anni ha utilizzato almeno una volta un servizio FinTech.

Sono migliaia le start up che hanno sfruttato la tecnologia per inserirsi in un mercato, quello finanziario, tradizionalmente difficile da penetrare: il vantaggio di queste nuove aziende rispetto a quelle già esistenti è rappresentato dalla velocità, dall’agilità e dalla riduzione dei costi con cui riescono a proporre l’innovazione.

Tra queste, primeggia Revolut, una società di tecnologia finanziaria con sede nel Regno Unito che offre servizi bancari, tra cui una carta di credito prepagata e diversi altri servizi di pagamenti. Tra le banche mobili sul mercato, ossia quelle che consentono ai propri clienti di effettuare transazioni finanziarie in remoto utilizzando un dispositivo mobile come uno smartphone o un tablet, è in vetta insieme a competitor quali N26, Monese, Payoneer.

In una recente intervista, il fondatore di Revolut, Nik Storonsky, 35 anni, ha dichiarato che i profitti delle banche storiche sono destinati a calare, prevedendo che solo le più grandi sopravviveranno.

Ed è difficile non credergli, tenuto conto dei sorprendenti successi della sua creatura: nata 4 anni fa, ha raccolto oltre 8 milioni di clienti, di cui 300mila in Italia, con la previsione di arrivare solo nel nostro Paese a un milione per il 2020 e a 5 milioni in cinque anni. Storonsky ha dichiarato una vera e propria guerra alle banche tradizionali, considerate ree di essersi arricchite impoverendo i clienti. “Prima le banche ridevano di noi, poi hanno cercato di copiarci. E alla fine si sono rese conto che non riescono a farlo perché i loro processi sono troppo lunghi”. L’ambizione di questo giovane imprenditore è ammirevole: la sua intuizione è stata quella di scommettere sulla quantità delle transazioni riducendone drasticamente i costi per l’utente finale. Ha puntato, con risultati sorprendenti, sulla trasparenza, mostrando a milioni di clienti quanti soldi spendevano con le banche tradizionali in commissioni su servizi che pensavano gratuiti.

L’obbiettivo dichiarato è quello di rivoluzionare il mercato per mettere il cliente sempre al centro.

Viene proprio da pensare che questo obbiettivo, individuato dal fondatore di Revolut quale la chiave del suo successo, sia la stella polare da seguire affinché un’iniziativa imprenditoriale ottenga risultati eclatanti in ogni settore: infatti, non solo nell’ambito del retail, come abbiamo avuto modo di appurare in tanti casi, ma anche in quello finanziario, i clienti confermano di premiare chi sceglie di metterli al centro. Sempre.

MADE WITH CARE, WORN WITHOUT

Fatte con cura, indossate senza: è uno stile di vita (irresistibile) quello a cui invita Adidas con le sue nuove sneakers

Incomprensibili condizionamenti

Il fenomeno del condizionamento pubblicitario mi ha sempre lasciata sgomenta. Credo sia capitato a tutti di vedere pubblicizzato un nuovo modello di scarpe, piuttosto che una nuova linea di un capo di abbigliamento, e di pensare: “Non mi piace questa nuova moda, io questo modello non lo comprerò mai!”. Poi, però, succede di frequente che si concretizzi un meccanismo inaspettato: quel determinato capo o modello di nuova tendenza capita sempre più spesso sotto i nostri occhi e, mentre all’inizio non era di nostro gusto, giorno dopo giorno, reclamizzato nelle pubblicità, indossato da un numero sempre maggiore di persone, conoscenti e non, sponsorizzato sui social, pian piano inizia a suscitare il nostro interesse. Fino a che non ammettiamo che in effetti non è male. Poi, trascorso ancora qualche tempo, capitoliamo sul fatto che ci piace da morire e ci decidiamo ad acquistarlo. E poi, quando la decisione è presa, se non riusciamo ad averlo nel giro di breve diventiamo matti!

A me la dinamica appena descritta è capitata diverse volte, ma quella accadutami qualche giorno fa a New York ha avuto uno svolgimento temporale fulmineo: neanche 24 ore!

L’esperienza nello store Adidas

Il mio albergo si trovava a pochi metri dallo Store della Adidas in Fifth Avenue. Pur non essendo nei miei piani, dunque, sono capitata lì per caso, complice la vicinanza.

Appena varcata la soglia, mi ha colpito subito l’esagerazione con la quale veniva proposto un nuovo modello di sneakers, le “Supercourt”, che a Milano non mi era ancora capitato di vedere né pubblicizzato e né, tanto meno, indossato.

 

 

 

 

 

 

 

Il piano terra, in concomitanza con l’ingresso, era in predominanza dedicato a questo particolare modello. Decine di paia della stessa scarpa si trovavano collocate su numerosi scaffali e in diverse posizioni: tutte uguali, in pelle bianca con i profili in nabuk beige.

Le ho guardate con attenzione, anche perché non si poteva certo mancare di osservarle tanto erano invadenti nella loro presenza! Ho pensato: “A me non piacciono proprio, non le prenderei mai” e mi sono chiesta: “Ma come è possibile che qui a New York vada così di moda questo modello?”

Sono uscita dal negozio nella ferma convinzione che non vi avrei più fatto ritorno. Ma il tarlo si era insinuato.

La scoperta della promessa

La sera, in hotel, curiosando su Google, sono andata ad esaminare, per curiosità, il sito della Adidas. In primo piano, la nuova collezione “Home of Classics” che, da una parte, rivisita nella colorazione predominante del bianco e del beige i modelli più classici e conosciuti del brand (i must have come le Superstar, le Stan Smith – clicca qui,) e, dall’altra, lancia una nuova creazione, le “Supercourt”. Slogan della nuova collezione è: “Made with care, worn without”, per sottolineare che queste sneakers non debbono essere lasciate intonse, ma vanno vissute, e quindi sporcate. Davvero incisivo, perché mentre lo leggi ti viene voglia di comprarle anche solo per il gusto di logorarle con l’uso!

Tra i diversi modelli di scarpe proposti, ho individuato facilmente quello che anche lo Store da me visitato aveva messo in primo piano, il modello principale della collezione, le “Supercourt”: queste sneakers, con la loro linea un po’ retrò, rielaborano il design pulito delle classiche scarpe da tennis in uno stile moderno, reso irresistibile dai profili in nabuk. Anche in questo modello, come in tutti quelli dell’Adidas, non mancano le tre strisce parallele e disposte in modo obliquo che, quale segno distintivo del marchio, compaiono da sempre nei loghi dell’azienda che si sono susseguiti nel tempo.

Il “trifoglio”, dal 1972 al 1997, poi Logo di Adidas Originals

 

 

Logo creato nel 1949

 

 

 

Logo attuale, dal 1991

Nel caso delle “Supercourt”, le tre righe sono state create ai lati della scarpa con piccoli fori, e ciò non solo quale segno distintivo, ma anche per garantire traspirabilità ai piedi. Questa è la promessa dell’azienda, insieme a quella della qualità della pelle utilizzata, nonché della suola in morbida gomma.

La scoperta delle origini

Leggendo qua e là, ho colto l’occasione per approfondire l’interessante storia della nascita di questo brand, che ha origini molto lontane, risalenti al 1924. In quell’anno, un certo Adolf Dassler, figlio di un calzolaio, aveva cominciato a produrre scarpe da calcio nella lavanderia della madre, in una cittadina della Baviera. Quello stesso anno, insieme al fratello Rudolf, fondarono la Fabbrica di Scarpe dei Fratelli Dassler, che ottenne subito un gran successo. Nel 1947, poi, a causa di dissapori, i due fratelli si divisero: Rudolf fondò una sua azienda, che chiamò inizialmente “Ruda” (da RUdolf DAssler), oggi nota come Puma; Adolf, invece, chiamò la sua azienda “Adidas” (da ADI – il suo soprannome – e DASsler).

L’escalation del colosso tedesco Adidas, che dalla produzione delle originarie scarpe da tennis si è prima estesa alle calzature per una vasta gamma di sport e poi ampliata alle divise da gioco e, più in generale, a tutto l’abbigliamento e agli accessori sportivi anche per il tempo libero, è fatto notorio.

Nel mondo del calcio, Adidas “la fa da padrone”: è fornitore dei palloni utilizzati nei campionati mondiali di calcio, è sponsor di molte squadre importanti (Juventus, Real Madrid, Bayern Monaco, Arsenal, per citarne alcune) e di diverse nazionali (Argentina, Germania, Spagna, Giappone), ha contratti di sponsorizzazione con alcuni tra i più famosi e pagati calciatori del mondo. E’ anche il maggiore produttore di abbigliamento sportivo in Europa ed il secondo nel mondo. Con un fatturato sempre in crescita che, nel 2018, ammontava a 21,92 miliardi di Euro.

Dall’ottobre 2016, la guida dell’azienda è stata assunta dal danese Kasper Rorsted, il quale ha da subito puntato con successo su un forte investimento negli Stati Uniti, sull’aumento delle percentuali di vendita dell’online e sulla semplificazione delle procedure. Recentemente, si è detto molto soddisfatto dei risultati dell’ultimo trimestre; ed infatti, ha annunciato che nel corso dell’anno i ricavi sono aumentati del 9% in termini di euro, spingendosi ad affermare che il 2019 sarà un anno record per l’azienda.

Beh, questa notizia ha avuto un effetto dirompente sulla sottoscritta: non sarei di certo potuta essere io a disilludere le aspettative di crescita del brillante CEO dell’azienda!

L’epilogo

E così, la mattina dopo, ormai appassionata delle sneakers modello Supercourt della Adidas (che conoscevo da poche ore, ma che avevo la sensazione di conoscere da una vita), mi sono recata nel vicino Store per andare a provare il prodotto, certa della qualità promessa sul sito.

All’ingresso, il GLUE (clicca qui) decisivo: un simpatico ragazzo mi ha consegnato un buono che mi avrebbe garantito uno sconto fino a 90 dollari!! Mi ha spiegato che andava grattato un quadrato e sotto sarebbe comparso il numero della sorte. Mi si sono illuminati gli occhi. Ho pensato fosse un segno del destino: considerato che le Supercourt costavano 90 dollari, avrei potuto averle gratis!

La sorte, invece, ha scelto per me uno sconto più contenuto, di 20 dollari, che mi sono comunque sembrati una grande fortuna in quanto superiori a 0 e a 10 dollari. A questo punto non mi sentivo di disilludere né il CEO Rorsted con le sue apprezzabili aspettative di ricavi e né tanto meno l’azienda che mi aveva offerto quello sconto!

Mi sono recata al piano di sotto, nel reparto donna, dove ho provato le ormai bramate Supercourt, trovandole effettivamente morbide, comode e bellissime!

Il risultato di una promessa ben fatta

Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei potuta entusiasmare così velocemente per un modello di scarpe che solo poche ore prima non avevo trovato di mio gusto?

Sicuramente mi hanno influenzato diversi fattori: la rilevanza data a quel modello nel negozio, il fatto che andassero di moda a New York prima ancora che a Milano, la storia che ho letto sul sito circa la nascita e l’evoluzione del brand, la descrizione della nuova collezione e soprattutto quella del modello Supercourt, il richiamo ai classici della Adidas.

Ma, su tutto, ciò che mi ha fatto “crollare” non è stato il prodotto in sé, ma la promessa che Adidas mi ha fatto. Mi sono fatta letteralmente catturare dallo storytelling sul sito: la promessa di una scarpa morbida e comoda, che va vissuta ogni giorno, fino a che non si rovini perché logorata dall’uso, mi ha creato un desiderio reale di volerla indossare.

E questo è il segno che la bellezza è tale quando se ne coglie il significato grazie alla promessa dell’esperienza che viene fatta.

Adidas è riuscita, con la sua promessa, a trasformarmi da cliente indifferente a cliente entusiasta nel giro di poche ore… complimenti!

LA REGINA VICTORIA DELLA FIFTH AVENUE

Glue, profumi sensuali, articoli mozzafiato, Alexis…. Tutto da 10 e lode!

Il termine entusiasmo, di etimologia greca (da έν “in” e θεός “dio”, ossia la condizione di chi appare ispirato da qualcosa di divino), rappresenta fedelmente il sentimento che una donna prova quando, avendo la fortuna di trovarsi a passeggiare lungo la Fifth Avenue a New York, decide di entrare nello store di Victoria’s Secret, il marchio statunitense divenuto icona della lingerie femminile.

Vale la pena, innanzitutto, fare un cenno storico sulla nascita di questo brand, il cui nome fa riferimento alla Regina Vittoria.

Fu fondato nel 1977 a San Francisco da Roy Raymond e dalla moglie Gaye. L’origine è curiosa: Raymond si era recato in un grande magazzino per acquistare biancheria intima alla moglie, ma aveva trovato solo capi in spugna, di discutibile gusto estetico. Da qui l’idea geniale. Studiò a fondo il mercato della lingerie, si fece prestare 40mila dollari dai genitori e altri 40mila dalla banca, e aprì il suo primo store. Nel primo anno incassò 500mila dollari e da quel momento un’ascesa strabiliante: prima l’acquisizione da parte del Gruppo Limited Brands, poi la creazione di una linea di profumi, l’ampliamento all’abbigliamento per la città e lo sport, e l’ingresso nel mercato cosmetico.

Il marchio Victoria’s Secret, divenuto famoso nel mondo per i reggiseni sexy “bra”, nel 2006 vantava già più di 1.000 negozi, con un fatturato che, nel 2016, raggiungeva la vetta dei 12,15 miliardi di dollari. Un impero rappresentato da modelle famosissime, le Victoria’s Secret Angels, del calibro di Helena Christensen, Gisele Bundchen, Heidi Klum, Alessandra Ambrosio, Adriana Lima (solo per citarne alcune), che ricordiamo tutti (gli uomini di sicuro!) aver visto sfilare con lingerie accattivante in occasione degli storici eventi Fashion Show.

Dopo un impietoso declino, legato alla scelta delle donne – soprattutto le più giovani – di puntare più alla comodità dell’intimo che all’effetto push up (questa tendenza ha portato ad un calo di quasi un terzo del valore dell’azienda), di recente il Gruppo L Brands, cui ora fa capo il marchio, ha avviato una revisione di tutti gli aspetti del modello di business dell’azienda (nuovi dirigenti, nuovi prezzi, nuovi prodotti, nuovo marketing e nuovo format dei negozi): cambiamenti innovativi che promettono di riportare il brand ai fasti di pochi anni fa.

Il Presidente del Gruppo, Les Wexner, dopo l’annuncio della rivoluzione messa in atto, ha affermato: “Abbiamo fatto tutto il necessario per prepararci a vincere. Ora dobbiamo iniziare a segnare”.

E un goal, con la sottoscritta, l’hanno fatto! Settimana scorsa mi trovavo appunto a New York, quando ho deciso di fare una tappa da Victoria’s Secret. La “tappa” è durata 2 ore!

Il negozio, realizzato su tre piani, è spettacolare. Appena si entra si viene rapiti dai profumi, dai colori accattivanti, dall’ambiente elegante e ricercato.

Si trovano fantastici capi di lingerie di ogni tipo, abbigliamento sportivo della linea Pink per le più giovani, profumi inebrianti e sensuali, beauty case fantastici, borse e portafogli chic e unici, prodotti di cosmesi e bellezza superbi. Il tutto sapientemente esposto in un ambiente curato nei dettagli, che emana gusto e classe. È il luogo dove qualsiasi donna perde la testa.

Anche l’assistenza da parte del personale è eccezionale: le commesse sono estremamente gentili, si propongono di aiutarti e dopo averti assistito con scrupolo e dedizione, ti chiedono di ricordare il loro nome (alla cassa, poi, viene chiesto da chi si è stati seguiti, sicuramente per il riconoscimento di qualche premio).

Mi sono recata dapprima al piano di sotto, dove, aiutata da una fantastica ragazza di nome Alexis, nell’elegante camerino che quest’ultima mi ha aperto, ho provato diversi capi sportivi, scegliendo poi una felpa ed un completo leggings con top abbinato, che ho riposto in una bellissima shopping bag loggata fornitami da Alexis.

Mi sono poi diretta al primo piano, dove ho trovato esposti capi di lingerie tendenzialmente comodi, ma al tempo stesso eleganti: qui, aiutata da un’altra giovane commessa di cui non ricordo il nome (purtroppo non sono giovane come lei e l’età penalizza la memoria), ho provato alcuni reggiseni, aggiungendo poi alla mia shopping bag un modello nero, particolarmente bello.

Il meglio di me, però, l’ho dato al piano terra, dove, oltre all’intimo estremamente sexy, che però non si adatta perfettamente alla mia personalità, si trovano gli articoli regalo, le pochette, i beauty case, i portachiavi, i portafogli, le borse, i profumi, i rossetti, i prodotti di cosmesi. Il Paradiso deve avere queste sembianze!

 

Vi evito di elencare la merce che in questo ambito ho aggiunto alla mia shopping bag, perché ho davvero esagerato. Ho però un’attenuante: diversi oggetti erano regali di Natale per amiche e parenti, lo giuro!

Giunta in cassa, mi è accaduto un fatto davvero straordinario: per un motivo che non ho compreso (la cassiera mi ha parlato di un’occasione particolare, ma oltre alla memoria ho anche il problema della lingua), mi sono stati regalati una shopping bag bellissima ed un plaid in pile stupendo. Mi vien da dire, un perfetto GLUE (clicca qui), che mi ha lasciata felicemente incredula.

Ebbene, tornando al concetto di partenza di questo articolo, posso testimoniare che l’esperienza vissuta nel negozio di Victoria’s Secret mi ha letteralmente ENTUSIASMATO.

Ed infatti, mi sono sentita ispirata in modo divino da tutto: il visual del negozio, la qualità e la bellezza dei prodotti e dei capi, la gentilezza del personale, i profumi, i colori, i camerini, i prezzi.

Alla cassa, poi, l’ispirazione divina, connessa all’etimologia del termine entusiasmo, ha trovato il suo punto massimo: nel mio caso, infatti, si è tradotta nell’imprecazione che mi è passata per la testa nel momento in cui ho visto la cifra totale che ho speso.

Come ama ripetere Mario Sala, il prezzo è stato davvero pari all’apPREZZamento di questo meraviglioso brand!

LA CUSTOMER EXPERIENCE È UN CONTRATTO…

…Che il cliente pretende sempre più chiaro.

Diciamoci la verità: i negozi cinesi di parrucchieri ed estetisti suscitano spesso, in noi italiani, un pregiudizio negativo. Così è stato sicuramente per me nel passato: il sospetto di un’igiene poco curata, di prodotti non sani e, più in generale, di una scarsa qualità, mi avevano per lungo tempo fatto desistere dall’idea di provarli. Recentemente, però, mi è capitato di uscire con una cara amica che sfoggiava una acconciatura favolosa: le ho chiesto chi fosse il bravo parrucchiere che si era occupato dei suoi capelli e, quando mi ha “confessato” che si trattava del ragazzo cinese nel negozio da poco aperto sotto casa sua, sono rimasta stupefatta. La conosco da tempo: è una persona alla quale non mancano certo i mezzi economici per potersi rivolgere ai più costosi hair stylist sulla piazza milanese, ma, sinceramente, non l’avevo mai vista acconciata così bene. Ho deciso di provare.

Pochi giorni dopo, di mattina presto, senza aver preso appuntamento, ho fatto ingresso nel negozio in questione. Mi ha accolto, col sorriso, un giovane ragazzo cinese, che ho poi scoperto chiamarsi Matteo (probabilmente grazie ad una “furba” italianizzazione del nome), al quale ho comunicato di voler fare una messa in piega. Mi ha subito fatto accomodare al lavaggio, ha utilizzato prodotti di qualità, mi ha massaggiato la cute con destrezza e poi ha realizzato con abilità e velocità la pettinatura liscia che gli avevo chiesto. Il tutto in meno di mezz’ora e, naturalmente, “low cost”. Su tutto, sono rimasta colpita dal risultato: in assoluto la messa in piega migliore che mi sia mai stata fatta. Mi ha conquistato. Un servizio straordinario ad un prezzo decisamente inferiore a quello “italiano”. Insomma, ho finalmente compreso perché sempre più persone si rivolgono ai negozi cinesi di parrucchieri: con un risparmio notevole, si possono ottenere risultati qualitativamente paragonabili ai nostri migliori negozi, tutto ciò senza necessità di appuntamento, con un servizio veloce, in ambienti puliti, aperti tutti i giorni – festività comprese – con orario continuato.

Ricordo quando Zara e H&M si sono affacciati nelle nostre città e come le prime reazioni siano state quelle di percepirli come brand di bassa qualità, ritenendo le loro collezioni goffamente copiate. I fatti, poi, hanno proprio smentito queste prime impressioni: in pochissimi anni, hanno innalzato la qualità, proposto ogni quindici giorni novità e “flash” nelle collezioni, tenuto i prezzi accessibili e, ora, importanti stilisti fanno a gara per inserire “capsule” firmate da loro. Credo stia succedendo qualcosa di analogo con gli “hair stylist” cinesi che, mantenendo caratteristiche di servizio e prezzo loro tipiche, stanno innalzando qualità, tecnica e gusto, fino al punto da far breccia in mercati esigenti come quello italiano.

La customer experience, in fondo, è un contratto fra due parti, che presuppone una grande chiarezza circa lo standard preteso dal cliente: livello e condizioni del servizio, descrizione precisa di ciò che si offre, risultato e, naturalmente, i prezzi. Qualsiasi esperienza si prometta al cliente, anche la più “intangibile”, come quella che spesso desideriamo negli acquisti di moda, beauty e styling, non può prescindere da questo livello contrattuale esplicito. Questa chiarezza, a cui il cliente metropolitano “globalizzato” tiene sempre di più, sta influenzando -e, spesso, mutando- le preferenze dei consumatori in molti settori…quello dei capelli compreso.

NASHI ARGAN E LA LEGGEREZZA CHE VIENE DA LONTANO

Notizie da una fan … dei propri capelli

È necessario partire da una premessa fondamentale: io adoro i capelli. Mi piace curare i miei, averli sempre in ordine e sentirmeli belli. Ma mi appassionano anche quelli delle altre donne: li osservo, li valuto, li ammiro e spesso li critico; in ogni caso, quando vado in giro, i miei occhi cadono sempre lì. Ma non solo. Una buona parte della mia esistenza (preferisco non svelare quanto tempo al giorno, altrimenti rischio il ricovero coatto) la passo a guardare siti, app, social, qualsiasi mezzo tecnologico che proponga pettinature, tinte, tendenze. Chissà perché ho questa fissa. Ho proprio l’idea che, per una donna, la cura dei capelli debba essere il primo aspetto della propria bellezza. Ho letto su riviste specializzate che, attraverso i nostri capelli, in qualche modo parliamo a noi stessi e agli altri: beh, se questo corrisponde al vero, io ho un dialogo intensissimo sia con me stessa che con il resto del mondo femminile! Affermano che ogni scelta su taglio, colore, pettinatura, fornisca segnali inconsci sulla personalità e sugli stati d’animo di ciascuno di noi. Quanto ci sarebbe da indagare su di me allora!

Sono poi, inevitabilmente, fanatica di prodotti per capelli: sono sempre alla ricerca di nuovi shampoo e balsami che me li rendano belli, morbidi, facili da pettinare e durevoli. Sono molto esigente, e rimango entusiasta se trovo prodotti in grado di farmi apparire il più a lungo possibile come se fossi appena uscita dal parrucchiere.

Bene, svelata questa mia intima debolezza, ora vi racconto l’esperienza meravigliosa che ho vissuto.

Era un sabato e giravo a Milano per i negozi di City Life Shopping District. Casualmente (l’avverbio è ironico!), sono rimasta attratta da un Salone di Parrucchieri, il “Nashi Salon” e mi ha pervaso una voglia irresistibile di entrare.

Si è subito avvicinato un ragazzo, che con fare affabile si è offerto di presentarmi i prodotti Nashi Argan. Mi ha illustrato in modo affascinante le potenzialità dei loro prodotti per capelli, realizzati con ingredienti esclusivamente naturali, quali l’olio di argan e quello di lino. A suo dire, se avessi provato i loro prodotti, non avrei potuto più farne a meno. E così, con una mossa assolutamente strategica, mi ha regalato i campioncini di shampoo e balsamo.

La sera stessa, a casa, li ho provati. Da subito, mi ha colpito il profumo, divino. Incredibile poi il risultato dopo averli asciugati: leggeri e morbidi come seta. Da non trascurare anche la facilità con la quale mi sono fatta la piega, al termine della quale avevo i capelli più sani, più belli e più soffici che mai. È proprio l’olio di Argan che conferisce queste caratteristiche di morbidezza impareggiabile: esso è estratto infatti dai semi della pianta di Argania Spinosa, nota e valorizzata per le sue proprietà nutritive, cosmetiche e medicamentose… Le foreste di Argania si estendono per circa 800.000 ettari a sud del Marocco e l’UNESCO ha dichiarato l’area riserva della biosfera: ammetto che mi dà una certa soddisfazione, seppur per via mediata, sapere che anche l’UNESCO è scesa in campo per difendere i miei capelli!

So che è difficile da capire, ma il portare in giro dei capelli morbidi e soffici conferisce una esperienza di leggerezza che si rivela un potente antidoto alle pesantezze inevitabili del quotidiano.

Ho anche scoperto che non sono la sola ad essere “ghiotta” di prodotti a base di olio di Argan: anche le capre, note per essere sveglie forti e scattanti (come Vittorio Sgarbi ricorda spesso…) si arrampicano sui rami della Argania Spinosa per cibarsi dei suoi preziosi frutti e semi. Insomma, quando un prodotto è di alta qualità, viene da lontano: la coltivazione di questa pianta è infatti secolare, racchiusa in questa area di mondo che produce ben 4000 tonnellate di olio di Argan, praticamente tutte esportate.

Promoter convinta quindi di Nashi Argan, faccio volentieri il mio lavoro di passaparola gratuito a cominciare dalle lettrici di News and Customer Experience!

COLLISTAR AIRLINES: MALDIVE ANDATA-RITORNO IN UNA NOTTE

Il contagioso entusiasmo per le “gocce magiche viso” Collistar

Ho un marito di 50 anni, in piena crisi di mezza età, che una mattina di questo grigio inverno milanese si presenta in cucina chiedendomi: “Ti sembro abbronzato?”. Rimango stupefatta: è effettivamente colorito, anzi, ha una abbronzatura invidiabile! Io rimango a bocca aperta e lui mi confida il motivo: si è recato in una profumeria (credo sia la prima volta nella sua vita) e si è fatto consigliare un prodotto per migliorare l’aspetto funereo del volto. Gli hanno suggerito le gocce auto-abbronzanti della Collistar. Incredibile, le ha applicate una sola volta ed hanno subito funzionato. É bastata una sola applicazione per far sembrare il volto di mio marito più sano, più riposato, più affascinante, come se fosse tornato da un mese di vacanza (quelle vere, senza moglie e figli!). Perché io non avevo mai pensato di comprare un prodotto per il viso che mi potesse donare un’abbronzatura fai da te?! Oltretutto, scopro che le gocce in questione, non sono solo auto-abbronzanti, ma hanno anche un apprezzatissimo effetto antirughe, che alla mia età non guasta! Mi è venuta una voglia immediata ed irrefrenabile di ottenere lo stesso risultato estetico di mio marito (ma chi l’avrebbe mai pensato!).

Procedo subito con l’acquisto di questo prodotto su Amazon, e inizia così un’esperienza fantastica: non appena arrivano, attendo la sera prima di andare a letto per applicarle. La mattina dopo, quando mi alzo, mi esamino allo specchio e penso a quanto sia stato fantastico farsi un giro alle Maldive durante la notte! Ho preso un bel colorito, mi sento più bella e più rilassata, la pelle è più uniforme e vellutata, forse addirittura vedo qualche ruga in meno… Insomma, un sogno!

Ammettiamolo, questa volta mio marito mi ha battuta nel campo in cui sono maestra, il beauty shopping!

Concludo osservando che quest’esperienza mi ha dato modo di comprendere quanto siano concreti  alcuni concetti chiave della “disciplina” della CX (cfr. Kerry Bodine, Clienti al Centro, ed. Hoepli, Parte II, Le sei discipline della Customer Experience).

Innanzitutto, l’efficacia del passaparola (anche se la rilevazione del Net Promoter Score – Clicca qui – giustamente esclude i parenti dal passaparola) fatto ad opera dei fan di un brand: l’entusiasmo è irresistibilmente contagioso e non esagera Mario Sala quando “ammonisce” i brand che “si cresce solo per entusiasmo” (Clicca qui): “passive” e moderatamente soddisfatti sono da lui considerati clienti transeunti!

In secondo luogo, quanto  “la promessa del brand” – in questo caso del prodotto – è in grado di richiamare i clienti che approvano il valore che la promessa stessa indica, quasi si facessero affari solo tra affini, come in modo magistrale dimostra il grande Simon Sinek nel suo modello “The Golden Circle” (Clicca qui): il cliente compra ciò in cui credete, solo in un secondo tempo valuterà se quello che fate e come lo fate è coerente in ciò che asserite di credere. Io, ad esempio, come tanti clienti metropolitani (Clicca qui), credo che con i tempi incredibilmente frenetici a cui devo sottostare fra lavoro, trasporti, casa, figli, obblighi burocratici e adempimenti di varia natura, ci vorrebbe davvero una magia per riuscire a proiettarmi in una dimensione di vacanza, distensione, salute. Una magia vera e propria.

Non a caso, terminato il mio auto-trattamento lampo, ho letto con più attenzione la scritta del contenitore del prodotto, sul quale si legge: “Gocce magiche viso”!

Ho pensato: “Collistar sì che mi capisce e ben aldilà del prodotto sperimentato!”

Lo specchio, dopo la nottata alle Maldive, ha riflesso, insieme agli effetti della “vacanza”, la più classica wow experience (Clicca qui).

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